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venerdì 1 aprile 2022

Trilogia di New York / Città di vetro / Fantasmi / La stanza chiusa - Paul Auster

La prima cosa che ho fatto quando mi sono negativizzato è stata farmi una passeggiata sul lungomare e fiondarmi nella mia libreria di fiducia per approfittare della scontistica del 20 % su tutti gli Einaudi.

Notoriamente Einaudi ed Adelphi hanno quasi sempre i migliori autori, soprattutto per quel che concerne i classici contemporanei, ed è difficilissimo trovare qualcuno di questi libri nel circuito delle bancarelle o dell'usato.

In genere la gente degli Einaudi e degli Adelphi difficilmente si disfa.

Quello che ho fatto è stato gettarmi su uno degli autori che più mi ha stuzzicato negli ultimi anni, ma che per una questione di pecunia non avevo ancora affrontato, ovvero Paul Auster.

Uso il termine affrontato, perché quando si tratta di autori del classico contemporaneo che in genere utilizzano uno stile ed un linguaggio poco agevole e semplificato, è sempre un terno al lotto.

Se vi fate un giro su Instagram troverete migliaia di recensioni su questo autore molto prolifico, tra l'altro, ma risulta anche parecchio divisivo.

Al momento per me è un po' difficile appartenere ad uno dei due schieramenti, anche perché ho solo letto la Trilogia di New York, ma ho già in rampa di lancio 4321 quindi potrò presto esprimere un giudizio parziale.

Se dovessi esprimermi solo al riguardo del libro che ho letto, mi sento di capire chi critica questo autore, perché questi tre racconti non sono immediati, e pur appartenendo un po' al genere noir, non ne rispettano le dinamiche, ed anzi appaiono parecchio complessi e strutturati.

Si parte con una banale investigazione, si va alla ricerca di qualcuno, ed in ognuno di questi racconti, si finisce con il perdere se stessi.

Basterebbe questa frase e leggere la sinossi per capire se questo libro può fare o meno al caso del lettore.

Io ho trovato Fantasmi, La stanza chiusa, e Città di vetro, tre racconti incredibili.

A prima vista sconnessi uno dall'altro, ma andando in fondo ritornano personaggi, situazioni, ed una New York eterea e particolare.

Paul Auster inserisce anche un po' di meta letteratura che rende ancora più alienante ed estrema la lettura e soprattutto ci dona dei personaggi che raramente si muovono in un contesto di genere noir, ma prendono vie traverse, ossessive ed imprevedibili.

Probabilmente è un libro che andrebbe riletto subito dopo, perché tra un racconto e l'altro è possibile cogliere dei fili sottilissimi che li legano, che a prima vista potrebbero sfuggire.

Io questo libro lo stra-consiglio, e non vedo già l'ora di affrontare quel mattonazzo di 4321.

Insomma è un po' presto per poter dire se Paul Auster sarà un autore che amerò, e leggendo le sinossi degli altri romanzi, posso ammettere di essere attratto da pochi di loro, ma per ciò che concerne questa trilogia, io sono contentissimo di averla letta.

Vi lascio con la sinossi, presa in prestito da Ibs:

Tre detective-stories eccentriche e avvincenti in cui Paul Auster inventa una sua New York fantastica, un «nessun luogo» in cui ciascuno può ritrovarsi e perdersi all'infinito. Pubblicati per la prima volta tra il 1985 e il 1987, i tre romanzi Città di vetroFantasmiLa stanza chiusa, che compongono Trilogia di New York, sono diventati classici della letteratura americana contemporanea.

In una città stravolta e allucinata, in cui ogni cosa si confonde e chiunque è sostituibile, i protagonisti di queste storie conducono ciascuno un'inchiesta misteriosa e dall'esito imprevedibile. Tutto può cominciare con una telefonata nel cuore della notte, come nel caso di Daniel Quinn (Città di vetro), autore di romanzi polizieschi che accetta la sfida che gli si presenta e si cala nei panni di uno sconosciuto detective. Ma può anche capitare che chi debba pedinare si senta a sua volta pedinato (Fantasmi); o, ancora, che ci sia qualcuno che s'immedesima a tal punto nella vita di un amico da sposarne la vedova e adottarne il figlio (La stanza chiusa). Tre detective-stories eccentriche e avvincenti in cui Paul Auster inventa una sua New York fantastica, un «nessun luogo» in cui ciascuno può ritrovarsi e perdersi all'infinito. Ed è proprio nell'invenzione di questa solitudine che i personaggi della Trilogia misurano il proprio io e scoprono il loro vero destino.



Alla prossima! 


martedì 11 agosto 2020

Scrittori che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Italo Calvino

 Tempo fa, non ricordo esattamente quando, su un sito lessi un bell'articolo su Marcovaldo di Italo Calvino, che fece sì che mi interessassi a questo autore.

In genere mi segno libri ed autori che mi interessano nelle note del telefonino, sperando di imbattermici nelle mie sortite al mercatino dell'usato.

Sono stato fortunato perché nemmeno un mese dopo sono entrato in possesso a pochi spicci sia di Marcovaldo che de Il Barone Rampante.

L'edizioni sono quelle che sono, quella de Il Barone Rampante è addirittura un'edizione da narrativa scolastica, mentre quella di Marcovaldo appartiene a quelle de Il Novecento Italiano che usciva in allegato con La Famiglia Cristiana.

Edizione di cui ho già altri libri, e che non mi dispiace come cura e formato.

Calvino mi è stato utile.

Entrambi i libri sono piuttosto leggeri ed associabili alla letteratura giovanile, e ne avevo bisogno, visto che non ero in un periodo tranquillissimo.

Al di là dello stile sicuramente molto ricercato, le due storie sono quasi favolistiche con delle morali di fondo semplici, ma ben radicate.

Marcovaldo è un libro splendido.

Mi ha ricordato un po' Fantozzi per il suo andazzo tragicomico, ma anche opere familiari come la saga di Maulassène di Pennac.

L'idea di scandire capitoli, tempo narrativo ed avventure attraverso le quattro stagioni l'ho trovata geniale, ed ogni capitolo diverte e appassiona.

Marcovaldo è uno sfigato cronico ed ingenuo, ma che si ingegna in ogni modo per portare a casa la pagnotta, e tutto l'ambiente cittadino in cui si muove è strutturato benissimo.

Un microcosmo perfetto come un orologio svizzero.

Un racconto umoristico dal sapore agrodolce che mi ha avvinto moltissimo.

Lo consiglio vivamente.

Il Barone Rampante sembra quasi più una parabola fantasy per ragazzi, scritta in modo altrettanto divino, ma forse non per tutti.

La storia è molto semplice: un ragazzino nobile di dodici anni arrabbiato con i suoi genitori decide di salire sugli alberi e vivere su gli stessi, e di non toccare mai più terra.

Lo farà veramente, e vivrà la sua vita non toccando più il terreno con i piedi.

Avrà il tempo di vivere avventure ogni tipo, storie d'amore, e persino di studiare e conoscere alcuni luminari.

Il romanzo è ambientato nel settecento con echi dei tumulti sociali di quel periodo.

Un libro che sembra semplice sulla carta, ma che è una lettura ben strutturata e  complessa.

Insomma Calvino mi è sembrato un narratore che riesce ad unire semplicità e ricercatezza dello stile, muovendosi in abile modo tra fiaba e realtà, e tra il dolce e l'amaro.

Se mi capita, leggerò certamente altro di suo.

Se è destino ci incontreremo ancora.


Buon Ferragosto ed alla prossima!



lunedì 11 maggio 2020

Scrittori italiani che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Cesare Pavese

" Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi. "

Sono bastati due titoli molto evocativi, due sinossi che lo erano altrettanto, e il passo iniziale della poesia citata in alto a spingermi a leggere le opere di Cesare Pavese.
Quel che ho trovato è uno scrittore molto lirico, pacato, e le cui storie estive e torride di paese, mi hanno ricordato due degli autori di questo genere che amo di più, Ray Bradbury e Kent Haruf.
La differenza è che Pavese ha una visione della storia molto più adulta e simbolica, mentre i due sopracitati puntano più sul sentimentalismo e l'empatia.
Non che queste non ci siano in Pavese, ma sono meno dirette.
Soprattutto ne Il diavolo sulle colline.

Entrambe le storie sono ambientate nella valle del Belbo, ma attraverso degli occhi diversi.
Ne Il diavolo sulle colline da tre giovani studenti universitari e ne La luna e i falò attraverso il ritorno e i ricordi di un uomo andato via e ritornato al paese.




Il diavolo sulle colline fa parte di quella che è considerata la cosiddetta trilogia della bella estate.
Opera che tra l'altro gli valse anche il premio Strega.
Non so se e quando leggerò gli altri due volumi, non escludo di farlo, ma non lo farei adesso, sono onesto.

Su Instagram mi espressi così:

Un racconto molto poetico, pacato e poco immediato ma che racchiude molti simbolismi e mette in contrasto la vita ed i ritmi più lenti della vita di campagna, con quelli più sfrenati e spregiudicati della borghesia.
Queste due anime si congiungono con risultati imprevisti dopo quella che è un'apparizione notturna ed improvvisa di un ragazzo di città nella vita di tre studenti d'università di campagna.
Scrittura splendida, ma che a volte sembra incompiuta.
Mi ha lasciato sensazioni contrastanti, ma sono propenso ad amarlo.
Anche perché è uno di quei libri che ti stimola riflessioni successive, e quando accade è sempre un bene.
Pavese mi piace, e sono già pronto per La Luna e i falò.

Ma chi è il diavolo sulle colline?
Il diavolo è un uomo.
E' Poli.
Porta con sé il peccato, la violenza, un nuovo punto di vista, porta la borghesia nella normalità e nello scorrere quotidiano e rurale degli eventi nella vita di tre universitari che si fanno delle domande e a cui forse quella vita comincia a stare stretta.
E' lo scontro/incontro di due punti di vista e di modi di vivere diversi.
E' molto simbolico e potentissimo il suo arrivo.
L'apparizione improvvisa di un auto che si ferma al buio e di un uomo al volante che sembra morto, come precipitato in quella valle.
L'arrivo di qualcosa di alieno.
Un'apparizione che sconvolgerà le loro esistenze.
Un libro molto, molto bello.
Non immediato, ma che attraverso i suoi dialoghi e i suoi simbolismi, lascia parecchio.
Possiamo definirlo tranquillamente un romanzo di formazione.
Poli porta il lusso, la tentazione e la decadenza, in un certo senso porta l' America di Fitzgerald tra le campagne.
Ed il fascino che la moglie di Poli emanerà in tutti e tre i protagonisti, ne è un esempio lampante.
Quello che ho apprezzato di più è che il protagonista funge proprio da Io narrante.
Un protagonista di cui il lettore non saprà il nome, perché quel personaggio è lo scrittore stesso.





" Che cos'è questa valle per una famiglia che venga dal mare, e che non sappia nulla della luna e dei falò? "


Altrettanto lirico, ma ben più diretto è La luna e i falò.
Qui si entra dritto nella valle delle rimembranze.
Il luogo è sempre la valle del Belbo, subito dopo la seconda guerra mondiale, che non pochi strascichi ( e cadaveri ) ha lasciato anche nella rurale e classica vita di paese.
Ma che non ne ha cambiato le abitudini.
E' la storia di un uomo che torna a casa.
Torna dove è cresciuto, in un racconto scandito dal ritmo brado, rude e torrido della vita di paese, e quello più travolgente dei ricordi.
I più forti e simbolici dei quali, sono quelli inerenti la vita ed il destino di tre giovani ragazze a cui quel paese stava stretto e che si sono bruciate in fretta, come legna da ardere.

La Luna e i falò ha dei punti in comune con Il diavolo sulle colline, ma verte più sulla consapevolezza, sulla maturità di un uomo che ha già vissuto.
" Su bastardo, torna a casa. ", disse una volta qualcuno.
E Anguilla ritorna.
Non trova la sua casa di un tempo, dove da orfano fu accolto, ma ritrova il suo paese e la sua rudezza, trova i suoi ricordi, e un ragazzino zoppo che gli ricorda se stesso.

Anche qui narrazione e dialoghi strepitosi, per una storia che non arriva subito.
Pavese non è uno scrittore facile e immediato, ma è dannatamente bello da leggere.
Questi due libri sono pieni di frasi da sottolineare ed amare, ma non di immediata comprensione come un Kent Haruf o di  Ray Bradbury quando parlano delle stagioni nella vita di provincia.
Haruf e Bradbury ti lasciano con una sorta di nostalgia sognante.
Pavese ti confonde e ti costringe a fare i conti con le tue riflessioni.
E spesso quella nostalgia più che sognante, sa di dura realtà.
Va coltivata.
E colta.


Alla prossima!







venerdì 1 maggio 2020

In quarantena con Francis Scott Fitzgerald

" Ma alle tre del mattino, un pacchetto dimenticato assume la stessa importanza tragica d'una condanna a morte, e la cura non ha effetto, e in una reale notte in fondo all'anima sono sempre le tre del mattino, giorno dopo giorno."

Ho desiderato per tanto tempo di imbattermi in Fitzgerald solo per questa frase, trovata come aforisma in non so quale libro, in pagina bianca, prima di un capitolo iniziale.
Però tempo e desiderio non sempre coincidono.
E non sempre coincidono con la mia volubilità letteraria, che è molto incostante.
La verità è che quando mi sono imbattuto nel Mammut con gran parte delle opere di Francis, ho avuto paura. Ho avuto paura della mole del libro e del fatto che avevo già una nutrita pila di libri da iniziare e portare a termine.
Ho rimandato e rimandato per settimane che poi sono diventate mesi, e solo adesso, complice la penuria di libri e la quarantena, ho trovato il coraggio di affrontarlo.
E com'è andata?

E' andata che Fitzgerald è un grandissimo, ma che non è propriamente nelle mie corde, ed adesso bestemmio, a parte Il Grande Gatsby ed alcuni racconti della raccolta dell' Età Del Jazz, mi sono spesso impantanato, tanto da dovermi dedicare ad altre opere, perché la lettura mi era risultata pesante e prolissa.

C'è del bello nelle atmosfere delle storie di Fitzgerald.
L'atmosfera dell'America del primo novecento, i cambiamenti in corso d'opera della pre o post grande guerra, le feste sfrenate e l'alcool, il proibizionismo e la ricerca smodata della ricchezza e degli agi.
E soprattutto le donne dei suoi romanzi: tutte bellissime, tutte ricche non solo di fascino, ma anche di potere, soprattutto seduttivo.
Quelle donne che sono le vere protagoniste dei suoi romanzi.
Spesso quasi irraggiungibili e smaniose, e che alla fine della giostra, cadono sempre in piedi rispetto alla controparte maschile tutta uguale in ogni racconto e romanzo, uomini spesso in odore di decadenza e nichilismo da trasudare l'ineluttabilità.

Ecco ciò che non ho molto apprezzato nelle sue storie, tutti gli uomini sono uguali, è come se in un certo modo, Francis abbia messo molto di se stesso nelle sue opere.
Tutti gli uomini delle sue storie sono mossi dallo stesso senso di arrivismo, inadatti alla vita ed al lavoro, se non nella ricerca di una eredità o di un amore troppo spesso fragile ed idealizzato.
E se in Al di qua del paradiso tutto questo è appena abbozzato poiché è un racconto di formazione giovanile che trasuda intraprendenza, rabbia  e inesperienza ed anche un po' di arroganza tipica di un personaggio di quell'età, già traspare moltissimo nel suo secondo romanzo, Belli e Dannati.
Una storia d'amore forte e distruttiva.

Ovviamente ogni personaggio va contestualizzato a quel periodo, ma l'uomo di Fitzgerald è fragile e debole, difficilmente amabile.
Ed ho idea che i primi due romanzi siano quasi di preparazione per quel che sarà il suo grande capolavoro, Il Grande Gatsby.

Persino lui, il grande e famigerato Gatsby, è mosso da un desiderio naturale, quanto banale, come l'amore idealizzato.
Il Grande Gatsby rispetto a Tenera La Notte, Belli e dannati e Al di qua del Paradiso, ha però una struttura narrativa molto più avvincente e coesa, che comunque me lo ha fatto apprezzare di più.
E' un gran romanzo, anche se purtroppo avendo visto il film di Luhrmann poco tempo fa, mi ero già spoilerato gli eventi principali.
Avrei voluto arrivarci vergine alle pagine finali, dove probabilmente mi avrebbe ferito di più.
Resta però un romanzo che mi piacerebbe ritrovare in formato cartaceo e che vorrei inserire nella mia libreria.
Delle altre storie mi restano tante belle frasi, tanti bei dialoghi, e le splendide descrizioni dell'America e di altri luoghi di quel periodo storico, il che non è poco, ma non mi hanno lasciato moltissimo.

Bellissimi invece I Racconti dell'età del jazz, che forse proprio perché più brevi, arrivano subito al punto risultando oltremodo gustosi.
E' probabilmente l'opera che ho trovato più di mio gradimento del libro.

Di tenera è la notte posso dire poco, credo che ci sia molto d'autobiografico nella storia, visto che la moglie del protagonista è gravata da uno squilibrio mentale, molto simile a quello della moglie dello scrittore.
Anche qui protagonista è l'amore forte, ma incostante, e con una controparte maschile che lo è altrettanto, come in ogni opera di Fitzgerald, dopotutto.
Non credo che Francis avesse una grande opinione del genere maschile, visto le vicissitudini tendenti all'oblio dei suoi personaggi.

Passare comunque la quarantena con Francis è stato bello, e di questo lo ringrazio.
E' stato impegnativo, spesso al limite dell'arrendevolezza, ma riconosco che è un limite mio.
Sono anche giustificato dal fatto che sono state 1300 pagine di storie.
Io non sono all'altezza della sua narrativa alta e pomposa, ma in qualche modo, ho indossato l'abito nuovo e mi ci sono imbucato.
E per un po' sono stato anch'io in una delle grandi feste di Gatsby e in quel pontile a guardare da lontano il bagliore di una luce verde.

" E così andiamo avanti, barche contro la corrente, incessantemente trascinati verso il passato."

Alla prossima!


mercoledì 11 marzo 2020

Scrittori italiani che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Alberto Moravia

Dopo che lessi L'isola di Arturo di Elsa Morante, da buon estimatore delle storie di formazione, mi venne quasi automatico leggere successivamente Agostino di Alberto Moravia.
I due romanzi sono abbastanza sovrapponibili e similari, così come lo sono stati i due autori, che hanno avuto una storia d'amore travagliata.

Tempo fa, quando era ancora possibile uscire di casa e frequentare ambienti affollati in tutta sicurezza, mi trovai nella mia bancarella dell'usato di fiducia, che quel giorno vendeva libri ad 1 Euro.
Non avendo resto da darmi, fui " costretto " a comprare cinque libri, e l'ultima scelta ricadde su Gli Indifferenti di Moravia, che ho aggiunto alla pila e portato a casa.

Non mi aspettavo mi piacesse così tanto, dico la verità.
Se Agostino rispecchia in toto i miei gusti e quindi giocava relativamente facile, su Gli Indifferenti conoscevo poco o nulla, e sono tra quelli che non ha mai visto la rinomata riduzione cinematografica.

Al di là della scrittura, che in qualche espressione a me non piace ( quella ridondanza del termine amante usato sia per la madre che per la figlia a me disturba ), devo dire che ha lasciato parecchio, anche in termini di riflessioni successive.

Si fa fatica ad empatizzare con i personaggi, e si fa fatica ad apprezzarli.
La famiglia protagonista, nessuno escluso, è composta da personaggi astiosi, in qualche modo in balia degli eventi e della figura di Leo, un vero e proprio approfittatore che non solo mette le mani su mamma e figlia, ma punta anche alla villa della famiglia nonché unico bene di una famiglia ormai in declino totale.

Tra tutti spicca la figura del figlio minore Michele, un ragazzo indolente ed indifferente a tutto, anche alle difficoltà familiari, vinto dalla noia e dall'apatia, costretto a fingere in ogni ambito degli interessi che non ha, persino sentimentali.

Moravia scrisse questo libero da giovanissimo, dopo una lunga degenza in sanatorio, ed è sicuramente frutto di un periodo di attesa e monotonia.
La quotidianità dell'esistenza, la paura della solitudine e di una vita senza ambizioni, sono sentimenti comprensibili, che io stesso ho provato e provo tutt'ora.
Moravia ce ne da una dimostrazione perfetta con questo romanzo che non esito a definire splendido.
Sembra quasi un'opera teatrale, circoscritta a pochissimi personaggi e quasi ambientata unicamente nella villa di famiglia.
Il più degli eventi si svolge a tavola o in salotto.

Come dicevo più su, è difficile amare questi personaggi, ma molto più facile comprenderli.
Soprattutto Michele e la sorella.

Qui sotto la sinossi, presa da Amazon:

"Quando Alberto Moravia cominciò a scrivere questo capolavoro, nel 1925, non aveva ancora compiuto diciott'anni. Intorno a lui l'ltalia, alla quale Mussolini aveva imposto la dittatura, stava dimenticando lo scoppio d'indignazione e di ribellione suscitato nel 1924 dal delitto Matteotti e scivolava verso il consenso e i plebisciti per il fascismo. Il giovane Moravia non si interessava di politica, ma il ritratto che fece di un ventenne di allora coinvolto nello sfacelo di una famiglia borghese e dell'intero Paese doveva restare memorabile. Il fascismo eleva l'insidia moderna dell'indifferenza a condizione esistenziale assoluta."



Alla prossima!

martedì 22 ottobre 2019

Scrittori italiani che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Dino Buzzati

La prima volta che lessi Il Deserto Dei Tartari è stato come essere colpiti da un macigno.
Non voglio parlare del romanzo, anzi non oso, perché ci sono migliaia di interpretazioni sul simbolismo dell'opera e tanti assist d'immedesimazione che parallelamente ci portano al nostro vissuto.
Per me, per esempio, è un romanzo che un giovanissimo non dovrebbe leggere, dubito che riesca a capire il dilatarsi come un elastico del tempo, la noia del vivere, la sensazione di aspettare un qualcosa che non arriverà mai o arriverà quando non avrai più la forza.
Io, l'apatia del vivere, del restare, dell'aspettare, la vivo quotidianamente, ed è per questo che ho sofferto entrambe le volte che ho letto questa storia, ma è stata una sofferenza che sono stato contento di provare, come sempre quando si tratta di un romanzo che mi porta a riflettere e che mi resta in testa per ore, giorni o settimane.
Se non lo avete mai fatto leggete Il Deserto Dei Tartari, è uno di quei rari casi in cui la parola capolavoro non è quel termine stra-abusato come per la qualsiasi roba mainstream che circola oggigiorno.

Questo romanzo mi spinse un po' all'epoca ad informarmi sulla figura di Dino Buzzati e sulle sue altre opere reperibili.
Non è un autore che ha scritto molto, purtroppo.
Anche perché è stato un artista a tutto tondo essendo anche giornalista, saggista, e persino pittore.
Ho trovato alcuni suoi editoriali sulla rete e posso dire che li ho trovati lirici e splendidi come poche cose che ho letto?
Le sue parole sull'allunaggio e sulla morte di Marilyn Monroe erano di una sensibilità unica.

Qualche tempo dopo in una bancarella dell'usato vidi spuntare una copia vetusta e sbiadita di Un Amore e non me la sono fatta scappare.
Un romanzo che non raggiunge le vette de Il Deserto Dei Tartari in quanto a stile e lirismo, e che anzi è una sorta di flusso di pensieri febbrile, come d'altronde lo sono spesso gli amori, specie quelli non corrisposti.
L'amore in fondo è una malattia, spesso improvvisa, da cui è difficile difendersi lucidamente.
E spesso la cura destabilizza il corpo più della malattia.
La storia è basata su un suo vissuto personale e ricorda un po' vagamente il molto più famoso e conturbante racconto di Nabokov Lolita.
I sentimenti che suscita la figura di Antonio Dorigo in corso d'opera sono molti e contrastanti.
Un po' compatimento e imbarazzo, a volte rabbia, a volte comprensione soprattutto per chi ha vissuto amori impossibili o poco chiari, spesso incasellati in un percorso fragile e ambiguo.
La figura di Laide appare a prima vista come una ragazza svampita, opportunista e che accetta la corte del borghese di turno solo per soldi, e per gran parte del romanzo conosceremo a malapena il suo punto di vista, essendo il racconto narrato attraverso i pensieri e le gesta di Antonio Dorigo.
Un pensiero non proprio lucidissimo, lasciatemelo dire.
Non è facile parlare di amori malati, e spesso questo tipo di narrazione lo tollero poco, ma Un Amore mi è piaciuto.
Forse è un po' troppo fitto per i miei gusti, ma lo si legge con piacere.

Certo, di storie simili, di uomini di una certa età, professionisti che inseguono la giovinezza perduta, attraverso ragazze giovani che vendono l'amore se ne vedono e leggono di ogni, sia nella fiction che nella realtà, ma penso che all'epoca un romanzo così forte nelle tematiche ( per quanto accennate ) un po' di scalpore deve averlo fatto.

Adesso spero di riuscire a reperire anche la raccolta di racconti La Boutique Del Mistero, ma confido prima o poi di ritrovarmela davanti in qualche mercatino dell'usato, come accaduto con i primi due libri.


Alla Prossima!


martedì 10 settembre 2019

Viaggio Al Centro Della Terra Di Jules Verne e...nelle mie reminiscenze e nelle mie tasche

Ho sempre pensato che lo stile dei scrittori del passato fosse migliore.
Ampolloso, forse, talvolta noioso, ma stilisticamente di un altro pianeta.
E mi riferisco ad opere di stampo fantasy ed horror e non a Proust o Joyce.
Nella scrittura alta sarebbe la normalità assodata come affermazione, ma nell'horror e nel fantasy non è così assiomatica come cosa.
Oggi vi è in atto una scrittura molto più asciutta e affettata, ed anche piuttosto ermetica e vaga.
Soprattutto nelle opere più moderne.
Persino Stephen King ( di cui sono comunque indietro di tre romanzi ) non sfugge a questa regola.

In questi giorni mi è capitato di leggere Viaggio Al Centro Della Terra di Jules Verne e mentre lo leggevo mi sono chiesto: " Ma è la stessa opera di cui avevamo letto alcuni stralci nel libro di letture all'epoca della scuola elementare?"
E' scritto in modo lineare, ma è pieno di concetti e spiegazioni di stampo geofisico e paleontologiche credo difficile da cogliere all'epoca per un imberbe qual ero.
Ed anche adesso, mentre lo leggevo, alcuni aspetti mi erano alieni e sconosciuti.


Ed infatti io questo romanzo me lo aspettavo più sempliciotto e leggero, ma invece, è un libro con i fiocchi!
Forse oggi sorpassato e bollato come inverosimile ( nonostante sia un fantasy d'avventura fatto e finito), ma terribilmente bello e affascinante.

L'edizione della Hetzel venduta a 1,99 è per altro veramente molto curata e pregiata e condita da bellissime illustrazioni.

Non credo che prenderò tutte le uscite delle opere di Verne, ma è sicuro che quella dedicata a 20.000 Leghe Sotto I Mari non me la farò scappare.

Quest'edizione da edicola è andata subito a ruba ed io ci ho messo una settimana a trovarla, segno che tutto sommato esiste ancora chi legge e compra libri.
O almeno io spero che sia per questo motivo e non per altri aspetti legati alla domanda ed all'offerta.

In questo momento in cui scrivo dovrebbero essere già stati pubblicati altri due libri di Verne, e meriterebbero almeno un'occhiata.

Vorrei più uscite di questo tipo e lo dico con tutto l'egoismo di questo mondo, visto che purtroppo raramente posso permettermi di comprare nuove uscite.

E dire che da questo punto di vista è un bellissimo periodo di uscite: I Testamenti di Margaret Atwood, L'istituto di Stephen King, ed Il Signor Diavolo di Pupi Avati, io avrei voluto leggerli e comprarli.

Ed invece eccomi a far la spola tra mercatini, gazebo, e negozi ammuffiti alla ricerca del prezzo migliore a cui strappare un libro.
Una roba che porterebbe qualsiasi libraio a considerarmi un pezzente o giù di lì.

Ho sempre odiato il denaro ( come concetto ), ma vorrei averne di più da poter spendere in libri.
Ma con i libri non ci si mangia e non ci si veste, e non ci si paga le bollette.

Nel caso mio e della letteratura il nostro rapporto potrebbe essere definito in: Due cuori e una bancarella.


P.s: mi rendo conto che è un post un po' così, ma dopo un mese di pausa le mie dita e la mia mente hanno bisogno di fare un po' di rodaggio.
Fuori ci sono le nuvole e un po' di grigio, forse pioverà, ma io non ho ancora voglia di tornare a bloggare del tutto.
Non oggi, almeno.
Voglio ancora per un po' abbandonarmi alla realtà.


Alla prossima!



lunedì 5 agosto 2019

La Reliquia - James Herbert

Ho già parlato di James Herbert e di quanto mi piacciano le sue opere, quindi non avrei voluto ripetermi, ma nell'ultima sortita al mercatino dell'usato è saltato fuori questo romanzo che ho cercato per tanto tempo e quindi mi è sembrato naturale parlarne, se non altro per pura divulgazione.
Faccio questo post solo per questo motivo.
In modo che si sappia che esiste gente che legge ancora questo autore che meriterebbe di essere ristampato in una veste non migliore ( io adoro gli Urania ), ma semplicemente più moderna, in modo che possa avvicinare molti altri appassionati di fantascienza o comunque lettori di qualsiasi genere.

Nelle ricerche di Google ci sarà una persona in più che avrà letto questo romanzo e lo avrà apprezzato: Io.
E se anche una sola persona leggerà questa mia e poi leggerà il libro, sarà per me una vittoria, perché ritengo Herbert una lettura piacevole.

Dico piacevole perché voglio essere onesto. Herbert è uno scrittore la cui scrittura è molto più votata all'azione e meno alla costruzione della storia rispetto ad un Matheson o Stephen King e le sue storie non hanno il lirismo di Ray Bradbury, però regalano emozioni e divertimento a non finire, anche nelle scene più truculente.

Rispetto però alle altre opere che ho letto di questo autore, La Reliquia è un romanzo molto più corposo e coeso, almeno inizialmente.
Ed in più ci sono anche delle piccole chicche che meritano.
Le estrapolazioni di frasi attribuite ad Himmler o Hitler che aprono ogni capitolo, per me arricchiscono e non poco la lettura di questo libro peculiarissimo.
Senza contare le citazioni all'opera Parsifal di Wagner ( che io nella mia ignoranza non conoscevo ).

Al di là del fatto che ad un certo punto diventa un romanzo d'azione tout court come nelle caratteristiche dell'autore, posso affermare tranquillamente che La Reliquia è il suo romanzo più " serio " quello che meriterebbe più in assoluto di essere letto.

E se siete appassionati di occultismo e fantascienza di stampo militare, questo è il romanzo che fa per voi.
In più è un romanzo ricco di azione che può essere associato al genere delle spy story.

Che il Dio dei libri benedica gli Urania!

Alla prossima!

P.s: vi lascio con la sinossi del retrocopertina ( non molto chiara in realtà ):

James Herbert è l'autore di Nebbia (Urania n. 702), Il superstite (n. 724), L'orrenda tana (n. 854), memorabili storie di horror tra il fantascientifico e il soprannaturale. Ecco alcuni giudizi di quotidiani inglesi su questo suo nuovo romanzo: "Un incubo... Una lettura che vi incatena col fascino dell'orrendo". - London Daily Mirror "Un culto magico di neo-nazisti in Inghilterra... Una donna crocifissa in una strada di Londra... Himmler risuscitato... Scene e situazioni del più tipico Herbert." - Birmingham Evening Mail "Terrificante" - Manchester Evening News





martedì 16 luglio 2019

Scrittori italiani che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Michele Mari

Al di là della sua prosa forse un po' troppa fitta ed accademica per i miei gusti, devo ammettere che mi sono lasciato sedurre dai libri di Michele Mari.
Entrambe le opere che ho letto mi hanno convinto, ed in futuro leggerò sicuramente altri suoi libri.
La mia ritrosia per la letteratura gotica e del mistero italiana è ben nota a chi mi conosce, ma a volte mi lascio convincere a vincere le mie insicurezze ed a sperimentare, e vittoria è stata, in quasi tutti i sensi.
Ci ho messo un po' a lasciarmi andare,  ho letto varie recensioni, letto sinossi, sentito stories su stories sui suoi romanzi, ed alla fine ho deposto lo scudo del pregiudizio, ed ho sconfitto la mia esterofilia.


La lettura di Verderame e Roderick Duddle non è stata indolore, perché a me lo stile di Mari non piace, trovo la sua scrittura un po' fitta e "stilosa", ma è un problema mio, perché entrambi i libri dal punto di vista della trama mi sono piaciuti molto.

L’estate del 1969 sembra interminabile, tra gli sceneggiati con Arnoldo Foà, le pagine dei romanzi d’avventura e il caldo immobile del lago Maggiore. Michelino ha tredici anni e ha già letto troppi libri, Felice ne ha sessanta e sta perdendo la memoria: il primo deve trascorrere le vacanze dai nonni, in una casa enorme e misteriosa di cui il secondo è da sempre il custode. Per ingannare la noia, Michelino si inventa un gioco: rimettere ordine fra i ricordi di Felice, «l’uomo del verderame» – incarnazione mitica e spaventosa di migliaia di mostri fantasticati.
La memoria di Felice si sta sbriciolando: per tutta la vita si è occupato della grande casa di campagna dove Michelino trascorre le sue vacanze, dell’orto, del verderame da spargere sull’uva, dei conigli da ingrassare, poi uccidere e scuoiare. Ma adesso qualcosa sembra non funzionare più. I suoi ricordi riaffiorano sfalsati e contraddittori, componendo una geografia mentale sempre più inaffidabile.
Felice all’improvviso si mette a raccontare una balzana storia di esuli russi, di francesi che parlano sottoterra, di scheletri in divisa nazista: e le lumache che appestano l’orto si trasformano in nemici invincibili, sentinelle di un mondo ctonio e minaccioso. Quale sfida migliore, per un ragazzino che si annoia, di un «viaggio al centro della testa» di quest’orco bonario che da sempre accende la sua immaginazione? Così Michelino si ritrova, come un piccolo Sancho Panza, scudiero nella lotta di Felice contro il mulinare impazzito della sua memoria, consigliere e compagno nella battaglia disperata che l’uomo sta combattendo dentro di sé.
Giocando con la tradizione del romanzo d’avventura – e innestando nell’immaginario di Stevenson le ossessioni di Edgar Allan Poe – Michele Mari conduce il lettore lungo un percorso imprevedibile alla scoperta dei propri demoni. Con una passione affabulatoria mai così divertita e travolgente, illumina ancora una volta la natura «sanguinosa» dei ricordi d’infanzia. E riesce così a sfiorare un territorio altro, una zona d’ombra dove ciascuno di noi ha un doppio che lo attende, e poco importa se non sappiamo dargli un nome, «perché non ci dobbiamo preoccupare della storia delle cose e delle parole, dobbiamo usarle solo per il nostro comodo».


Verderame è un libro molto particolare, un racconto di formazione e del mistero dai toni forse un po' troppo accademici e ricercati, ma che mi è piaciuto molto.
Ho sofferto un po' la scelta di far parlare ad uno dei personaggi principali un dialetto lombardo così stretto che per un calabrese come me è quasi un'altra lingua, visto che capivo una parola su quattro, ma sono scelte di narrazione che non possono essere discusse.
D'altronde è più naturale che un giardiniere un po' tocco che non ha fatto altro nella vita parli il dialetto piuttosto che si esprima in un italiano perfetto.
La mia sensazione è che Verderame non scorra benissimo, ma tiene incollato fino alla fine, se non altro per carpire del tutto cosa frulla nella testa "visionaria" di Felice.
Un romanzo sicuramente ampolloso, ma che è in toto il mio genere.


Roderick ha dieci anni, e tutto quello che possiede è un medaglione. Ancora non lo sa, ma quell’oggetto lo porterà piú lontano di qualsiasi nave al largo dell’oceano. Figlio di una prostituta, cresce tra furfanti e ubriaconi in una fumosa locanda con annesso bordello. Quando la madre muore, il proprietario pensa bene di cacciarlo: quello che entrambi ignorano è che nel destino di Roderick è nascosta un’immensa fortuna, e il medaglione che porta al collo ne è la prova. Il ragazzino si ritrova alle calcagna una folla di balordi, loschi uomini di legge, suore non proprio convenzionali, tutti disposti anche ad uccidere per averlo. E cosí fugge, per terra e per mare, in un crescendo di equivoci e imprevisti rocamboleschi, tragici ed esilaranti, come ogni vita romanzesca che si rispetti. Con Roderick Duddle Michele Mari ha scritto una storia capace di rifondare il gesto stesso del narrare. Un libro travolgente, dal quale non si vorrebbe piú uscire.



Roderick Duddle è innanzitutto un bel mattone, ma molto più scorrevole di Verderame.
In bilico tra atmosfere dickensiane e di provincia ( la copertina è molto esplicativa in tal senso ) e da una parentesi narrativa di avventure marittime che ricordano un po' L'ammutinamento Del Caine o L'isola Del Tesoro.
Un libro che intrattiene e coinvolge.
Mi hanno però lasciato perplesso alcune scelte narrative.
In questo romanzo Mari parla più volte con il lettore, rompendo la quarta parete, rendendo così un po' più lieve la portata degli eventi, come se in fondo, volesse alleggerirne le dinamiche, ed è un vero peccato, perché Roderick Duddle è un romanzo pieno di personaggi senza scrupoli e piuttosto interessanti.

Non che non ci siano eventi nefasti, anzi ve ne sono in abbondanza, ma lo scrittore viene troppo spesso in soccorso del lettore, come se in fondo volesse rassicurarlo, ed è un peccato perché personaggi come Il Probo, La Badessa, Salamoia, Jones o la bellissima e conturbante Suor Allison avrebbero sollucherato ancora di più il lettore senza le avvertenze dello scrittore.
La sua presenza in quanto narrante spesso e volentieri anticipa le dinamiche della trama rendendo prevedibili gli eventi più shockanti.
Nonostante ciò le peculiarità dei personaggi e i ribaltamenti continui di trama ( il povero ragazzino protagonista ne vive di ogni, ma d'altronde è un personaggio dichiaratamente dickensiano ) fanno di Roderick Duddle un gran bel romanzo che mi ha avvinto fino alla conclusione.
Anche qui c'è qualche vezzo stilistico dello scrittore: in questo caso le lettere sgrammaticate del signor Jones, ma in questo caso almeno sono comprensibili.
In generale è un gran bel romanzo che mischia molti elementi e lo fa bene.
E' anche molto conturbante e malizioso, soprattutto nel personaggio di Suor Allison, una donna ermafrodito capace di suscitare erotismo in quasi tutti i personaggi che popolano il romanzo, certamente il personaggio più bello di tutto il libro.

Michele Mari, tra me e te non finisce certo qui, e non è una minaccia, ma una promessa di lettura.

P.s: entrambe le sinossi sono prese dal sito di Einaudi, la casa editrice che detiene i diritti delle opere di Michele Mari.


Alla prossima!





venerdì 5 luglio 2019

Lonesome Dove - Larry McMurtry

Ecco un libro che mi ha inizialmente scoraggiato per via della sua maestosità, e che poi paragrafo dopo paragrafo e capitolo dopo capitolo ho iniziare ad amare immensamente, tanto da non volermene separare più.
Quando trovo un libro che riesce a scardinare le mie difese e da cui mi sento sopraffatto, poi più niente sembra avere più senso, e qualsiasi prossima lettura deve attendere che io riesca a superare la sindrome da abbandono che mi prende dopo un libro così bello.

Lonesome Dove si candida a essere una delle letture della mia vita.
E' un romanzo così bello che mi ha annichilito.
Non avrei mai pensato che un giorno mi sarei appassionato alla narrativa western e che soprattutto ci sarebbe stato un genere capace di rivaleggiare con il mio primo amore che è l'horror.

Eppure prima Steinbeck con Furore, Uomini & Topi e La Valle Dell'eden che mi hanno avvicinato alle storie rurali della provincia americana e poi Cormac McCarthy, Kent Haruf ed adesso Larry McMurtry mi stanno trascinando inesorabile in una nuove fase letteraria della mia vita, pregna di emozioni ed amore infinito.

Pregna di viaggi, bivacchi, sparatorie, mandrie da catturare, saloon, puttane, coraggio ed onore.
Un po' mi riportano ai film western che amavo da bambino, ma allora facevo poco caso ai personaggi ed a ciò che provavano, ma solamente alle sparatorie ed a dove venivo trascinato dalla trama.

Lonesome Dove è un vero e proprio viaggio, non solo letterale, ma nell'anima di ogni personaggio che ne prende parte.
Ma andiamo di sinossi, che è presa in prestito dal sito di Einaudi ( la casa editrice che ha ripubblicato in nuova edizione questa perla ):

Leggenda e realtà, eroi e fuorilegge, indiani e pionieri, un’odissea attraverso le Grandi Pianure e la morte come sola compagna di viaggio, la malinconia di un’epoca al tramonto e l’eccitazione di una cavalcata selvaggia. L’avventura che non finirà mai: questo è il West.
In uno sputo di paese al confine fra il Texas e il Messico, Augustus McCrae e Woodrow Call, due dei piú grandi e scapestrati ranger che il West abbia conosciuto, hanno cambiato vita: convertiti al commercio di bestiame, ammazzano il tempo come possono. Augustus beve whiskey sotto il portico e gioca a carte al Dry Bean, mentre Call lavora sodo dall’alba al tramonto e continua a dare ordini a Pea Eye, Deets e al giovane Newt. La guerra civile è finita da un pezzo e la sera, sul Rio Grande, non si incontrano né Comanche né banditi messicani, ma solo armadilli e capre spelacchiate. L’equilibrio si spezza quando, dopo una lunga assenza, torna in cerca d’aiuto un vecchio compagno d’armi, il seducente e irresponsabile Jake Spoon, che descrive agli amici i pascoli lussureggianti del Montana e cosí dà fuoco alla miccia dell’irrequietezza di Call: raduneranno una mandria di bovini, li guideranno fin lassú e saranno i primi a fondare un ranch oltre lo Yellowstone. È l’inizio di un’epica avventura attraverso le Grandi Pianure, che coinvolgerà una squadra di cowboy giovani e maturi, oltre a un folto gruppo di prostitute, cacciatori di bisonti, indiani crudeli o derelitti, trapper, sceriffi e giocatori d’azzardo: decine di piccole storie che s’intrecciano tra loro ed escono dall’ombra della grande Storia americana. Lonesome Dove è un libro leggendario, il vero grande classico della letteratura western, l’opera che raggiunge il culmine di un genere e allo stesso tempo chiude un’epoca. Non a caso c’è il cinema all’origine del romanzo: all’inizio degli anni Settanta, Peter Bogdanovich vuole girare un film in omaggio al suo maestro John Ford, con John Wayne, James Stewart e Henry Fonda nelle parti principali. McMurtry scrive il copione: nasce cosí il primo abbozzo di Lonesome Dove, sebbene con un altro titolo. Alla fine il progetto non giungerà in porto, ma quella storia continua a ronzare nella testa di McMurtry per piú di dieci anni, finché non decide di scriverci un romanzo. Lonesome Dove negli Stati Uniti è subito salutato come un capolavoro e vince il Pulitzer nel 1986. In seguito verrà adattato in una mini-serie televisiva, con Robert Duvall e Tommy Lee Jones, che ottiene un grandissimo successo e segna l’inizio del revival western al cinema, culminato con Balla coi lupi e Gli spietati. Da tempo irreperibile sul mercato italiano, Lonesome Dove torna ora in libreria in una nuova traduzione.

Una sinossi forse fin troppo descrittiva, ma d'altronde parliamo di un romanzo che ha vinto il premio Pulitzer.
Mi viene difficile quindi parlarne, anche perché non penso di poter essere all'altezza di farne una recensione, quindi lascerò parlare solo le mie emozioni.

E' difficile inizialmente entrare in confidenza con questo romanzo, i primi capitoli sono lenti e descrittivi, ci sono molti personaggi, e quindi bisogna avere un po' di pazienza per assimilarne le dinamiche.
Una volta fatto ciò nonostante il libro sia un vero e proprio mattone, la lettura scivola via che è un piacere.
McMurtry, non è McCarthy la cui prosa è ricercata e che potresti passare il tuo tempo a sottolinearne diversi paragrafi per quanto sia bella, però ha una scrittura molto essenziale ma ugualmente descrittiva ed immersiva.

Una delle poche cose che non mi sono piaciute è qualche intersecazione di troppo tra alcuni personaggi che nonostante la vastità degli stati tra il Texas e il Montana ( in cui i protagonisti sono diretti ) sembrano incontrarsi più volte troppo facilmente, ma è una quisquilia, nient'altro.

Per il resto il romanzo è una meraviglia.
Un viaggio avventuroso dal Texas al Montana fatto di personaggi molto peculiari e descritti in maniera magnifica.
Gus McCrae è semplicemente l'anima e il personaggio più bello del libro, mentre molto più enigmatico, complesso e spinoso è il capitano Call Woodrow troppo oppresso, ombroso e ligio al dovere.
Entrambi ( più il secondo in verità) si fanno carichi di portare una mandria nello stato ancora "brado" del Montana in un viaggio faticosissimo ed irto di pericoli.
McMurtry è spietatissimo e non risparmia nulla al lettore.
Il bello di questo libro è che se ti affezioni ad un personaggio hai paura di voltare la pagina successiva perché sai che potrebbe lasciarci le penne da un momento all'altro.

C'è molto da riflettere sugli usi e costumi di quel tempo, sulla giustizia sommaria, e su tutto il resto.
E' un romanzo dal sottotesto molto forte che è un vero e proprio pezzo di storia americana.

Qualsiasi cosa dicessi d'altro sarebbe un probabile spoiler.
La cosa bella di questo romanzo è vivere e lasciarsi trascinare da questo peregrinare in sella tra banditi, indiani, tempeste di ogni tipo, e soprattutto nella vita e nei pensieri di ogni personaggio.

Un viaggio straordinario che sono felice di aver fatto, e che non avrei voluto finisse mai.

Grazie infinite, McMurtry.


Alla prossima!






mercoledì 17 aprile 2019

Il Talismano - Stephen King/Peter Straub

Il Talismano è una delle prime opere che ho comprato di Stephen King ed è anche una di quelle a cui sono più affezionato.
A quel tempo non ero ancora un lettore di libri, ma mi barcamenavo tra letture di fumetti americani e manga e bazzicavo esclusivamente le edicole.
In quel periodo però alcuni romanzi di King uscirono in un formato ultra pocket in edicola e me li accaparrai tutti ed Il Talismano era tra costoro.

Scritto a quattro mani da Stephen King e Peter Straub ( scrittore inglese noto soprattutto per il bellissimo Ghost Story ) nel 1984 doveva essere il primo di una trilogia, a cui seguì successivamente La Casa Del Buio pubblicato nel 2001, ma che non ha mai visto l'uscita del terzo ed ultimo capitolo, annunciato più volte dai due autori, ma mai scritto.
Per fortuna questa saga è principalmente composta da romanzi autoconclusivi e quindi potrebbe chiudersi tranquillamente anche senza il terzo capitolo.
Steven Spielberg è da molti anni che ne detiene i diritti per trarne un film, ed è notizia di questi ultimi mesi che il film dovrebbe essere entrato in pre-produzione, anche se lui dovrebbe solo fungere da produttore.

Il Talismano è un romanzo molto particolare che attinge un po' da tutti i generi ed è pieno di omaggi e cliché narrativi, ma che nonostante ciò funziona benissimo.
Ed è anche un bel tomone di più di novecento pagine anche in formato pocket.

Forse il genere a cui più si avvicina è il New Weird, ma oggi passerebbe tranquillamente per un romanzo Young Adult.


Ma andiamo di sinossi:

" Jack Sawyer ha dodici anni. Sua madre sta morendo e solo lui può vincere il suo male incurabile. Ma per farlo deve affrontare un lungo viaggio nei Territori, mondi paralleli misteriosi ed inquietanti, in cui tutto ciò che accade si ripercuote sulla nostra realtà. Forze demoniache vogliono impadronirsi del talismano, leggendario cristallo dai poteri magici, ma Jack sta per incontrare qualcuno che può aiutarlo...
Una storia fantastica e agghiacciante in cui l'eterna lotta tra il bene e il male si ripetono in un crescendo di paura e tensione."

La sinossi del romanzo è un po' ingannevole e poco chiara, ma è il romanzo stesso pur nella sua semplicità narrativa a sfuggire ad una catalogazione precisa.

Come ormai ben sanno coloro che mi conoscono, vengo facilmente sedotto dal tema della ricerca e dalle trame on the road, anche quando si tratta di viaggi verso altri mondi ed altri luoghi.
Se a tutto ciò ci uniamo l'horror, il fantasy, un pizzico di fantascienza come in questo caso, e un protagonista ragazzino che va a combattere contro il male, vado letteralmente in solluchero.

Il Talismano è tutto questo, anche se Straub e King attingono anche dai romanzi di formazione e di avventura tipiche della vecchia narrativa ( il prologo e l'epilogo che si aprono e si chiudono con delle frasi di Mark Twain, non credo siano stati messi a caso ).
Aggiungiamoci il fatto che Jack fa di cognome Sawyer e l'omaggio appare piuttosto chiaro.

Il peregrinare di Jack "viaggiante" Sawyer viaggia tra due parallele, quella fantasy e quella narrativa da romanzo di formazione.
Quest'ultima parte è quella che preferisco e che offre più spunti, ma anche nei suoi cliché narrativi figli del genere, la parte fantasy appare suggestiva ed intrigante.

Certo, le argomentazioni sono topoi tipici: l'oggetto da recuperare e da portare da un posto all'altro che ti dona potere e ti assoggetta con omaggi clamorosi ad Il signore Degli Anelli e Il Leone, La Strega e L'armadio de le Cronache Di Narnia, mondi paralleli con il più classico degli effetti farfalla, ed un nemico che più cattivo non si può, senza nessuna sfumatura e pietà nemmeno nei confronti del proprio figlio.
Pur essendo un romanzo prolisso e piuttosto descrittivo, la parte ambientata nei territori non è scenograficamente molto delineata tanto da risultare quasi più un percorso a tappe da un punto ad un altro senza chissà quale approfondimento.
Alla fine è un recupera l'oggetto x per salvare la regina y e poco più.
Suggestivo, invece, è il tema del doppio, in questo caso il proprio gemellante nel mondo dei territori, anche se rimane comunque un tema molto aleatorio nella storia.

Molto più interessante è il viaggio di Jack nelle lande americane dall'est all'ovest in un vero e proprio peregrinare on the road non privo di pericoli e peripezie, specie per un ragazzino di 12 anni che si avventura senza soldi accettando passaggi e lavori da sconosciuti.
Certo, lo stile della narrazione anche nei momenti più bui si mantiene quasi delicato, come se il ragazzo avesse sempre il controllo della situazione.
E' molto forte, direi quasi determinante il tema della predestinazione, e come in un buon fantasy che si rispetti è molto fondamentale la sospensione dell'incredulità e accettare l'idea che un ragazzo come Jack si comporti e ragioni quasi come un trentenne.
Straub e King riescono comunque ad inserire anche temi molto forti come lo sfruttamento minorile, molestie sessuali e persino temi come il bullismo e la violenza nei riformatori.

E' questo il grande pregio di questo romanzo, quello di riuscire ad intersecare in maniera abilissima i temi classici dei racconti di formazione con quelli tipici del fantasy anni '80.

Infine una nota sui personaggi, quasi tutti tridimensionali.
Sia quelli che accompagneranno Jack nel suo peregrinare come Richard e Lupo ( un lupo mannaro davvero peculiare, e protagonista di alcuni dei migliori passaggi del romanzo ) che quelli negativi come Morgan Sloat ed il reverendo Gardener, e fa specie in questo caso che quest'ultimo che è un sottoposto, sia molto più inquietante del suo viscido capo, che al di là della sua cattiveria, appare persino un po' patetico.

Il Talismano è un'opera che mi è piaciuto rileggere e che ho apprezzato come la prima volta.
Direi che porta bene i suoi anni e che mantiene ancora intatta la sua lucentezza.
E' sempre interessante leggere un romanzo scritto a quattro mani e chiedersi poi di chi è dei due il merito dei passaggi che più si apprezzano.
La mano di King in alcune cose è riconoscibilissima. C'è molto de La Torre Nera ( ed infatti il libro appartiene a quell'universo narrativo ) ed alcuni aspetti della storia sono persino sovrapponibili e similari a quella saga, ed anche il finale è in puro stile King.
Dite che quest'ultima non è una buona notizia?
In effetti...ma comunque è un finale giusto, soprattutto in opere del genere.

Adesso mi è venuta voglia di rileggere anche il secondo atto di questa saga, che come è giusto che sia trattandosi di un protagonista ormai adulto, vede dei toni più cupi e più turpi, ma ne parlerò successivamente, se la storia mi stimolerà abbastanza.

Il Talismano è un romanzo che consiglio senza riserve, soprattutto a coloro a cui piacciono i fantasy vecchio stile, con un occhio nel mondo reale.
Possiamo definire questa storia una solida e valida alternativa a La Storia Infinita.
Andrebbe riscoperto e letto il più possibile, e sono convinto che il film prossimo venturo, potrà dare una piccola spinta ad una eventuale riscoperta di un'opera che meriterebbe più credito.
Specie in un momento storico come questo in cui lo Young Adult è un genere molto diffuso.

P.s: in U.S.A ne fu tratto persino un fumetto nel 2009 che naufragò prematuramente.


Alla Prossima!











giovedì 28 marzo 2019

Non è un paese per vecchi...scrittori!

Provate a scrivere The Haunting of Hill House su Google e scoprirete che nella ricerca uscirà prima la serie che il romanzo di Shirley Jackson da cui è tratto ( in italiano il giochetto non funziona perché il titolo della serie è stato ridotto ad Hill House).
Ho fatto questa prova qualche tempo fa, perché mi ha stranito e sconcertato che molti lettori odierni che bazzicano sui social più diffusi non conoscessero minimamente l'autrice.
Mi ha lasciato stranito ancora di più il fatto che la stragrande maggioranza ha preferito la serie al romanzo d'origine, che è stato definito più volte palloso e troppo psicologico.
Prima di tutto voglio dire che anch'io ho apprezzato molto la serie, che inevitabilmente è molto più diluita e diversa dal materiale d'origine,  ma che non mi aspettavo questa disparità di giudizio, ed a dirla tutta, nemmeno che fosse così sconosciuta a molti degli attuali lettori odierni che bazzicano sulla rete.
La questione è che oggi si pubblica moltissimo e si pompano sempre di più le uscite prossime ( com'è giusto che sia ) e si crea una sorta di bolla pubblicitaria dove tutti parlano degli stessi libri mentre gli autori del passato non se li fila più nessuno, se non il vecchio lettore nostalgico che magari non ha la stessa forza propulsiva dei blogger e bookstagrammer attuali che vivono di collaborazioni con gli editori.

C'è da dire che con il traino della serie oggi Shirley Jackson è "letteralmente " risorta ed ha visto anche l'uscita di due suoi libri inediti ( uno epistolare e uno di racconti ).
Dovrei essere contento, quindi, che un'autrice che amo, venga letta molto più di prima ( comunque parliamo di un'autrice sempre pubblicata e mai finita nel dimenticatoio grazie ad Adelphi ), ma mi ha spinto ad una serie di elucubrazioni.

Oggi per un lettore odierno è molto facile dire la sua e sputare sui classici del passato in favore di autori più moderni e scorrevoli.
Cioè magari Giovanni Scassapurru che è cresciuto pubblicando racconti su Wattpad e che si è reinventato scrittore horror o young adult potrà essere lo scrittore preferito di una giovane lettrice che allo stesso tempo probabilmente troverà pesante e noioso Dracula, Frankenstein ed altri classici dell'horror.

Tutto ciò è legittimo, ma oggi mi sembra che molti facciano un'enorme fatica a contestualizzare e credo non si abbiano nemmeno i filtri per apprezzare un certo tipo di storie.
Ci si difende appellandosi al gusto personale, perché non si è in grado di assorbire un certo tipo di scrittura e struttura narrativa del passato.
Non si è abbastanza allenati, forse.
Forse perché i classici vengono associati alla scuola ed alle noiose lezioni o alla costrizione di aver dovuto studiare un capitolo dei Promessi Sposi o della Divina Commedia, chissà.

In questo periodo ho letto tre vecchi libri tascabili della Newton e mi è saltato all'occhio che alcune delle soluzioni narrative, lette oggi, risultano scontate ad un lettore navigato o che comunque ha avuto modo di vedere al cinema o in Tv migliaia e migliaia di storie horror, gotiche, fantasy o vattelapesca.

Questo significa che siano opere brutte? Ma quando mai!
Mi sono gustato ognuno dei racconti di Stevenson ed ho apprezzato ogni capitolo del bellissimo I Pirati Fantasma di Hodgson.

Ecco, voglio dire a questi/e giovani virgulti che ciò che oggi per voi è scontato e banale, ha funto da precursore di tutto ciò che leggiamo oggi.

E che senza la Jackson, H.P.Lovecraft, Poe, Hodgson, Mary Shelley e chissà quanti altri, nemmeno  romanzi come After, Divergent e qualsiasi altro romanzo odierno fantasy sarebbe esistito.

Bisogna avere rispetto del passato, così come io rispetto che voi amiate di più Giovanni Scassapurru o Giacomo Carrialanda.





giovedì 21 marzo 2019

Non sono un lettore del mio tempo, ahimè

Ne ho già parlato in un precedente post, ma mai come in questo momento la mia differenza di approccio alla letteratura rispetto alla maggioranza dei lettori è così netta e lampante.
Forse a causa di Instagram che è capace di mostrare più punti di vista in pochi secondi di scrolling e di ascolto.

Quindi mi sono guardato dentro e fattomi un'autopsia intellettuale, mi tocca ammettere che ho dei pregiudizi di base verso la narrativa contemporanea specie per ciò che concerne nuove uscite ed autori emergenti.
Figuriamoci poi se sono italiani.
E' un pregiudizio derivante principalmente dall'ignoranza, dalla mia mancanza di fiducia nel prossimo come autore e dalla poca voglia di rischiare.
Tutto ciò di contemporaneo che leggo, viene comunque da autori che hanno già pubblicato da tempo, ed a parte Ammaniti, Benni, Buzzati e qualcun'altro, la letteratura italiana mi ispira poco o nulla.
Non ci posso fare nulla, sono fatto così.
E' più probabile vedermi in una bancarella polverosa di libri usati che in una nuova fiammante libreria.
Frequento solamente quelle che trattano libri usati a poco prezzo, e quando non ho avuto soldi, non mi vergogno a dire che ho letto libri anche indossando la benda d'ordinanza ( anche se poi li ho recuperati tutti negli anni ).

Ciò di base, mi rende molto diverso da quasi tutti gli appassionati di letteratura che soprattutto su Instagram parlano e mostrano con entusiasmo ( vero o presunto ) tutti i libri in uscita o quelli che gli sono inviati dagli editori.

Mi chiedo a volte cos'ho di così sbagliato e del perché sono fatto così.
Perché mi viene così facile leggere un Urania o un vecchio tascabile Newton che nuovi autori di fantascienza e del fantastico.

Magari chissà un giorno che avrò esplorato tutto ciò che ritengo interessante della vecchia narrativa del fantastico e dell'horror dovrò per forza aprirmi al nuovo ed al contemporaneo.

Fatto sta che oggi non sono un uomo del mio tempo.

Esiste quindi una frangia conservatrice ed oltranzista anche per quel che concerne la letteratura o sono la cosiddetta mosca bianca?
Una mosca come quella del film di Cronenberg, direi.
Il bianco comunque denota purezza, in me come lettore, se sono davvero così, non ne vedo.
Qualcuno obietterà che è giusto che io legga ciò che ritenga più opportuno e nelle mie corde, ma a volte mi domando cosa non vada in me.
Mi sento un lettore con dei limiti oggettivi che non riesco a superare.
Un razzista.
Ecco, l'ho detto.
Sono razzista verso il nuovo, inteso come autore, e me ne scuso.



sabato 2 marzo 2019

L'ascesa dei Bookstagrammer

Ogni anno le classifiche Istat parlano di catastrofismo per ciò che concerne la letteratura, ed abbondano servizi televisivi o articoli di giornale, in cui vengono fuori numeri impietosi riguardo la letteratura.
Moltissimi leggono giusto un libro l'anno e forse neanche, e spesso coloro che leggono quell'unico libro sono lettori che hanno comprato giusto il libro di Corona, di Wanda Nara o dello Youtuber di turno.
Sono cose lette e risapute, e credo di averle già scritte, forse con il medesimo tono.
La letteratura è sempre stata una cosa di nicchia e spesso viene considerata noiosa ed elitaria.
Gli appassionati, sempre più sparuti, si sono raccolti e sparpagliati in piccoli agglomerati virtuali, ma raramente sono usciti da quella nicchia.
Non che non ci abbiano provato a propagarsi su forum, blog e successivamente sui gruppi di Facebook, ma credo che solo adesso si stiano ritagliando uno spazio importante.
Siamo praticamente entrati nell'era delle/dei bookstagrammer.

Oggi non è raro trovare bookstagrammer che sfiorano le centinaia di migliaia di followers e che sono diventati canali divulgativi molto più importanti di molti blog o dei pochi canali youtube che parlano ancora di libri.
Prima la gente si rompeva le palle di ascoltare un video di dieci minuti su youtube, mentre ora trova piacevolissimo ascoltare le stories di chicchessia.
Internet si sta evolvendo e non sono più i blog o le recensioni su Anobii, Ibs, Amazon e Goodreads a convincere qualcuno dell'acquisto di un libro, ma le migliaia di bookstagrammer ( quasi tutte donne ) che pubblicizzano le nuove uscite o recensiscono un libro.

Evidentemente il libro, più di qualsiasi altro media ( penso al cinema che è un argomento quasi impossibile da portare su Instagram almeno a livello estetico ) si presta a questo social.

Questo ha di fatto "ucciso" o quasi tutti i blog su questo argomento.
Il libro di fatto viene trattato alla stregua di un oggetto estetico da mostrare, quasi si trattasse di una natura morta.
La prerogativa dello bookstagrammer è quello di fare stories su stories dedicate all'unboxing e a mostrare i libri che ha comprato o che si è fatto inviare dall'editore di turno e fare infinite storie in vestaglia, accappatoio o pigiama parlando di Murakami, Elena Ferrante e via dicendo.
Tutto giusto, sia chiaro.
Credo che nel proprio profilo ognuno debba fare e pubblicare ciò che vuole.
A volte però mi chiedo quanto conti il contenuto e quanto conti il fattore estetico.
Credo che su Instagram del contenuto non freghi quasi a nessuno.
Conta più il like sulla foto, molto meno quello che scrivi sotto di essa.
Se scriverai la recensione di un romanzo, stai pur certo che non la leggerà quasi nessuno, otterrai il like se lo scatto è esteticamente valido, ma di fatto, di com'è quel romanzo, interesserà a pochi.
Sarai carne per lo scrolling.
Interessa più il fatto che il libro venga messo accanto ad una pigna, una pianta, una colazione ecc.ecc. che il libro stesso.
Un esempio lo si può fare andando a visitare i blog degli bookstagrammer di successo.
Bellissime recensioni, magari un numero di visite elevate, ma interazione prossima allo zero.
Segno che ormai non è più il contenuto a dominare, ma l'effimero di una stories che scomparirà il giorno dopo o la foto di un libro come oggetto artistico.

In un blog non sarà mai così, non sarà importante come sarai vestito, se avrai dei figli o un gatto accanto, ma conterà solo ciò che scriverai su quel dannato libro.
Ed è per questo che preferirò sempre e comunque un blog ad una recensione su Instagram.
La trovo più vera, più onesta e senza filtri.
Potrai essere antipatico, avere la zeppola ed i capelli bianchi, ma tutto ciò non importerà.
Su Instagram conta più quello che mostri che quello che sei.
Nove volte su dieci nelle stories il libro è solo una scusa per mostrarti e fidelizzare i tuoi follower.

Ed infine vorrei dire una cosa che potrà apparire sessista.
Su Instagram la maggior parte della visibilità per ciò che concerne l'argomento della letteratura lo hanno le donne.
Sono pochissimi gli uomini che ottengono successo ed interazioni.
Forse noi come uomini facciamo fatica a metterci in gioco, ma è un dato di fatto che sono le donne a dominare la piattaforma.
I pochi uomini che ci sono tranne in qualche caso, fanno successo più perché hanno un approccio da caratterista che da recensore.
Non che ci sia nulla di male in questo, ma credo che ci sia una sproporzione piuttosto evidente dettata dal fatto che molte bookstagrammer siano oggettivamente molto belle e il loro parlare risulta più gradevole ed incisivo, quantunque spesso appaiono quasi come delle pubblicitarie o delle inviate televisive da salotto.

A conti fatti specie quando si tratta di nuove uscite, non sai mai quanto quel libro sia una marchetta o una lettura che il bookstagrammer di turno consiglia con sincerità.

Arrivati alla fine non voglio che passi il messaggio che io sia contrario o invidioso del successo delle bookstagrammer.
Tutt'altro.
Seguo molte di loro e penso che alla fin fine l'importante è che si parli di libri.
Grazie a molte bookstagrammer  ho scoperto nuove storie e nuovi romanzieri, quindi di fatto le ringrazio.
E aldilà di ciò che penso di come venga trattata la letteratura su quella piattaforma, non si può che accettare il fatto che il mondo virtuale si sta evolvendo e che chi non cambia è perduto.
Amo e amerò sempre i blog, ma se per conoscere e scoprire nuovi autori e nuove storie, dovrò anche sorbirmi donne e uomini in pigiama che parlano di libri dal loro divano di casa accarezzando il cane, gatto, bambino, fidanzata, fidanzato o il piumone, se tanto passa il convento, lo farò.
Dando sempre però un occhio di riguardo ai contenuti divulgativi che preferisco ancora usare, righe di testo in primis.

La parole dette durano un attimo, quelle scritte possono durare anche millenni.

Alla Prossima!











venerdì 31 agosto 2018

L'inverno Della Paura & dei miei eroi giovanili

Già dai tempi del film di Spielberg Hook io sapevo che non avrei voluto che i miei personaggi preferiti crescessero.
Continuo tuttora a preferirli cristallizzati, bloccati nel lieto fine della loro gioventù.

Seduti dopo il duello finale a rimirare il cielo sotto una volta stellata o un tramonto infuocato in sella alle loro Bmx o alle loro Schwinn.
Dissolvenza, colonna sonora finale, fine.
Perché vederli incanutiti, incattiviti dalla vita e dalla realtà dell'essere adulti?
Sembra strano dirlo dopo un post come quello scorso dove auguravo morte e sofferenza anche nella letteratura con protagonisti i ragazzi , ma tutti i personaggi che ho ritrovato adulti delle opere che ho amato, soprattutto letterarie, non mi sono mai piaciuti.
O almeno non mi sono mai piaciuti quanto il narrato precedente.
Sarà un problema mio.
Penso la stessa cosa di It, di Circolo Chiuso di Jonathan Coe ed anche di quest'opera di Simmons.
La dicotomia standard tipica di questi romanzi è: giovani e  (alla fine) vincenti, adulti e perdenti.
E' lo scontro tra la fantasia, l'entusiasmo ed il vigore giovanile contro la decadenza fisica e mentale della mezza età.
Non riusciamo a sfuggirne nella realtà e nemmeno nella narrativa, devo dedurne.

L'inverno Della Paura è un po' tutto questo, ma è soprattutto una storia di fantasmi.
Per lo più interiori.
E' più un inverno dell'anima, che della paura.

Ambientato quarantanni dopo il precedente capitolo, questa storia ha per protagonista unico Dale Stewart uno dei principali protagonisti del precedente capitolo.
Dale sceglie di tornare nella sua vecchia cittadina dopo un divorzio, un tentativo di suicidio e per provare a scrivere un libro sulla sua infanzia.

Ci sono moltissime differenze di approccio e di stile rispetto al primo capitolo.
L'inverno Della Paura è un romanzo molto più complesso e pomposo, strapieno di citazioni letterarie ed omaggi alle Ghost Story di Henry James e Shirley Jackson.
Riecheggiano echi del Mastino Dei Baskerville e riferimenti vari al Beowulf ed altre opere antiche inglesi.
Siamo lontanissimi dalla storia di formazione del primo capitolo.
L'inverno Della Paura è un romanzo psicologico, cupo e volutamente contorto.
Funziona?
Si, per gran parte.
Meno per altre cose ( tutta la faccenda della sua scappatella con la studentessa che gli è costata il matrimonio è tirata abbastanza per le lunghe, secondo me ).
Bellissima la scelta della narrazione fuoricampo affidata ad  un...morto.

Tempo fa dicevo che l'inverno è degli uomini, e questo romanzo mi porta ancora a pensarlo con più convinzione.
Ma soprattutto è insita in me la convinzione che per i miei gusti un romanzo di formazione deve essere una storia senza futuro.