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martedì 22 ottobre 2019

Scrittori italiani che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Dino Buzzati

La prima volta che lessi Il Deserto Dei Tartari è stato come essere colpiti da un macigno.
Non voglio parlare del romanzo, anzi non oso, perché ci sono migliaia di interpretazioni sul simbolismo dell'opera e tanti assist d'immedesimazione che parallelamente ci portano al nostro vissuto.
Per me, per esempio, è un romanzo che un giovanissimo non dovrebbe leggere, dubito che riesca a capire il dilatarsi come un elastico del tempo, la noia del vivere, la sensazione di aspettare un qualcosa che non arriverà mai o arriverà quando non avrai più la forza.
Io, l'apatia del vivere, del restare, dell'aspettare, la vivo quotidianamente, ed è per questo che ho sofferto entrambe le volte che ho letto questa storia, ma è stata una sofferenza che sono stato contento di provare, come sempre quando si tratta di un romanzo che mi porta a riflettere e che mi resta in testa per ore, giorni o settimane.
Se non lo avete mai fatto leggete Il Deserto Dei Tartari, è uno di quei rari casi in cui la parola capolavoro non è quel termine stra-abusato come per la qualsiasi roba mainstream che circola oggigiorno.

Questo romanzo mi spinse un po' all'epoca ad informarmi sulla figura di Dino Buzzati e sulle sue altre opere reperibili.
Non è un autore che ha scritto molto, purtroppo.
Anche perché è stato un artista a tutto tondo essendo anche giornalista, saggista, e persino pittore.
Ho trovato alcuni suoi editoriali sulla rete e posso dire che li ho trovati lirici e splendidi come poche cose che ho letto?
Le sue parole sull'allunaggio e sulla morte di Marilyn Monroe erano di una sensibilità unica.

Qualche tempo dopo in una bancarella dell'usato vidi spuntare una copia vetusta e sbiadita di Un Amore e non me la sono fatta scappare.
Un romanzo che non raggiunge le vette de Il Deserto Dei Tartari in quanto a stile e lirismo, e che anzi è una sorta di flusso di pensieri febbrile, come d'altronde lo sono spesso gli amori, specie quelli non corrisposti.
L'amore in fondo è una malattia, spesso improvvisa, da cui è difficile difendersi lucidamente.
E spesso la cura destabilizza il corpo più della malattia.
La storia è basata su un suo vissuto personale e ricorda un po' vagamente il molto più famoso e conturbante racconto di Nabokov Lolita.
I sentimenti che suscita la figura di Antonio Dorigo in corso d'opera sono molti e contrastanti.
Un po' compatimento e imbarazzo, a volte rabbia, a volte comprensione soprattutto per chi ha vissuto amori impossibili o poco chiari, spesso incasellati in un percorso fragile e ambiguo.
La figura di Laide appare a prima vista come una ragazza svampita, opportunista e che accetta la corte del borghese di turno solo per soldi, e per gran parte del romanzo conosceremo a malapena il suo punto di vista, essendo il racconto narrato attraverso i pensieri e le gesta di Antonio Dorigo.
Un pensiero non proprio lucidissimo, lasciatemelo dire.
Non è facile parlare di amori malati, e spesso questo tipo di narrazione lo tollero poco, ma Un Amore mi è piaciuto.
Forse è un po' troppo fitto per i miei gusti, ma lo si legge con piacere.

Certo, di storie simili, di uomini di una certa età, professionisti che inseguono la giovinezza perduta, attraverso ragazze giovani che vendono l'amore se ne vedono e leggono di ogni, sia nella fiction che nella realtà, ma penso che all'epoca un romanzo così forte nelle tematiche ( per quanto accennate ) un po' di scalpore deve averlo fatto.

Adesso spero di riuscire a reperire anche la raccolta di racconti La Boutique Del Mistero, ma confido prima o poi di ritrovarmela davanti in qualche mercatino dell'usato, come accaduto con i primi due libri.


Alla Prossima!