" Lui non muore mai ", rispose Tom. " E' nei lupi, cavoli, sì. I corvi. I serpenti a sonagli.
L'ombra del gufo a mezzanotte e lo scorpione a mezzogiorno. Se ne sta a testa in giù come i pipistrelli. E' cieco come loro. "
Da questo passaggio, uno dei più interessanti e significativi del romanzo per quel che concerne la descrizione del cattivo della storia, fu ricavato il titolo dell'edizione italiana di questo tomone del Re.
Sicuramente L'ombra dello scorpione è un titolo molto suggestivo del ben più difficile The Stand che risulta abbastanza intraducibile a livello significativo in italiano, visto che dovrebbe suonare come " La resistenza " o comunque qualcosa del genere.
The Stand è il sunto dell'elefantiasi letteraria di cui è affetto Stephen King e si gioca il titolo di romanzo più lungo insieme a It.
L'edizione Bompiani ha pure i caratteri piccoli quindi probabilmente parliamo di un libro che con un font diverso avrebbe tranquillamente raggiunto il migliaio di pagine.
Proprio per questo L'ombra dello scorpione è stato messo in commercio due volte.
La prima volta sul finire degli anni settanta in maniera ridotta e successivamente nel 1989 in versione completa e definitiva.
Prima di addentrarmi nella narrazione voglio parlare di un aneddoto personale.
Lessi la prima volta questo romanzo intorno al 1994 o giù di lì, ero un ragazzo, ed è del parere di quel ragazzo che vi dovete fidare.
La mia reazione fu più genuina delle successive riletture, anche di quella odierna.
Ebbene, la mia prima full immersion in quest'opera fu di meraviglia pura.
Ebbi quel libro in prestito da un mio amico e non riuscivo a staccarmene dalla lettura.
Me lo portavo a scuola, me lo portavo a tavola, dappertutto.
Mi piacque tantissimo e ricordo che rimasi sconcertato da una scena in particolare che non ho più scordato e che mi segnò profondamente, poiché toglieva di scena il mio personaggio preferito a poco più della metà della narrazione.
Non nego di essermi commosso e di aver avuto la tentazione di urlare e lanciare il romanzo contro il muro ( che avrebbe avuto la peggio vista la mole del libro ).
Io credo che un romanzo che riesca ad ottenere un effetto simile, sia un gran romanzo.
E lo penso ancora.
Ma da allora sono passate altre riletture, ho letto centinaia di altre opere, anche con tematiche simili, ed oggi ho letto questo libro con un occhio un po' più clinico, rispetto a quello ingenuo, ma più aperto al senso di meraviglia che avevo all'epoca.
Credo che a ragione io mi facessi sedurre da quel che succedeva rispetto a come succedeva.
L'ombra dello scorpione mi piace ancora, ma mi piace meno il contesto.
Proverò un po' a spiegarmi, per chi avrà un po' di pazienza.
Non pubblicherò estratti della trama anche perché credo che la conoscano un po' tutti a grandi linee la storia.
Un virus sfugge al controllo dell'esercito e decima la razza umana per il suo 99%.
I pochi e sparuti sopravvissuti si muovono in un'America ormai in disfacimento in un'avventura on the road di stampo apocalittico.
E quando parliamo di apocalittico, lo diciamo non in senso lato, ma proprio dal punto di vista biblico.
Perché quest'opera ha una fortissima connotazione biblica da Antico Testamento.
A conti fatti King ci dà la sua personale rappresentazione della parabola di Giobbe mettendo i protagonisti in una scacchiera grande quanto l'America intera ( non si hanno notizie degli altri continenti in quest'opera e dobbiamo farcelo bastare senza porci domande ).
I personaggi hanno un libero arbitrio, ma sono comunque teleguidati attraverso i sogni o le divinazioni.
Tutti i sopravvissuti sognano due persone:
- Una vecchina ultracentenaria di nome Mother Abagail che ispira bontà e li invita a raggiungerli in Colorado.
- Un uomo nero, Randall Flagg, sempre in ombra, che a volte appare vestito casual ed a volte avvolto in una tonaca, che ispira minaccia, terrore, paura, ma anche diavolo tentatore per le anime più tormentate.
I personaggi in corso d'opera faranno le proprie scelte, si metteranno in cammino e raggiungeranno questi due personaggi che fungono praticamente da aggregatori sociali nell'eterna lotta tra il bene ed il male.
La prima metà di questo libro è meravigliosa.
Chi mi conosce sa che vado pazzo per la narrazione on the road, e l'ambientazione di questo romanzo è costruita proprio per piacermi.
King fa un grandissimo lavoro con i personaggi, sia quelli positivi che quelli negativi.
Tutti, nessuno escluso, sono caratterizzati alla perfezione, anche nelle loro complessità d'animo.
Stesso dicasi per la scrittura e l'ambientazione.
Dal punto di vista narrativo, la prima parte sfiora la perfezione.
I capitoli dedicati alla Superinfluenza denominata Captain Trips sono meravigliosi, ed anche i dialoghi e le vicissitudini dei personaggi pre e post-epidemia lo sono altrettanto.
Alcuni capitoli sono iconici ed indimenticabili.
Larry che attraversa il Lincoln Tunnel completamente al buio calpestando i morti e superando gli ingorghi stradali di macchine e vetture militari.
La sconcertante narrazione di un'operazione di appendicite in un mondo dove medici ed ospedali non ci sono più.
Un capitolo non solo da stomaci forti, ma che ci dà ben l'idea di un mondo ormai alla deriva ed in disfacimento.
Il cammino iniziale di ogni personaggio in solitaria o in compagnia, in un'America ormai spopolata e perduta, con cibo d'accatto, sogni, incubi, paura e bivacchi, è narrata in maniera splendida.
So che oggi è un tema stra-abusato, soprattutto in tv, ma King lo descrive splendidamente il tema del viaggio.
Steve sa narrare del pellegrino.
Quindi cos'è che mi perplime?
Il linguaggio ed il modo di atteggiarsi dei personaggi maschili, in primis.
Sono costruiti con un modus operandi da anni '80 che levati.
Gran parte di loro sono machisti che si esprimono con frasi da film americano del tipo " Ehi, piccola ", " Pupa ",
" E' la mia donna." Ed altre amenità varie.
Anche quelli scritti meglio come Larry.
Per non parlare di Stu, il vero protagonista del libro, classico uomo silenzioso e tenebroso che non deve chiedere mai.
Anche se in corso d'opera è uno dei personaggi che evolve di più.
Vogliamo parlare delle donne di questo romanzo?
Lucy e Frannie sono stereotipate altrettanto, con frasette e dialoghi che spesso sembrano uscite da un romanzo Harmony.
" Ho bisogno di un uomo che scaldi il mio letto."
o frasi tipiche tipo: " Scegli me", che manco Beautiful.
Dirò di più: il diario che tiene Frannie è probabilmente il punto più basso dell'opera, non tanto per il suo contenuto imbarazzante ( d'altronde Fran ha solo vent'anni e ci sta che scriva determinate cose ), ma anche perché è un espediente piuttosto di bassa lega per permettere a King di spingere un personaggio verso il lato oscuro.
C'è parecchio di cinematografico e soap operistico nella narrazione di questi personaggi, che spesso vengono trattati in maniera persino bigotta.
E quelli che ne escono peggio sono i personaggi femminili trattati spesso come angeli del focolare che devono farsi i pianti guardando dalle verandine i loro uomini mentre vanno a salvare il mondo.
Come se la funzione della donna in quest'opera sia quella di farsi mettere incinta o poco più.
Infatti è terrificante una frase di Mother che si comporta come una commare di paese qualsiasi quando si rallegra che una delle ragazze ha i fianchi larghi e che quindi è in grado di sfornare tanti figli.
Capisco che si debba riformare la società, ma c'è uno strisciante bigottismo religioso che è difficile accettare oggigiorno.
Difficilmente accettabile anche il fatto che l'unico personaggio femminile cazzuto e pronto alla battaglia sia, indovinate un po', bisessuale, ed in un certo senso è considerato anche sacrificabile in corso d'opera ( infatti viene spedito come spia in una vera e propria missione suicida), pensate un po'.
Sembrerà che io ne stia parlando male, ma non è così.
Io amo questo romanzo e mi sono goduto anche questa rilettura.
Pur contestualizzandolo però ad una rilettura attenta salta all'occhio un tipo di narrazione che oggi appare un po' manichea e superata, per lo meno nel modo di esprimersi di alcuni dei personaggi principali.
Ed è un peccato, perché tolto quel contesto, L'ombra dello scorpione è un viaggio meraviglioso e spaventoso.
Randall Flagg è un cattivo bellissimo, delineato splendidamente.
E fa specie che funzioni più qui, che nella saga dove ci si aspettava che figurasse di più come quella della Torre Nera, dove doveva essere uno dei protagonisti.
Ed in più io mi metto tra quelli che accetta tranquillamente uno tra i finali più discussi di sempre tra i libri del Re.
Perché è un finale che in un'opera biblica come questa ci sta tutto.
So che in questi giorni dovrebbe debuttare l'ennesima miniserie tratta da questo libro, e sono molto curioso del fatto se avranno il coraggio di tenere un finale simile o se sceglieranno di cambiarlo.
E' valsa la pena rileggerlo?
Sì.
L'ombra dello scorpione è e resterà sempre una delle mie opere preferite di King, e non m'importa se alcuni personaggi spesso parlino e si comportino come delle macchiette, perché l'essenza del viaggio e dell'avventura è palpabile ugualmente.
Nella seconda parte il libro forse perde un po' e risulta un po' prolisso soprattutto quando i personaggi hanno compiuto il loro percorso e quindi si prodigano per riformare la società, ma diciamo che va considerata come quella parte in cui le fazioni si preparano per il gran finale.
Menzione per alcuni personaggi negativi: penso che Pattume e LLoyd siano tra i personaggi meglio riusciti di questo libro.
E poi c'è lui, il mio personaggio preferito.
Non perdonerò mai King per averlo fatto fuori, era pure uno dei pochi che non si esprimeva come un tamarro da film action.
Non ho parlato del paradosso o della premonizione di King di narrare di un'epidemia di influenza in epoca Covid come questa, ma non lo faccio perché nella narrazione funge più da prologo che altro e perché non l'ho riletto con quella sensazione in mente.
Il che è abbastanza brutto, perché significa che in un certo senso mi sono abituato a quel che stiamo vivendo.
Buone feste ed...
Alla prossima!