lunedì 23 novembre 2020

Quando mi vestirono di verde cachi ( prima parte )

" E' la storia di uno, di uno (ir)regolare,

che poi lo hanno mandato, a fare il militare

Che lui se ne sbatteva di tutte quelle storie

ma era uno normale

e lo doveva fare." (cit.)




Tra molti incubi ricorrenti degli italiani c'è quello di rivivere la maturità, io invece ricordo che uno dei miei sogni più brutti riguardava un presunto errore di firma che faceva sì che io dovessi rifare il militare. Fossi stato un attore del cast di Nightmare, probabilmente Freddy mi sarebbe apparso con la mimetica. :-P

Scherzi a parte, mi sono reso conto di non aver mai parlato di questa mia esperienza o meglio inesperienza, perché davvero, non credo che io fossi pronto mentalmente per partire soldato, avevo ancora la testa di un bambino, cosa che ebbe parecchie ripercussioni su quel percorso.

Ho deciso però di partire da lontano e di dividere questo post in due parti: quello inerente le due visite di leva, e quello della leva effettiva.

Non aspettatevi storie degne di Hemingway, Full Metal Jacket o altro, ma quelle di un ragazzo spaurito e totalmente privo di esperienza, ed in quel periodo totalmente inadatto ad un percorso simile.

Le mie conoscenze su questo tema derivavano dai fumetti come Sturmtruppen, dalla tv e dal cinema con Classe di ferro e Soldati -365 all'alba, oppure i racconti di mio padre sul suo periodo di leva o storie di guerra di nonni che non ho mai conosciuto.

Ricordo che mio padre quando ricordava quelle storie mi mostrava sempre delle lettere che scrisse e spedì ai suoi durante il suo periodo di leva, e che conservo tuttora, anche se non le ho mai lette, non so perché.

Parliamo di lettere del 1950 o giù di lì, che lui anche negli ultimi anni della sua vita ancora prendeva in mano e rileggeva.

A casa avevo anche il vissuto di mio fratello che partì almeno cinque anni prima di me, addirittura nei Bersaglieri ed è stato lì che cominciai a realizzare che presto o tardi sarebbe toccato a me.

A 17 anni e qualcosa mi arrivò la cartolina precetto per la visita di leva in Marina.

Ricordo tutto esattamente: era febbraio e non ero entrato a scuola ed ero a casa mia insieme ad un mio compagno di classe a giocare al computer quando suona il campanello, apro ed il messo mi consegna quel plico con mio somma perplessità e mestizia.

Feci una cazzata sesquipedale, nascosi la cosa ai miei per parecchio tempo, nemmeno io so perché, forse perché volevo rimandare il più possibile il doverne parlare o me ne vergognavo, quando dico che ero stupido e molto più immaturo dei miei anni, è una pura verità.

Alla fine quando ormai mancavano pochi giorni alla partenza per quel di Taranto per la visita fui costretto a mostrare la lettera ai miei dicendo delle bugie sul perché fosse arrivata così in ritardo.

Tanto che dovetti correre a farmi la carta d'identità d'urgenza ( non l'avevo ancora ).

Ho vissuto con enorme stupore e un senso di baraonda quei due giorni.

Non conoscevo nessuno, era la prima volta che mi allontanavo per due giorni da casa, ed il tutto per me era nuovo, ma anche parecchio strano.

Gli altri mi sembravano più sgamati e maturi, gente con occhiali da sole tipo Top Gun che si sentivano fighi, alcuni che fingevano malattie per farsi riformare ( ricordo uno che si fingeva cieco ) e gente che non sapeva nemmeno leggere e scrivere, c'era un po' di tutto in quel carrozzone.

Facemmo test e visite e feci un minimo di amicizia con alcuni corregionali con cui passai la serata di libera uscita.

Al secondo giorno quando eravamo tutti in cortile ad attendere la libera uscita, viene fatto il numero del cartoncino azzurro che mi avevano dato all'ingresso e quindi vengo accompagnato in una sala d'attesa.

Quando mi viene dato il permesso di entrare, mi trovo al cospetto di qualcuno d'importante, suppongo un colonnello o comunque un'autorità di rilievo visto che aveva due piantoni a fianco e la bandiera italiana sull'asta dietro di lui, che dopo avermi rimproverato perché mi stavo sedendo sulla sedia senza permesso e aver appoggiato le mani sulla scrivania, se ne esce con una frase brutale:

" Lei vuole fare il militare? Mi dia una risposta precisa."

Ovviamente avrei voluto dire no, ma in tutta onestà non volevo tornare a casa e dire ai miei e poi ai miei amici che non ero all'altezza o che ero stato riformato, e poi mi avevano anche messo in testa che non avrei più potuto fare concorsi e che potevo persino perdere il diritto di voto, quindi risposi in maniera intermedia che per me era una cosa indifferente.

Mi disse allora che la mia struttura fisica non era adatta per la marina, che avevo un' insufficienza toracica e di mangiare di più, perché l'anno dopo avrei fatto la visita di leva per l'esercito.

In pratica per la marina non ero all'altezza, suppongo.

Ricordo che tornai a casa un giorno prima del previsto con un treno notturno e dovetti stare nella stazione parecchie ore ad aspettare mentre accanto a me, dei tipi loschi si sfottevano un ubriacone o senzatetto.

Per fortuna non ero solo, ma con me c'erano anche altre persone che furono fatte rivedibili, tra cui un mio corregionale.

L'anno dopo mi è arrivata un'altra cartolina, ma quella volta ero più preparato e vissi la cosa più tranquillamente.

Per giunta la visita era nella mia regione a Catanzaro, e praticamente non c'era pernottamento, quindi si facevano le visite ed i test e poi si tornava a casa e si tornava il giorno dopo.

Esperienze particolari le ricordo anche in quella visita: un ragazzo rom che mi disse che lui i test non li aveva fatti perché non sapeva scrivere ed aveva firmato con una x, parecchi che mi dicevano che fossero stati mandati da una bellissima psicologa per via di alcune domande del test, e soprattutto il fatto che nell'esercito non si fecero nessuno scrupolo del mio essere scheletrico e quindi risultai idoneo.

Caso vuole che a fare la visita insieme a me ci fosse proprio quel mio compagno di classe che era presente con me all'arrivo della mia prima cartolina per la visita di leva, tanto per chiudere il cerchio.

La cosa che più mi restò impresso è che prima di lasciarci liberi ci divisero in due tribunette in cui stavano quelli idonei e quelli che per malattie o altro erano rivedibili, e la stra-grande maggioranza stavano nella seconda tribunetta, tanto che quando arrivai con gli opuscoli in mano che mi descrivevano quei dieci mesi futuri che avrei destinato allo stato mi sentii abbastanza isolato visto che eravamo davvero in pochi, tanto che qualcuno ci fece persino il verso.

Dopo questa visita ci furono due anni di rinvio per questioni scolastiche, visto che sono stato bocciato due volte, e quindi sentivo che quella minaccia diventava sempre più tangibile e inesorabile con il passare del tempo.

Avevo molta paura del militare, sono sincero.

Nel 1998 già alcuni dei miei migliori amici erano partiti.

Ed io li seguì per ultimo, poco dopo.

Quell'anno partimmo in quattro.

Il mio migliore amico, che era partito parecchi mesi prima di me, una sera mi telefonò dicendo che gli era arrivato un libro in caserma con tutte le prossime partenze, ma che il mio nome fino ad agosto ( l'ultimo mese scaglionato in quel tomo ) non era in elenco, ma che c'era quello di un altro di noi quattro che partì successivamente ad agosto.

Cominciai un po' ad illudermi, nel senso che ipotizzavo che magari potevo essere congedato per sovrannumero, visto che si diceva che se non venivi scaglionato entro dicembre, probabilmente non mi avrebbero chiamato più.

Ricordo bene che quel periodo del bimestre di agosto/settembre ogni volta che tornavo a casa mi saliva un po' l'angoscia perché pensavo: " Ecco, ora apro la porta di casa, sentirò i miei confabulare a bassa voce e mio fratello sfottermi dicendo che dovrò fare il botto."

Le illusioni si infransero sul finire di un'estate, quando suonarono alla porta, ed ero solo in casa.

Venne il messo a consegnarmi la busta ( aggiungendo un mi dispiace ),e ricordo che mi sentii persino sollevato.

Subentrò in me una sorta di pacata rassegnazione.

La cartolina portava in calce che giorno 18 novembre del 1998 dovevo presentarmi a Trapani...

( Continua...)


Alla prossima!



mercoledì 11 novembre 2020

In zona rossa con Hemingway

 " Il fatto che un libro fosse tragico non mi rendeva infelice perché ero convinto che la vita è una tragedia e sapevo che può avere soltanto una fine. "

Addio alle armi - Ernest Hemingway



Ho preso questa frase da un libro in cui si potevano sottolinearne e farle proprie parecchie altre molto più belle e significative, perché ho notato una costante che a quanto pare quindi era voluta.

C'è una sorta di ineluttabilità inevitabile nei romanzi di Hemingway.

Ma non solo nei suoi, ma in quelli di molti altri grandi della letteratura, soprattutto di quella della prima metà del '900.

E' la tragedia a rendere grande un romanzo quindi?

Pensiamoci un attimo, molte delle più grandi storie letterarie non hanno quasi mai un lieto fine, e in tre dei quattro libri di Hemingway che ho letto, tutto ciò è praticamente una costante.

Ho sempre avuto il magone quando sono arrivato alla fine di un suo libro.

Eppure inizialmente alcune delle sue storie non mi sono arrivate subito.

Qui lo ammetto che alla prima lettura Fiesta ed Addio alle armi non mi erano piaciuti, mentre Per chi suona la campana ed Il vecchio e il mare li ho apprezzati all'istante.

Per quanto riguarda l'ultimo è facilmente intuibile il perché visto che è un romanzo piuttosto breve ed immediato, è quasi una parabola molto facilmente leggibile rispetto agli altri romanzi che hanno una struttura narrativa molto più corposa.

Ciò non toglie che Il vecchio e il mare sia una storia bellissima.

D'altronde è con questo piccolo testo che il buon Ernest ha vinto il premio Pulitzer e soltanto un anno dopo insignito con il Nobel della letteratura.



In queste settimane che sono coincise con l'entrata nella zona rossa della mia regione, Hemingway è stata una buona compagnia, e fortuna abbia voluto che nelle scorse settimane mi ero fatto una buona scorta di libri alle bancarelle dell'usato, dove per pochi Euro trovai delle vecchie copie di Fiesta e Addio alle armi.

Come ho scritto più su, ho apprezzato tantissimo la rilettura di questi due tomi, forse perché ero più tranquillo e rassegnato dal fatto di non poter uscire e quindi con un atteggiamento più concentrato, perché gli scritti di Hemingway hanno molti dialoghi ed hanno bisogno di una soglia alta di attenzione, ergo forse la prima volta ho sbagliato approccio.

C'è molto della sua vita in queste storie.

Ernest ha vissuto una vita molto vivida ed avventurosa, ed ha messo molte delle sue esperienze nei suoi romanzi, ed infatti i suoi personaggi risultano piuttosto vividi e suggestivi, anche nelle loro emozioni, che talvolta sfiorano un po' la meliosità, va anche detto.

Ma va bene così, visto che comunque i protagonisti di Fiesta e Addio alle armi sono uomini e donne piuttosto giovani.

Non sono qui per raccontare di questi romanzi, sarebbe inutile, visto che l'opera di Hemingway è stata pesata e giudicata dai più grandi critici dell'ultimo secolo, ed esistono numerosi saggi che parlano delle sue storie, ed io non ne sarei all'altezza, ma lasciatemi dire che nelle sue storie c'è tutto.

Dalle corride e alle fieste spagnole con le corse dei tori di Pamplona, alle montagne italiane della prima guerra mondiale, dagli amori al sesso, fino alla tragedia e alla morte.

D'altronde anche lui ha condiviso il destino di alcuni personaggi dei suoi romanzi, anche se nel suo caso è stato per morte scelta.

C'è un vecchio racconto del mio amatissimo Ray Bradbury in cui un uomo con una macchina del tempo prova a salvare la vita di molti scrittori vittime di morte violenta tra cui Hemingway.

Perché anche Ray, come me, come chissà quanti migliaia di altri, pensa che avrebbe ancora potuto regalarci delle opere immortali come queste.

Ma Ernest non la pensava così.

Non ricordo dove, tempo fa, lessi una delle sue ultime interviste, in cui affermò che lui sarebbe vissuto fin quando avrebbe avuto altre storie da scrivere e raccontare.

Comunque sono contento che esistano sue opere che io non ho ancora letto, e che quindi conto di reperire appena potrò, quindi per me, almeno narrativamente parlando, sarà ancora vivo.


" Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche una zolla venisse lavata via dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità. e dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te."

John Donne


Alla prossima!




martedì 3 novembre 2020

L'olivetti lettera 32


Bazzico su Instagram ormai da tanto tempo, e mi sono accorto con il passare degli anni che nelle foto inerenti i libri, capita molto spesso di trovare in posa una macchina da scrivere Olivetti.

Sono quindi arrivato a chiedermi com'è che questo oggetto sia così in voga tra le/gli bookstagrammer.

L'avevano avuta anche loro in casa, l'avranno comprata perché viene considerata un oggetto di culto tra i letterati e gli appassionati di letteratura?

Non ne ho idea.

Fatto sta che è un po' il prezzemolo delle foto quando si tratta di libri.

Ma non capita soltanto nelle foto su Instagram di notarla, ma appare spesso nei video di case abbandonate, dov'è una delle cose che salta più all'occhio, e fa bella mostra di sé anche nei mercatini delle pulci, dove non è raro intercettarne qualcuna in vendita.

Possiamo in un certo senso considerarla l'antenato del computer?

Per quel che mi riguarda un po' sì.

Perché io non immaginavo ne girassero così tante.

E non parlo solo della Lettera 32, ma anche dell'ancora più vetusta versione, ovvero la 22.

Io ho a casa una 32 che i miei all'epoca ( suppongo perché non ricordo ) comprarono per mia sorella e mio fratello che ben prima di me frequentarono L' istituto Tecnico Commerciale.

Questa scuola aveva due ore a settimana dedicate alla dattilografia e quindi l'insegnante consigliava di procurarsene una per allenarsi.

I miei quindi comprarono una Olivetti Lettera 32 con annessa valigetta, ed io la conservo da allora.

Anche se oggi è parecchio vissuta, ma d'altronde ha praticamente trent'anni.

Anche se ero piccolo, ricordo che la usavo anch'io.

Mi piaceva scrivere e ricordo che ero piuttosto bravo e veloce a battere a macchina.

Scrivevo brevi racconti che poi facevo leggere ai miei con protagonisti gli amici di mio fratello che venivano a casa, e ricordo che li facevo ridere.

Anch'io ho frequentato successivamente lo stesso istituto scolastico e quindi anch'io per due anni feci dattilografia.

Ero parecchio veloce a scrivere, il che era strano per i miei compagni di classe che notoriamente pensavano fossi un asino e quindi guardavano con sospetto questa mia abilità, e penso avessero ragione.

Nel senso che c'era una tecnica che veniva insegnata per scrivere, in cui bisogna usare tutte e cinque le dita, ma io da autodidatta avevo il mio stile che andava contro l'insegnamento, ed infatti per scrivere non riuscivo ad usare l'anulare ed il mignolo per battere alcune lettere, quindi era un po' come non rispettare le regole.

Non che l'insegnante se ne sia mai accorta o ci facesse caso, ero abbastanza furbo da cercare di non finire tra i primissimi.

Con la fine del primo biennio superiore questa materia non veniva più insegnata, e complice l'arrivo dei primi computer a casa mia, la macchina da scrivere non venne più usata, ma inserita nella sua apposita valigetta e conservata nel posto dove risiede tuttora.

Ultimamente mi sta venendo la voglia di tirarla fuori, pulirla e magari inserirla come soprammobile in qualche mensoletta.

Mi dispiace un po' vederla conservata a memoria imperitura dentro un armadio.

Ma in verità ho fatto questo post per capire un po' perché è così presente nelle foto dei bookstagrammer.

Sono figli di scrittori e giornalisti, avranno frequentato la mia stessa scuola, o è solo un oggetto vintage associato alla letteratura?

E soprattutto lo chiedo ai miei pochi e sparuti lettori, ne avete qualcuna a casa?

Sono curioso.


Alla prossima!


mercoledì 28 ottobre 2020

Cane mangia cane - Edward Bunker

 E così sono arrivato anche ad Edward Bunker.

Solo che Bunker è molto diverso da tutti gli autori che ho letto finora.

Di quelli che bazzicano tra il noir e l'hard boiled, dico.

Forse perché ha vissuto veramente la vita che racconta nelle sue storie, visto che prima di diventare scrittore è stato criminale ed è stato più volte in carcere, ma la sua penna è molto più cattiva e nera delle altre.

Bunker mette molto delle sue esperienze e dei racconti che ha sentito narrare.

E forse è proprio per questo che il confine tra il romanzato e il narrato reale è così labile, ed i suoi personaggi sono così vividi ed alienanti.

La L.A. di cui ci parla è molto più violenta e fetida di quella romantica di altri autori di questo genere, molto più disperata e nichilista, tanto da farci toccare con mano il sottobosco che si nasconde tra i boulevard e la gente perbene.

Il cosiddetto underworld.

Cane mangia cane è un buon libro, raccontato da un punto di vista totalmente criminale e per questo narrato senza filtri.

Oggi siamo abituati a questo genere di narrazione, grazie a serial Tv come Gomorra, Suburra, Narcos, ecc.ecc. ma qui c'è poco da provare attrazione per questi personaggi, anche quando l'autore prova ad umanizzarli.

O almeno io non sono riuscito a farlo.

Allo stesso tempo è anche una cinica e spietata critica al sistema carcerario americano, che ti sputa fuori senza nessuna possibilità di redenzione e rieducazione lavorativa, visto che per il sistema diventi subito out.

Sicuramente leggerò altro di suo, ma chissà quando, visto che con l'ultimo Dpcm ha chiuso il mio mercatino di riferimento.

Adesso dopo Bunker, il mio sogno è riuscire ad incrociare quello che è considerato un po' il capostipite del genere noir/hard boiled, ovvero Dashiell Hammett con il suo Il Falcone Maltese.

Prima di chiudere, lascio la sinossi del romanzo per chi fosse interessato, presa in prestito da Einaudi. 

Io posso solo aggiungere che è un romanzo che merita di essere letto.

Non ha la decadenza, la poesia e il romanticismo di Chandler, né la precisione chirurgica ed investigativa di Ellroy, ma ha il merito di essere diretto, rapido e scorrevolissimo.


Tre uomini, l’ultimo colpo, l’ultima occasione concessa dalla vita. Cane mangia cane è il romanzo piú potente di Bunker, e racconta la storia di tre figure indimenticabili, legate da un destino tragico fin dagli anni del riformatorio: Charles («Diesel») Carson, Gerald («Mad Dog») McCain, e il loro capo Troy Cameron, criminale consapevole, lucido e spietato come un animale da preda, che vede con inquietudine il suo territorio di caccia minacciato dalle nuove gang dei ghetti di Los Angeles. Con una scrittura tesa e un freddo naturalismo Edward Bunker, uno scrittore che prima è stato criminale, ha portato nel genere noir una nota del tutto diversa dalle atmosfere alla Chandler o alla Hammett: nessun romanticismo, nessun eroe in cerca di redenzione. Perché il crimine come mestiere ha un suo senso dell’orrore ed è guidato da una folle passione; e se fai davvero parte dell’underworld, è inutile cercare di uscirne.





Alla prossima!


venerdì 16 ottobre 2020

L'incendiaria - Stephen King

" Bruciare era un piacere."

Ray Bradbury


Concludo e mando a maggese per un po' King con questo post dedicato ad un altro dei suoi più vecchi romanzi, L'incendiaria.

Mentre leggevo questo romanzo, ma anche Christine e La Zona Morta mi sono domandato cosa significa leggere questi romanzi oggi.

Io lo feci nel 2003 circa o giù di lì, e pur essendo cresciuto con il cinema, i cartoni animati, i fumetti ed i telefilm degli anni '80 non percepivo una sovraesposizione di tematiche ricorrenti.

Leggere un romanzo del genere oggi, invece, è un'esperienza un po' strana, specie per un nuovo lettore.

Mi capita spesso di spulciare le recensioni dei nuovi "fedeli lettori " di King, soprattutto di quelli giovanissimi su Instagram e di leggere un po' di perplessità nei riguardi di plot narrativi che ai loro occhi oggi appaiono desueti e banali.

E li capisco benissimo.

Di storie simili oggi ne è pieno il fosso.

I cinecomics, i telefilm, persino i fumetti, hanno sdoganato e di fatto riempito i media di supereroi, di gente con superpoteri e tutto il companatico, rendendo quindi prevedibili alcune opere del passato, specie un libro come l'Incendiaria del 1979.

L'incendiaria infatti è un'opera molto cinematografica e ricca di cliché narrativi, ma allo stesso tempo molto solida.

Al tempo credo che un'opera del genere avesse pochi paragoni, forse qualcuno tra i cartoni animati ed i fumetti, infatti una storia come quella che vede protagonista Charlie, negli X-Men apparirebbe normalissima, ma fino all'esplosione dei cinecomics comunque una roba per pochi nerd e non per la massa.

E soprattutto senza internet a fare da cassa di risonanza.

Eppure l'Incendiaria è un buon romanzo.

Andiamo di sinossi tratta da Ibs ( abbastanza bruttina, parere personale):

Charlie: una bimba terrorizzata e terrorizzante dotata di energie psichiche straordinarie. La "Bottega": un'agenzia governativa decisa a sfruttare tali facoltà per i suoi folli scopi. Si scatena così una ricerca senza quartiere per braccare la piccola che tuttavia riserverà qualche sorpresa ai suoi persecutori.



L'incendiaria parte col botto.

La prima parte è infatti molto bella e coinvolgente. Un'avventura che parte al cardiopalma ed on the road, con quell'atmosfera da fuga rurale, che a me piace un casino.

La storia prende forse una piega inevitabile e prevedibile, e la parte centrale soffre molto questa prevedibilità, perché tutti i lettori, e non sarà uno spoiler, sanno dove vanno a parare trame del genere, quindi sanno che Charlie e suo padre passeranno un po' di tempo tra le grinfie degli avversari.

Ecco, quella parte forse è fin troppo prolissa e descrittiva, ma in generale io credo che L'incendiaria sia un romanzo che funzioni.

Bellissima la terza parte quando finalmente King lascia che Charlie si scateni con tutta la sua forza.

C'è qualche ingenuità narrativa nel cosiddetto duello finale, ma credo che sia funzionale alla trama, quindi voluto.

Finale ottimo ed in dissolvenza, l'unico possibile, visto che comunque parliamo di un libro che vede per protagonista una bambina di 8 anni.

Ci sono alcune supercazzole soprattutto in ambito scientifico e nei riguardi della natura del potere di Charlie e degli esperimenti sui suoi genitori, ma si accettano tranquillamente, come d'altronde accettiamo che una ragazzina di 8 anni abbia il potere di mandare a fuoco il mondo intero.

Molto belli alcuni sottotesti narrativi nei riguardi del potere, soprattutto quello affidato ad un infante, ma ripeto che è comunque una roba già letta se si è cresciuti a pane ed X-Men come il sottoscritto.

Da questo film fu tratto il film Fenomeni Paranormali Incontrollabili con una bravissima e piccolissima Drew Barrymore e di cui ricordo pochissimo, tranne la bellissima scena della pallottola che è presente anche nel romanzo.

Che dire, non rileggevo questo romanzo da quasi vent'anni, ed oggi è molto invecchiato, ma rimane una buona lettura.

Per me è un buon romanzo, dalla struttura sicuramente prevedibile, ma che si fa leggere volentieri.

Tanto per dire: il romanzo recente a cui può essere paragonato e che parte da premesse simili, ovvero L'istituto per me vale meno della metà de L'incendiaria, che appare molto più corposo e narrativamente interessante.

L'istituto è fin troppo facilone e sempliciotto, sicuramente più scorrevole, ma senza nessuna complessità di fondo.

Forse a livello di scrittura oggi King è più piacevole e meno prolisso da leggere, ma un tempo ai miei occhi sembra che avesse una penna più libera e meno trattenuta.

E soprattutto era una fucina di idee, ed era più giovane, e probabilmente meno politicamente corretto.


Alla prossima!


lunedì 12 ottobre 2020

Se scorre il sangue - Stephen King

 " Contengo moltitudini."


Ancora King? Sì.

Ultimamente ho letto anche altri libri che non fossero di King, ma di autori di cui ho già parlato e così di genere, da non necessitare di chissà quale approfondimento.

Sono stati più conferme, che momenti di analisi o recensione.

Quindi difficilmente tornerò a parlare di Raymond Chandler, Ellroy o altri autori noir di cui ho già parlato, ma probabilmente lo farò di qualche altro autore come Edward Bunker non appena leggerò Cane mangia cane che ho trovato ad 1 Euro al mercatino.

Ed anticipo che anche il prossimo post probabilmente sarà dedicato a Stephen King.


Comunque bando alle ciance e parliamo di Se scorre il sangue.

Ci ho messo parecchio a vincere la mia ritrosia verso i libri in prima edizione, che per problemi economici ed anche per scelta personale, spesso by-passo volentieri.

Ma con King prima o poi so che cadrò nel vecchio vizio.

Ho resistito per alcuni mesi, ma poi l'ho visto in vendita in un supermercato e l'ho aggiunto al carrello della spesa.

Prima di tutto, come d'altronde molti sapranno già, si tratta di una raccolta di quattro racconti e non di un romanzo.

I racconti ivi contenuti sono:

- Il telefono del signor Harrigan

- La Vita di Chuck

- Se scorre il sangue

- Ratto

Parlare di una raccolta di racconti è sempre complicato, in quanto mancando la centralità di un'opera singola, si va di gusti personali e quindi non possono essere trattati nel loro insieme.

Quindi di base, capisco benissimo i nuovi adepti di King, quando scrivono di aver apprezzato alla follia queste quattro storie o i vecchi affezionati che invece fanno fatica a digerire alcuni di questi racconti che aggiungono poco o nulla alla sua bibliografia.

Se dovessi dire in base ai miei gusti quale ho apprezzato direi La Vita di Chuck su tutti, molto più introspettivo ed originale degli altri, e Ratto che è davvero uno scritto graffiante nonostante alcuni simbolismi già usati da King stesso ed altri autori.

Il telefono del signor Harrigan mi ha lasciato poco.

In parole povere è una storia di fantasmi moderna, dove un uomo morto comunica e aiuta un ragazzo attraverso il telefono cellulare.

Un racconto piuttosto basico, secondo me.

Mi ha fatto sorridere in questo racconto, che King è costretto a spiegare in maniera quasi tecnica l'utilizzo degli SMS e dei primi Iphone.

Segno di quanto queste storie siano precostruite per piacere alle nuove generazioni che hanno bisogno di avere tutte le spiegazioni del caso, come se non esistesse Google. :-P

La Vita di Chuck è un racconto splendido, vale da solo il prezzo del libro.

King disegna una storia in tre atti, in bilico tra distopia e umanità.

La nostra mente contiene e crea mondi.

Direi che basta questo per descrivere questa storia veramente geniale e commovente.

Racconto che consiglio.

Altro racconto piuttosto canonico è Se scorre il sangue.

Il racconto più lungo della raccolta, che contiene alcuni spoiler di un suo romanzo precedente ovvero The Outsider.

Che io non ho ancora letto, quindi in pratica mi sono spoilerato il finale.

Non che mi importi molto, visto che personalmente sono più interessato al viaggio che al finale, quindi se mi capita lo leggerò volentieri.

Ritorna uno dei personaggi feticcio di Stephen King degli ultimi anni ovvero Holly Gibney.

Credo di capire perché King ami tanto questo personaggio.

Holly è un personaggio molto moderno e fallibile.

Per altro molto credibile per via dei suoi problemi psicologici.

Una persona debole, di indole quasi depressa, che grazie al supporto dei medici e degli amici poi, diventa quasi una supereroina.

E' la paladina degli psichiatri e degli psicologi, la perfetta icona pubblicitaria, secondo me. :-P

Scherzi a parte, capisco che King la ami, ma a me non mi ha mai esaltato particolarmente.

La storia del libro è piuttosto basica, con meccanismi narrativi quasi da poliziesco thriller.

Niente di che, secondo me.

E poi fin dai tempi della trilogia di Mr. Mercedes ho sempre fatto fatica a trovare credibili alcuni dei comprimari che circondano la vita di Holly.

Però è un problema mio, me ne rendo conto.

Chiude la raccolta Ratto.

Lo dico tranquillamente, non aggiunge nulla di nuovo al genere horror, ma mi è piaciuto molto.

Mi ha ricordato un po' Il Corvo di Poe e forse per questo mi sento un po' di amarlo.

Uno scrittore febbricitante e prigioniero di una bufera di neve e pioggia, rimane bloccato in un casolare in cui era andato a scrivere un romanzo, in compagnia di un grosso ratto morente, che improvvisamente parla e con cui fa un patto degno di Faust.

Bel racconto, nulla da dire.

Mi rendo conto che questo scritto assomiglia più ad un flusso di coscienza che ad un post del blog, però sto dormendo poco, combatto contro l'insonnia, a volte vincendo ed a volte perdendo, e fuori piove.

Siate comprensivi.

Alla prossima!

giovedì 24 settembre 2020

La zona morta - Stephen King

 

All'epoca in cui leggevo gli X-Men, Longshot era uno dei miei personaggi preferiti del gruppo di mutanti. 

Oltre ad essere agilissimo, avere delle ossa cave come quelle degli uccelli, riuscire a far innamorare di sé quasi tutte le donne ed avere il potere mutante della fortuna, aveva anche il dono della psicometria, ossia vedere la storia di un oggetto o di una persona attraverso il tocco.

Mi rimase impressa un'avventura in cui lui e gli X-Men dopo aver sconfitto il nemico di turno che era formato da un gruppo di mutanti con innesti tecnologici che si chiamano Reavers nel loro covo, si ritrovarono letteralmente davanti un tesoro sottratto degno del deposito di Zio Paperone o di Smaug il drago.

Attraverso il potere di Longshot gli X-Men riuscirono a risalire a gran parte dei legittimi proprietari di quegli oggetti, tra cui oro, denaro, gioielli, ecc.ecc.

Un'avventura molto toccante, ma che mandò letteralmente il povero Longshot in shock per lo sforzo.

Beh, John Smith il protagonista del romanzo di King ( credo che il nome comunissimo non sia scelto a caso ) ha un potere simile, ossia quello di predire il futuro attraverso il tocco.

Ed io adoro tematiche simili.

Un potere che somiglia più ad una condanna che ad una benedizione.

Anche se in corso d'opera e in maniera nemmeno troppo velata, King attraverso il personaggio della madre di John, una donna affetta da una mania psico-religiosa, ci fa intuire o comunque prova a metterci il dubbio, che il potere di John esista per uno scopo ben preciso che arriva dall'alto.

D'altronde il potere del "bianco" è sempre presente in maniera latente nei romanzi di Steve.

Andiamo di sinossi, presa in prestito da Ibs:

Al risveglio da un coma durato quattro anni, Johnny scopre di possedere un dono meraviglioso e nello stesso tempo tremendo: è capace di conoscere il futuro e i segreti della mente altrui con un semplice contatto, anche solo un tocco della mano. E questa facoltà lo conduce dentro un'avventura agghiacciante, in cui è sempre più solo.


 Lo dico subito, non ho mai inserito La zona morta tra i miei preferiti del Re,  forse perché è un po' statico e forse perché non ha un gran ritmo, ma è uno dei libri più coerenti e coesi di King.

Sulla costruzione della storia e della dinamica degli avvenimenti, si può veramente discutere di poco o nulla.

Forse per quel che mi riguarda, ho trovato il libro molto romanzato con dei personaggi troppo specifici e troppo costruiti, ma di per sé non è un difetto, ma è ben conscio per il lettore, che non è una lettura realistica, e non per i poteri di preveggenza del personaggio, ma per come il tutto sembra incastrarsi nel contesto narrativo.

In parole povere, a parte John, ho fatto fatica a immaginare come reali alcuni dei personaggi che lo circondano.

Va detto che è il primo romanzo di King che non è dichiaratamente un horror.

La zona morta presenta numerose chiavi di lettura e si incastrano tutte benissimo.

C'è una bellissima e drammatica storia d'amore, c'è la religione, quella peggiore, bigotta e credulona, e soprattutto è uno dei romanzi più politici di King.

Per altro presenta una figura politica piuttosto attuale, ignorante e populista, che miete consensi anche attraverso metodi non proprio ortodossi.

Greg Stillons è un villain a cui potreste mettere quasi qualsiasi nome odierno per quel che concerne le frange più estreme delle politica mondiale ed europea. 

Ed è un personaggio che funziona, altroché.

La filosofia del romanzo si basa su una domanda ormai molto inflazionata ( però teniamo conto che il romanzo è del 1979 ) che verte su che cosa fareste se scopriste di poter impedire un futuro nuovo conflitto mondiale o una dittatura mettendo fine alla vita di un politico o di un dittatore prima che diventi tale, ed è una scelta che toccherà fare a John in corso d'opera.

John Smith è sicuramente il protagonista indiscusso del romanzo.

La sua parabola mi ha ricordato quella di un romanzo recente che ho letto ovvero quella di Stoner in cui ho trovato parecchie similitudini tra i personaggi.

John Smith ( basta vedere il suo nome ) è una persona comune, una persona normale e felice, felicemente fidanzato, la cui vita viene stravolta completamente a causa di un incidente automobilistico che gli è quasi fatale, visto che lo manda in coma per quattro anni.

In questi quattro anni perde la fidanzata ( che non ci ha messo molto a sposarsi e fare un figlio nel frattempo ) ed acquista un potere, che gli permette di aiutare le persone ed anche la polizia ( infatti uno dei capitoli più belli è quello in cui aiuta lo sceriffo di Castle Rock a risolvere il caso di un omicida seriale ), ma che allo stesso tempo lo rende un fenomeno da baraccone per i giornalisti e le persone che lo circondano.

Da un punto di vista narrativo La zona morta è secondo me un romanzo veramente buono, e quindi lo stra-consiglio.

Alcuni comprimari si comportano in un modo non sempre credibile, ma è un libro che fila via che è un piacere, ed in alcuni punti è davvero toccante.

Il finale è discutibile, se non altro perché ai politici ho visto far di peggio ed uscirne puliti nella realtà, ma lo scoprirete solo leggendolo ( sempre che non abbiate visto la riduzione cinematografica di Cronenberg).

La zona morta è un romanzo che merita di essere riscoperto.

E' la storia di un uomo comune, con il nome più diffuso d'america, che ad un certo punto smette di essere tale, e da cui ( forse ) dipende il destino dell'umanità.


Alla prossima!