martedì 22 novembre 2022

La chiusura letterale, esistenziale e metaforica di un cerchio fumettistico

Questo post esula un po' dalla direzione naturale che aveva intrapreso questo blog negli ultimi anni, ma in qualche modo rappresenta la prosecuzione di due miei vecchi post: Svendersi e Le nostre eredità librarie.

Diciamo quindi che in qualche modo rappresenta la chiusura di un cerchio o di una trilogia, fate vobis.

Mettiamola giù dura e in maniera netta, quest'estate durante dei lavori di ristrutturazione nella camera mia e di mio fratello, ho deciso di donare quasi tutti i fumetti Marvel che mi erano rimasti, ad eccezione degli X-Men, dei manga, di alcuni speciali, e qualche opera sparsa che ho comprato negli ultimi anni.

Ho fatto un annuncio sul marketplace di Facebook ed ho deciso di donare un gran numero di fumetti Marvel, che sicuramente superavano le trecento unità o anche più.

Non me lo aspettavo, ma mi hanno contattato un considerevole numero di persone, segno che la gran mole di uscite televisive e cinematografiche targate Marvel, ha reso di fatto i supereroi un fenomeno pop.

C'era chi mi scriveva dalla Sicilia, offrendosi di pagare la spedizione, e chi era disposto a pagarmi.

Io ho scelto di regalarli, a patto che venissero a prenderseli fino a casa mia.

Alla fine i fumetti sono andati ad un ragazzino, che è venuto a ritirarseli con il padre, dopo che la madre mi aveva contattato su Messenger asserendo che suo figlio è un grande fan della Marvel, e che ne sarebbe stato entusiasta.

A dirla tutta non mi è sembrato, di fatto mi è parso un po' torvo, ma magari era solo timidezza, chi può dirlo, ma sono stato contento di averglieli donati, poiché io non riuscivo a guardare quei fumetti con quell'amore e quell'entusiasmo di un tempo.

Ed anzi, li vedevo come un peso.

In termini di spazio, ma anche di tara mentale e di salute.

Per me che soffro saltuariamente di asma, mi era stato consigliato di dormire in una camera quanto più asettica possibile, e quella di prima non lo era, dato che era piena di libri e fumetti.

Un altro stilema mentale era che guardare quelle librerie stipate fino all'inverosimile di fumetti, che ormai non toccavo e leggevo più, mi procurava una certa ansia e tristezza, che denotava quanto io sia cambiato ed invecchiato nel frattempo.

Ed in più mi ricordavano dei bei tempi, che poi diventarono brutti.

Il che ci riporta un po' al primo post di questo ciclo, quello in cui ho dovuto vendere buona parte dei fumetti per ristrettezze improvvise economiche.

Fu un periodo terribile in cui avevo paura di non riuscire nemmeno ad avere i soldi per fare la spesa o pagare la luce.

Quella volta cento fumetti o giù di lì mi fruttavano 20 Euro, una sorta di elemosina che mi elargiva un librario che conoscevo, questa volta è stata una mia scelta personale e gratuita, direi che sia stato un significativo balzo in avanti in positivo.

Ora mi domando cosa sarà dei miei libri o di quegli albi che mi sono rimasti.

Mi sono accorto con il tempo di quanto un po' tutti quanti vivano con una certa ansia la mancanza di spazio o il riempimento dello stesso.

Da adolescente me ne fregavo e non ci pensavo affatto, mentre da adulto ogni acquisto è quasi un mattoncino d'ansia che accresce un'eredità inutile.

E questo ci riporta al post sulle eredità librarie, ed ad un fatto che ho vissuto tempo addietro.

Non molto tempo fa assistetti alla fine dell'esistenza di un parente, e già pochi secondi dopo la dipartita si discuteva del fatto di cosa farne di tutti i mobili, vestiti, e di oggetti di una vita intera.

Una vita che è praticamente finita dentro un furgoncino pochi giorni dopo.

So che sono solo oggetti, ma a volte mi domando il senso di comprare e collezionare cose che un giorno magari verranno gettate via nella pattumiera più vicina o saranno vendute a costo quasi zero ad un rigattiere.

Ed è incredibile come questa cosa mi tormenti dopo qualsiasi acquisto librario o fumettistico.

Forse è anche questo che mi ha portato a quella scelta, anche un po' autolesionistica, di donare tutti quei fumetti, e chissà, magari farò lo stesso con i miei libri, un giorno, ed anche con quei pochi albi Marvel, Vertigo, e chissà cos'altro che mi sono rimasti.

Forse è qui che si annida la scelta di affidare quegli albi ad un affiliato della nuova generazione di lettori, però mi ha colpito in negativo quella tranquillità, quella mancanza di gioia ed entusiasmo, davanti a qualcuno che in un certo senso gli ha donato parte della sua esistenza.

Avrò scelto la persona sbagliata? Chissà.


Alla prossima!




venerdì 4 novembre 2022

Koko - Peter Straub

 

Koko, da quel che ho capito girovagando per la rete, doveva essere il primo di una trilogia, denominata de La rosa blu, di cui purtroppo non vedremo più la fine, visto che il terzo volume non è mai uscito*, e con la morte dell'autore, è morta anche questa trilogia, insieme a quella a quattro mani con Stephen King de Il Talismano e La casa del buio, che a questo punto resteranno tronche per sempre.

Sicuramente almeno il secondo volume, Mistery, lo recupererò, appena potrò, anche perché sia Koko che quest'ultimo sono stati ristampati recentemente da Fanucci.

A dirla tutta l'edizione di Koko che ho io, è una di quelle dell'edizione Club che circolavano negli anni '90 e che ho trovato a pochissimo su Ebay.

Koko è molto diverso dagli altri romanzi di Straub, il che mi ha fatto riflettere molto.

Ho idea che sia con questo e con i suoi due romanzi successivi, Mistery e Mr. X, che quest'autore sia finito nel dimenticatoio.

Leggendo le trame di questi altri due romanzi, appare evidente come in un certo senso Straub si sia sempre più allontanato dall'horror per elaborare trame molto più complesse, drammatiche e mature, che sfociano soprattutto nel thriller, come è il caso di Koko.

Parliamone dopo la sinossi:

"Solo quattro uomini sanno chi è Koko. E devono fermarlo. Sono trascorsi ormai molti anni dalla fine della guerra in Vietnam quando quattro reduci appartenenti allo stesso plotone si ritrovano a Washington: un pediatra, un semplice operaio, un avvocato e uno scrittore. Non hanno nulla in comune. Il motivo del loro incontro è legato al passato, a un unico traumatico episodio, improvvisamente rievocato da un agghiacciante fatto di cronaca. A Singapore si sta verificando un'efferata catena di inspiegabili delitti firmati da un misterioso killer che lascia su ogni vittima, orribilmente sfigurata, una carta da gioco sulla quale è scarabocchiato il nome "Koko". Solo loro ne conoscono il significato e sanno che non hanno tempo da perdere. Dai cimiteri e bordelli dell'Estremo Oriente alla giungla umana di New York, daranno la caccia a qualcuno che è risorto dall'oscurità per uccidere, uccidere e uccidere ancora."

Lo dico subito, Koko mi è piaciuto molto, ma allo stesso tempo è un libro molto asettico ed è difficile empatizzare con i personaggi che lo compongono.

Non solo perché sono un cast di persone che hanno vissuto e combattuto la guerra in Vietnam portandosi dietro un bagaglio di ricordi dolorosi e drammatici, ma anche perché i postumi psicologici se li portano dietro anche dopo vent'anni.

La trama, come si evince anche dalla sinossi, è molto semplice: quattro ex commilitoni vengono a conoscenza che esiste in giro un assassino che ammazza le vittime utilizzando dei metodi che uno della loro squadriglia si inventava nelle sue storie, quindi ipotizzano subito che è per forza uno di loro, e partono alla ricerca di colui che ha inventato la storia, e che ritengono essere l'assassino o comunque uno dei sospettati.

Straub fa un gran bel lavoro con i personaggi, e soprattutto i fatti del passato in Vietnam e i capitoli dedicati alla figura di Koko, sono tra i più belli del romanzo.

In più Straub è sempre bravissimo nella scrittura, ed il punto di vista di Koko è veramente scritto da Dio, quasi in maniera onirica, per certi versi, entriamo in una mente paranoica che ha una visione della realtà e dell'esistenza tutta sua.

Essendo un thriller è molto importante l'intreccio.

E' bene essere chiari, non è molto difficile ipotizzare l'assassino, non dico che ci si arriva facilmente, ma comunque la cerchia è così ristretta che l'identità attraverserà i pensieri di qualsiasi lettore.

E' un difetto? Non lo so, però di sicuro siamo lontani da autori che sorprendono di più a livello di trama come un Dennis Lehane, per dire.

A parte la soluzione del mistero, devo dire che invece il finale, pur se un po' anticlimatico, è parecchio incisivo e funzionale e mi è garbato molto.

Un' altra cosa che mi ha lasciato perplesso è un capitolo in particolare, quello in cui tre dei quattro protagonisti partono alla ricerca di Underhill colui che pensano possa essere l'assassino, visto che è proprio l'autore di quella storia che Koko sta facendo diventare realtà.

Ebbene, passi per colui che non parte e resta a casa per esigenze di narrazione, e che quindi non è impossibile dedurne il destino, nel viaggio delle altre tre persone, Straub non ci parla minimamente di uno di loro.

Ora, capisco che si parla del personaggio più problematico del gruppo,  probabilmente stava sulle palle all'autore stesso, però è strano che Straub lo abbia saltato così a piè pari, mentre per gli altrui due ci racconta per filo e per segno tutto il viaggio, per altro in alcuni dei migliori capitoli del romanzo.

Una scelta che narrativamente parlando non capisco.

Lo mandi a Taipei? Beh, raccontaci qualcosa, e no, non bastano quelle quattro parole in croce nel viaggio di ritorno.

Insomma, probabilmente Koko è un thriller convenzionale, ma i temi della storia e come vengono trattati sono parecchio incisivi.

Straub ci dà la sua personale visione della guerra in Vietnam e delle sue conseguenze sulla psiche dei protagonisti, e lo fa bene, e soprattutto ci racconta il dramma in un paio di capitoli ambientati proprio lì che sono veramente forti e crudi.

In più ci descrive alcuni sottoboschi di alcune città come Singapore e Bangkok davvero molto fetidi e malsani, in alcune pagine on the road davvero ispiratissime.

Koko è probabilmente l'opera più coesa e matura di Peter Straub.

Non ha raggiunto la fama e la popolarità di Ghost story, ma resta un bel romanzo, che forse paga delle soluzioni narrative un po' telefonate, ma che allo stesso tempo offre al lettore molti capitoli bellissimi.

Io lo consiglio senza riserve.


*Come mi è stato segnalato nei commenti, in verità il terzo e conclusivo libro della trilogia dal titolo The Throat è uscito in patria nel 1993, e dovrebbe a breve uscire per Fanucci.

Alla prossima!(?)

mercoledì 5 ottobre 2022

Fairy Tale - Stephen King

Il retro copertina si rivela ben più che profetico, e ti sbatte in faccia la cruda realtà: Fairy tale è una lettura per ragazzi, un classicissimo YA.
E' un bene o un male? Non lo so, ma nel parlarne è giusto tenerne conto.
Sono sicuro che qualche lettore del Re si aspettasse qualcosa di diverso.
Ci speravo anch'io, in effetti.
Quella copertina così bella ed evocativa, che lasciava immaginare un viaggio on the road di stampo fantasy dal contesto molto alchemico, inganna un po' il lettore, soprattutto quello che si aspettava una lettura che citasse a chiare lettere l'opus magnum di  King, ovvero La Torre Nera.
Qualche accenno c'è, ma troppo poco, troppo poco.

Superata questa piccola delusione, Fairy Tale si rivela essere una fiaba dark molto citazionista, che nella sua parte più fantasy ricorda parecchio un serial televisivo tipo C'era una volta, e sembra quasi una sceneggiatura già servita in tavola per qualche futura serie tv o trasposizione cinematografica.

I titoli dei capitoli descrivono in toto cosa accadrà togliendo del pathos alla narrazione, ed alleggerendola alquanto, ed è un po' un bieco tentativo di dare pepe ai capitoli cercando di trasmettere curiosità nel proseguo.
Personalmente è una scelta che trovo alquanto discutibile, e che in qualche modo sottovaluta il lettore, anche un giovanissimo.
Il romanzo è condito da alcune illustrazioni molto carine.
Andiamo un attimo di sinossi e parliamone meglio:

Charlie Reade è un diciassettenne come tanti, discreto a scuola, ottimo nel baseball e nel football. Ma si porta dentro un peso troppo grande per la sua età. Sua madre è morta in un incidente stradale quando lui aveva sette anni e suo padre, per il dolore, ha ceduto all'alcol. Da allora, Charlie ha dovuto imparare a badare a entrambi. Un giorno, si imbatte in un vecchio – Howard Bowditch – che vive recluso con il suo cane Radar in una grande casa in cima a una collina, nota nel vicinato come «la Casa di Psycho». C'è un capanno nel cortile sul retro, sempre chiuso a chiave, da cui provengono strani rumori. Charlie soccorre Howard dopo un infortunio, conquistandosi la sua fiducia, e si prende cura di Radar, che diventa il suo migliore amico. Finché, in punto di morte, il signor Bowditch lascia a Charlie una cassetta dove ha registrato una storia incredibile, un segreto che ha tenuto nascosto tutta la vita: dentro il capanno sul retro si cela la porta d'accesso a un altro mondo. Una realtà parallela dove Bene e Male combattono una battaglia da cui dipendono le sorti del nostro stesso mondo. Una lotta epica che finirà per vedere coinvolti Charlie e Radar, loro malgrado, nel ruolo di eroi. Dal genio di Stephen King, una nuova avventura straordinaria e agghiacciante, una corsa a perdifiato nel territorio sconfinato della sua immaginazione.

Io sono un uomo di mezza età, e probabilmente non la persona indicata per parlare di un libro simile.
Probabilmente quest'opera è adattissima per un lettore giovanissimo, che si sta approcciando al mondo letterario, ed anche un ingresso leggero alla narrativa del Re.

Quello che posso fare io è mettere questo testo in parallelo ad altre opere dello stesso tenore già pubblicate da King, tipo Il talismano o Gli occhi del drago.

Beh, Il talismano è molto meglio, soprattutto nella parte ambientata nel reale, mentre con Gli occhi del drago un po' di gara c'è, se non altro per quel che concerne il percorso narrativo, che benché molto citazionista e derivativo, è comunque molto meno circoscritto di quello de Gli occhi del drago, sebbene è giusto dire che a livello di trama, Gli occhi del drago sia quantomeno meno prevedibile, finale a parte che in entrambi i casi indirizza il lettore verso un percorso netto e orizzontale, come è normale che sia in un'opera fiabesca di questo tipo.

Parlare della trama non so quanto può aver senso in un libro di questo tipo, la parte ambientata nel mondo reale è coesa e coerente, Charlie è un personaggio a cui King si sforza di dare un minimo di sfumatura per non farlo apparire troppo perfetto, e le motivazioni che lo spingono verso l'avventura sono un po' aleatorie, ma accettabili.

Carino il rapporto che lo lega al padre, e il rapporto che costruisce con il misterioso, burbero e schivo Bowdicht e il suo cane Radar.

In generale carino è l'aggettivo più indicato per definire questo libro.

La parte fantasy è molto più convenzionale ed il percorso on the road alla scoperta di un nuovo mondo ricorda molto Oz, Alice, ed altre opere dai contesti simili.
Ci troviamo nel più classico dei percorsi dell'eroe con tanto di principessa da salvare o comunque aiutare.

Carine anche le citazioni ad opere come Il popolo dell'autunno di Bradbury ed alla narrativa lovecraftiana con tanto di architetture non euclidee o mostruosità che ricordano Cthulhu.

La mia parte preferita è quella della prigione, in cui King ci catapulta in una battle royale che tanto ricorda l'omonimo film, Hunger games o altri prodotti similari.

In definitiva direi che Fairy tale sia un buon libro, ma che aggiunge poco o nulla al genere.
Vale il prezzo a cui viene venduto?
La storia è un po' banalotta, ma ha delle illustrazioni carine, ed una bellissima copertina.
Va preso per quello che è, ovvero una fiaba dark per ragazzi.
C'è chi obietterà che non se ne sentiva il bisogno e che King si è ammorbidito, probabilmente è vero, ma nessuno può vietare a King di cercare di raggiungere nuovo pubblico e nuovi palcoscenici.

Mi inserisco tra coloro che si aspettavano un'opera più adulta, ma non sarò tra coloro che boccia un libro solo perché non appartiene al target di riferimento.
D'altronde già la quarta di copertina è abbastanza esplicativa.
Certo, per quel che concerne il genere, ho preferito altre opere di King, ed anche altre di alcuni altri romanzieri del genere, tipo Neil Gaiman, ma non mi sento di sconsigliare questo libro, se si è consapevoli a cosa si va incontro.

Ho avuto due soli problemi con questo libro: Il primo è relativo al percorso di Charlie ed alla sua trasformazione in un principe delle fiabe con tanto di capelli ed occhi che cambiano colore.
E' una forzatura talmente enorme che credo nasconda un sottotesto, magari una presa in giro di qualche tipo che non ho colto.

La seconda è figlia del genere fiabesco, ovvero che è talmente orizzontale, che ad un certo punto diventa anche superflua la lettura per quanto è prevedibile il narrato, tanto che le ultime cento/centoventi pagine le ho lette un po' a fatica.

Per chiudere questo post e non farlo sembrare chilometrico, Fary tale è un'avventura in chiave moderna che ricalca stilemi narrativi già conosciuti, ma approcciati dalla fervida immaginazione di Stephen King.
C'è qualche brividino qua e là, tipo la scena con i topi, o gli scarafaggi giganti dei capitoli iniziali o la battle royale nella prigione, ma in generale è un romanzo adatto a tutti.

Probabilmente lo dimenticherò presto come accaduto con gli altri ultimi romanzi di Steve, ma se avessi avuto quindici, ma anche vent'anni, probabilmente questo libro mi sarebbe piaciuto di più.

Non è un brutto libro, ma non è nemmeno il ritorno tanto atteso alle atmosfere che tutti i vecchi appassionati faticano a ritrovare nelle opere del Re.
Forse e dico forse, perché King non parla più a noi, perché in fondo ci tiene già in pugno, puntando alla nuova generazione di lettori.

Alla prossima!







giovedì 29 settembre 2022

Julia - Peter Straub

Di solito non sono uno che partecipa alle manifestazioni social da cordoglio quando muore un vip di qualsiasi tipo, però sono rimasto alquanto stranito dal fatto che Peter Straub sia deceduto proprio nel periodo in cui io stavo leggendo un suo libro.

Ovviamente quando si tratta di un artista, mi dispiace sempre e comunque, anche perché la scrittura è un mestiere senza età, e Straub, tutto sommato, poteva avere ancora un bel po' di anni davanti.

Mi consola il fatto che io ancora abbia delle sue opere da leggere, ed anche il mese di ottobre, mi vedrà impegnato con un altro suo romanzo, Koko.

Torniamo all'oggetto del post, ovvero Julia.

Cosa dire: L'edizione è quella classica della Fabbri che ormai ho imparato  a conoscere bene.

L'ho pescata su Ebay a poco più di 5 Euro, ed è un'edizione del 1994.

Come molte delle opere passate di Straub, credo che sia nel limbo dei fuori catalogo, ma ad onor del vero, circola parecchio nel circuito dell'usato.

Il prezzo oscilla molto, ma prima o poi, delle copie a buon prezzo saltano sempre fuori.

Com'è Julia?

Andrei volentieri di sinossi, ma in italiano non ne ho trovata alcuna.

Facciamo senza, e proverò ad infarinarne una di mio, parlando un po' di più della storia.

Julia è innanzitutto un buon ingresso alla narrativa di Straub.

E' un romanzo molto più corto degli altri, in quanto conta circa 245 pagine, è stato scritto prima di Ghost Story e Il drago del male, ed è molto meno complesso ed ambizioso in termini di trama.

Semmai è solo molto più contorto, e si basa unicamente sugli stati d'animo dei personaggi, che cambiano psicologicamente più e più volte in corso d'opera.

Non manca ovviamente il soprannaturale.

Se dovessi trovare delle similitudini con altri romanzieri, mi vengono in mente Shirley Jackson ed Henry James in particolare, e soprattutto Ramsey Campbell, soprattutto per la natura molto ondivaga e straniante dei personaggi principali.

Julia è un po' un dramma familiare che si interseca con la più classica delle storie di fantasmi.

E' sorretto praticamente da quattro personaggi, ed i due principali sono una coppia di nome Julia e Magnus, più il fratello e la sorella di lui, che avranno un ruolo determinante nonché molto subdolo nella storia.

Julia e Magnus si separano dopo un lutto familiare.

La loro figlia, una bambina, muore soffocata a tavola, davanti ad entrambi i genitori, che nel tentativo di salvarla le praticano una tracheotomia.

Questa scena non ci viene raccontata esplicitamente, così come non ci viene raccontato chi sia dei due a praticare questa mossa disperata, ma resterà nell'aria per tutto il romanzo attraverso simbolismi vari, tra cui uno molto significativo che racchiude la scena più bella e potente del libro.

Julia per la disperazione lascia la casa ed il marito e si trasferisce altrove.

Magnus uomo forte, un po' passivo/aggressivo non si rassegna alla fine del suo matrimonio e segue la moglie pedinandola e stalkerandola, praticamente.

In più Julia va a vivere in una casa in cui accadono delle strane cose, e fa la conoscenza di una bambina, che tanto gli ricorda sua figlia, ma che si comporta in modo strano, poco consono per la sua età, e che sembra evitata dagli altri bambini.

Come dicevo all'inizio l'horror si mischia al dramma familiare.

I quattro personaggi principali sono piuttosto contorti, ed al di là dell'eleganza dello scritto, e dei bei dialoghi, non sempre si comportano in maniera coerente.

Certo, Straub ci gioca con questa cosa e li mette al servizio della storia, ma per tutta la durata della storia, non sapremo se ci sono o ci fanno.

E' bravo l'autore a farci dubitare di tutto e di tutti, anche della sanità mentale di Julia, in più punti, ed anche i rapporti tra i personaggi sono piuttosto complessi e morbosi, anche tra fratello e sorella, per dire.

Horror e dramma familiare non si sempre si intersecano benissimo, ed a volte si ha l'impressione che i personaggi cambino fin troppo spesso in corso d'opera.

Non lo so, non mi ci sono raccapezzato moltissimo con questi personaggi, che sì, sono interessanti per le numerose sfaccettature, per gli intrighi ed i segreti che nascondono, ma che davvero si comportano in maniera troppo contorta.

E' un romanzo in cui è molto forte l'intreccio, forse troppo.

Mentre la parte horror è molto più sottile ed intrigante, e la bambina protagonista, è veramente inquietante.

In sostanza è un buon horror, con delle atmosfere gotiche non originalissime, ma comunque molto impattanti, ma che allo stesso tempo ha dei personaggi un po' troppo esacerbati, cioè, per qualcuno di loro possiamo mettere in dubbio che siano sotto l'influsso della possessione e del male, e Straub con questo ci va a nozze per tutto il libro, però sono troppo in balia della storia, secondo me.

Basta vedere lo stesso Magnus: a volte sembra un incel, a volte sembra sinceramente preoccupato per la moglie,  però poi fa il pazzo geloso entrando in casa di nascosto o picchiando i vicini, a volte sembra ancora sinceramente innamorato, e uno, due capitoli dopo, vorrebbe internare la moglie ed intestarsi tutti i beni.

E non è solo lui, ma tutti i personaggi sono così.

E' un romanzo di una incoerenza collettiva.

Comunque, secondo me, merita, soprattutto per la parte horror, e per quell'inquietante bambina, che un po' ne ricorda un'altra che apparirà nel romanzo successivo di Straub, ovvero Ghost Story.

Personalmente ritengo Straub uno scrittore che meriterebbe molto più successo, e mi auguro che prima o poi Julia venga ristampato.

Perché al di là dei personaggi un po' troppo sopra le righe, è comunque una bella storia, che lascia anche più di un brivido.

Il primo incontro di Julia al parco giochi con la bambina, vale da solo l'intero romanzo.


Alla prossima!


lunedì 19 settembre 2022

Un agosto in compagnia di Fëdor Dostoevskij - Il giocatore 3/3

Nel primo post inerente questi tre libri di Dostoevskij mi sono sbilanciato affermando che Il giocatore, è il romanzo che più ho preferito tra i tre.

In realtà è un'affermazione che andrebbe contestualizzata.

E' palese che Delitto e castigo sia un romanzo molto più complesso ed ambizioso de Il giocatore, e che quest'ultimo abbia una natura molto più affettata, ed in qualche modo persino più leggera, anche se vengono affrontate dipendenze importanti come la ludopatia.

Ne Il giocatore spiccano due cose più di altre: una è presente in maniera massiccia anche nelle due opere precedenti, ed è quella dell' importanza sociale attraverso lo status economico, e l'altra, che questo romanzo ci regala un personaggio femminile molto più forte ed emancipato rispetto alle altre componenti femminili degli altri due romanzi.

Polina è una figura molto più indipendente, e pur essendo legata alle medesime regole sociali del periodo, non subisce passivamente le scelte familiari e le decisioni altrui.

Leggendo la prefazione si evince che Il giocatore è stato scritto in fretta e furia, perché Dosto si trovava proprio a ridosso di alcune scadenze editoriali ed aveva anche accumulato parecchi debiti di gioco.

Viene fatto presente che è pieno di refusi soprattutto climatici, ma anche per ciò che concerne alcuni titoli nobiliari che cambiano in corso d'opera.

Se nel primo caso non ci ho fatto minimamente caso, il passaggio da conte a marchese di un personaggio è troppo evidente per non essere notato da qualsiasi lettore.

Pur essendo un romanzo di poco più di cento pagine, anche qui troviamo dei personaggi legati da rapporti complessi, soprattutto di natura economica.

Il miglioramento del proprio status sociale ed economico, si interseca con quello del gioco e dei sentimenti veri o presunti, e piuttosto ambigui, che lega tutti i personaggi del libro tra loro.

Le pagine relative alla roulette sono piuttosto incalzanti, probabilmente le migliori del romanzo.

In più vi è dentro una natura molto tragicomica, alcuni personaggi in particolare, soprattutto la nonna, che tutti vogliono che schiatti per questioni d'eredità, arriva, prende le redini della storia, ed in alcune pagine veramente belle, si gioca alla roulette tutto quanto, mettendo in gioco in maniera conscia od inconscia ( il dubbio che lo faccia apposta Dosto ce lo lascia ) il destino presente e futuro di tutti gli altri personaggi.

Protagonista principale dell'opera è Aleksej Ivànovic, personaggio che dovrebbe occuparsi dei figli di un generale, ma che alla fine si ritrova coinvolto in una vera e propria sciarada familiare, con legami complessi ed ambigui, a cui non sfugge egli stesso, poiché innamorato perdutamente di una componente della stessa.

Legame che si interseca con il gioco, e che vede in quest'ultimo il mezzo per ottenerlo.

Scritto prendendo ispirazione dalle proprie dipendenze personali nei confronti del gioco, Il giocatore resta un testo quanto mai attuale.

Un testo che parla di ludopatia, e di tutti coloro che cercano un miglioramento economico, magari affondando ancora di più, in un mazzo di carte, una roulette, un gratta e vinci, o in una scommessa sportiva.



Alla prossima!


lunedì 5 settembre 2022

Un agosto in compagnia di Fëdor Dostoevskij - Delitto e castigo 2/3

Fin da subito è intuibile come Delitto e castigo sia il piatto forte del volume.
E' l'unico vero romanzo della raccolta, in quanto gli altri due scritti sono più associabili alla novella ed al racconto, e conta quasi quattrocento pagine di narrato.
In realtà, anche qui ci troviamo davanti un romanzo sorretto dai personaggi, e molto meno dalla trama, che a conti fatti, è piuttosto esile.

Un ragazzo progetta e realizza un assassinio ai danni di un'usuraria che ha un banco dei pegni, finisce con l'uccidere anche una giovane innocente, e tutto ciò gli innesca un delirio di stampo morale, anche dal punto di vista fisico.

Il lavoro che Dosto fa con il giovane protagonista Raskol'nikov è incredibile, tanto che il lettore non tarderà ad arrivare letteralmente ad empatizzare con un assassino.
Cioè, con me non tanto, nel senso che fin dal principio ho tifato per la giustizia, anche la più ferrea, ma il percorso psicologico e motivazionale del protagonista è piuttosto complesso, ma coerente.
Ed in più in corso d'opera vedremo lo stesso impegnato in molteplici atti di bontà, soprattutto nei confronti della sua famiglia ed anche di una giovane ragazza rimasta orfana di padre, per cui il giovane ha cura fin dagli inizi.
Insomma ci troviamo davanti un protagonista complesso, sfaccettato, capace di un assassinio premeditato per migliorare la propria condizione economica, ma anche di un essere umano capace di amare incondizionatamente ed in maniera parossistica il prossimo.

Incredibile anche il lavoro che Dosto fa con gli altri personaggi in corso d'opera.
La sorella e la madre, disposti totalmente al sacrificio ed alla comprensione, ma anche il suo migliore amico, e persino chi dovrebbe indagare sul delitto, ebbene, tutti questi personaggi, in qualche modo si legano caratterialmente ed in maniera morbosa al protagonista.
E' un libro pieno di bellissimi scambi verbali, talvolta subdoli, dove si intuisce, ma si vive nel non detto, in una vero e proprio turbine di schermaglie psicologiche.

Fin da subito Raskol'nikov è inseribile tra i sospettati, ma si mantiene nel vago e nell'incertezza, a parte nel delirio fisico iniziale.

Insomma, un vero e proprio romanzo di non detto e sottintesi, quasi un noir psicologico, in una Russia poverissima, fatta anche di personaggi senza scrupoli, che in questo romanzo sono coloro che hanno i soldi, basta vedere il modo in cui Dosto delinea i due personaggi aristocratici che sono interessati alla sorella del protagonista.

E' come se ci fosse un vero e proprio ribaltamento dei ruoli, poiché non a chiare lettere, ma sembra per l'autore quasi più giustificabile l'assassinio di due donne che impalmare una poveretta con l'ausilio dell'arroganza e della grana.

In tutto questo l'unica cosa che veramente a me ha dato fastidio di quest'opera, è che la morte della giovane ed innocente Lizaveta, passa quasi in sordina, ed in secondo piano per tutta la durata del libro.

Ok, i deliri morali del giovane protagonista ( che ad onor del vero, si rammarica più dell'essere tra l'elenco dei sospettati che dell'assassinio in sé), ma qualsiasi motivazione, anche la più forte, non trova nessun fondamento e nessuna giustificazione in un assasssinio del genere.

Consigliato a chi ama i romanzi drammatici dai forti toni psicologici, e soprattutto a chi ama i dialoghi e le schermaglie verbali tra più personaggi, in cui si va quasi nel teatrale.

Per quel che riguarda me, mi ha lasciato con l'amaro in bocca e anche con una sensazione di rabbia, perché a me il ( bel ) percorso narrativo del protagonista, non basta.
Va bene il perdono, ma...
E' chiaro che dietro un romanzo del genere ci sia una allegoria sociale, quindi il romanzo non va pesato per ciò che concerne la coerenza narrativa, ma sono convinto che dopo una lettura del genere, ci siano riflessioni molteplici di stampo personale.
Un romanzo che riesce in questo, è un gran romanzo.
Sicuramente non è nelle mie corde, sicuramente mi ha fatto incazzare, e sicuramente non lo rileggerei, ma sono stato comunque contento di averlo letto.



Alla prossima!




domenica 28 agosto 2022

Un agosto in compagnia di Fëdor Dostoejvskij - Le notti bianche 1/3

Sul finir di un luglio incandescente mi ritrovai nella solita bancarella di libri usati sul lungomare con la speranza di trovare qualcosa di interessante.

Sono tornato a casa in un lago di sudore e con due libri in saccoccia.

Il primo non merita un post sul blog perché è legato più alla mia voglia personale di conoscere i posti in cui sono vissuto con l'occhio, la penna e i quadri di un autore del passato, e quindi non credo possa essere oggetto di interesse.

Il secondo è stato ben più irto, scosceso ed impegnativo, quanto può esserlo un trekking letterario con più dislivelli.

Era un po' che ero incuriosito dalle opere di questo autore, che sempre più spesso sentivo venire celebrato nelle bolle social che seguo che parlano di letteratura.

Sicuramente mi è capitata sottomano un'edizione molto fitta ed economica, e tutto ciò ritengo possa aver influito sulla difficoltà di lettura che ho avuto.

Praticamente venti pagine di Dostoejvskij mi pesano più di quaranta/cinquanta di qualsiasi autore odierno.

Non siamo ai livelli di Hugo, ma ci andiamo vicini.

Beh, che dire, al netto della prolissità di fondo, ho letto sicuramente tre buone storie, che pur non essendo totalmente nelle mie corde, alla fine mi hanno convinto.

E' anche normale che sia così, di certo non posso avere la presunzione di stroncare un autore storicamente riconosciuto come uno dei più bravi in assoluto.

Comunque, parliamo un attimo del libro in sé.

E' una vecchia edizione tascabile della Newton denominata Tris del 1997, che propone tre libri di un autore in un unico volume.

Insomma, un ottimo modo per approcciare un autore di cui conoscevo a malapena i titoli dei libri e qualche infarinatura delle trame.

I libri proposti in questa edizione erano: Le notti bianche, Delitto e castigo e Il giocatore.

E' chiaro che Delitto e castigo sia l'opera più maestosa e complessa, ma per i miei gusti Il giocatore è l'opera che più mi è piaciuta ed avvinto.

Ecco, trattandosi di letture impegnative, poiché ricche di complesse descrizioni della natura umana, è molto difficile non essere travolti da una sorta di fiume in piena di flussi di coscienza dei vari personaggi, e forse è proprio per questo che la trama molto più lineare e veloce di quest'ultimo libro è quella che ho trovato più nelle mie corde, ma ci torneremo a tempo debito.


Le notti bianche è un libro esilissimo, di circa una quarantina di pagine, ma è uno tsunami di emozioni umane e di solitudine amorosa, piena sì di belle frasi da sottolineare e di tormenti amorosi e sdolcinati da sedurre un giovane lettore, ma che io ho trovato piuttosto smielato.

Due giovani anime solitarie si incontrano nel loro peregrinare serale, e si raccontano i loro tormenti amorosi ed esistenziali con il cuore in mano.

Lui è una sorta di misantropo sognatore, lei aspetta il ritorno del suo promesso, che non si sa se tornerà.

Forse ce n'è e forse no, perché al quaglio la storia è tutta qua.

Da Shakespeare a Dawson's Creek il passo è breve, anche nella Russia dell'800. :-P

Molto bello il fatto che non sapremo mai il nome del protagonista, come se in fondo fosse lo stesso autore ad essere il protagonista della storia, e quindi non solo il creatore.

Dal punto di vista stilistico è una storia piena di belle frasi e bei dialoghi, e si comincia anche ad intravedere la linea narrativa dei prossimi due libri.

Dosto mette davvero a fuoco ed in maniera vivida la vita sociale del tempo in Russia, e lo fa tessendo dei rapporti umani piuttosto vividi.

Una storia d'amicizia/amore che si evolve in soli quattro giorni.

Sono così lontani da noi, ma anche così vicini, narrativamente parlando.

In un certo senso è un mostro di empatia.

Le notti bianche non è una lettura nelle mie corde, delle miserie amorose dei giovani ormai mi interessa poco, perché li vivo solo nel ricordo, non sono più uno di loro, e non posso più provare la passione ed il tormento dei primi amori, ma al di là di tutto, non posso non riconoscere la bravura di questo autore.

Le notti bianche è un libro piccolo, ma ricco di emozioni, forse palloso, e forse troppo impetuoso per quel che concerne i flussi di coscienza, ma difficilmente accetterei il termine brutto per un libro così.

Cioè farei spallucce, poiché d'altronde si parla di gusti personali, ma la penna c'è.

E crea vita.

E della giovane Nasten'ka chiunque potrebbe innamorarsi, ma forse in fondo lo abbiamo fatto, nel nostro tempo e nel nostro luogo...

" Era una notte incantevole, una di quelle notti che ci sono solo se si è giovani."

Ma che catenazzo vogliamo dire di un autore così.

La descrizione di Pietroburgo al calar della notte vale da sola l'intero romanzo.

Possiamo quindi definire Le notti bianche un romanzo di formazione?

Direi di sì.

E se vi piacciono libri di quel genere, ve lo stra-consiglio!


P.s: ho scelto di dividere la stesura di questo post in tre parti, che pubblicherò in maniera più veloce del solito, perché altrimenti verrebbe troppo lungo, e già non interessa a nessuno leggere blog come il mio, figuriamoci se scrivo post chilometrici...

Alla prossima!