martedì 29 dicembre 2020

Due libri ambientati in Ohio: L'estate che sciolse ogni cosa - Tiffany McDaniel / Ohio - Stephen Markley

" Beautiful Ohio, where the golden grain

Dwarf  the lovely flowers in the summer rain.

Cities rising high, silhouette the sky.

Freedom is supreme in this majestic land;

Mighty factories seem to hume in tune, so grand.

Beautiful Ohio, thy wonders are in view,

Land where my dreams all come true! "


Quelle citate in alto sono le parole del testo della canzone simbolo dello stato americano che è stato casualmente protagonista di alcune delle mie ultime letture.

Mentre leggevo questi due romanzi, mi canticchiava in testa un'altra canzone che è I Provinciali de i Baustelle, forse più attinente a queste storie, con le dovute differenze di contesto culturale:

" Sacrificata vittima 

verso d'amore cerca fiato per non soffocare più

azzittasi crepuscoli, balere ad ore piccole

morire la domenica 

chiesa cattolica

estetica anestetica

provincia cronica

Si vende amore tossico

'ndrangheta e camorra

più Gomorra e meno Sodoma

denunciasi calamità di mariuana e crimine..."

All'epoca dei primi ascolti di questa canzone su Youtube ricordo che mi colpì molto un commento in cui un ragazzo scrisse:

" La provincia è una punizione. "

Nella canzone di Bianconi & co. si parla della vita di provincia in un qualsiasi paese del sud Italia, mentre nei due romanzi di Markley e della McDaniel si parla della vita di provincia nello stato dell' Ohio.

E la provincia è veramente una punizione, secondo questi due autori, anche se nel caso di Tiffany McDaniel è un altro scrittore italiano che ci ha parlato dell'estate e della provincia come pochi a calzare a pennello, ovvero Cesare Pavese e il suo Il diavolo sulle colline.

L'estate che sciolse ogni cosa è ambientato nel 1984 in una cittadina dell'Ohio.

La trama è semplicissima quanto splendida nella sua esilità:

Un avvocato scrive una lettera nel giornale locale in cui invita il diavolo a presentarsi a casa sua.

Ed a quanto pare il diavolo risponde all'invito, quando un ragazzino di tredici anni nero si presenta a casa sua affermando di essere il diavolo.

L'avvocato ospiterà il ragazzo a casa sua e tutto ciò avrà ripercussioni sulla sua famiglia e la cittadina intera.

L'estate che sciolse ogni cosa è uno dei romanzi più instagrammati degli ultimi anni.

Nella quarta di copertina viene osannato da critici e giornalisti vari e paragonato ad Harper Lee ( e già qui si può intuire dovrà andrà a parare la storia ), Neil Gaiman, Shirley Jackson e Stephen King.

Ed è vero, è uno di quei libri, dove si riconosce l'impronta di molti altri autori.

E questo secondo me è il suo unico vero limite, perché chi è avvezzo a questi autori, avrà la sensazione di qualcosa di già visto e già raccontato.

Anche le parti più tragiche ed emozionanti in me hanno avuto poca presa perché è come se me l'aspettassi, erano già state scritte.

Ciò non toglie che quello di McDaniel è un gran bel romanzo.

La scrittura è lirica e poetica, ma non pomposa.

E' ermetica, ma allo stesso tempo coinvolgente, asciutta, ma non troppo.

Ed è chiara e pungente.

La storia lascia più domande che risposte, ed è forse per questo che i più hanno scomodato Shirley Jackson.

Nelle parti più solari questo libro ricorda l'estate raccontata da Bradbury e Pavese, in altri frangenti quella di Lansdale o di Harper Lee.

E' un gran libro, ma niente di nuovo sotto il sole.

Ed è un limite?

No, perché comunque è una gran storia, che atterrisce e colpisce, anche con alcuni colpi bassi.

E poi descrive molto bene l'estate dei tredici anni nel 1984 e ti fa percepire il calore, il sudore e la pazzia che si annida nell'animo umano.

Un gran bel romanzo di formazione!

Non posso che ringraziare Michele ( Mr. Ink ) per il consiglio.


Ohio è molto più complesso, almeno per quel che concerne la scrittura.

E' un romanzo che si legge su più livelli, con il punto di vista di più personaggi che si intersecano strada facendo.

Qui qualcuno ha scomodato Faulkner.

Sì, lo stile di scrittura a più livelli, quasi a flusso di coscienza, ricorda un po' l'unico romanzo di questo grande scrittore americano che ho letto, L'urlo e il furore.

Ovviamente non sono così pazzo da paragonare Markley a Faulkner, ma è chiaro che il buon Stephen si sia ispirato a lui.

Ritorna anche qui la vita di provincia, ambientata tra presente e passato.

Ohio è un libro in bilico tra romanzo di formazione e il classico ritorno a casa in ambiente ostile e deformato dagli anni.

Tutti i personaggi protagonisti portano i segni della vita di provincia, e tutti ne sono stati colpiti, nessuno escluso.

C'è un che di troppo romanzato in questa storia, che è l'unica cosa che non mi ha convinto, poiché non c'è un personaggio tra questi ex studenti che non porta i segni della vita di provincia.

Anche stavolta la provincia è punizione.

E l'Ohio non si dimostra bellissimo come nella canzone, o almeno non lo sono taluni che ci crescono e ci vivono.

E' la violenza o il drogarsi per noia, di partire per la guerra perché non si hanno sbocchi lavorativi, è sesso facile, è l'alcool.

Ed è morte.

Chi cresce in un ambiente ristretto lo sa, cerchi rifugio in qualcosa, emozioni forti in piccoli spazi.

Non tutti i personaggi sono sviscerati allo stesso modo ed è un peccato, ma Ohio è un romanzo che racchiude tanti temi, una sorta di vaso di Pandora da cui fuoriescono tutti i peccati capitali, ma è anche pregno di umanità ed amicizia, narra bene l'amore e la falsità, e soprattutto l'adolescenza.

Secondo me è una grande opera prima.

Soprattutto all'inizio non è semplicissimo da leggere, anche perché mostra vari personaggi e vari punti di vista, ma la trama alla fine trova la sua coerenza.

Anche qui ci troviamo davanti uno dei romanzi più chiacchierati dell'ultimo anno, ed anche questo l'ho scoperto grazie a Michele, che ringrazio ancora.

Segno che anche nel mare delle prime edizioni, si pescano pesci grossi e letture che lasciano il segno.

Due romanzi che mi sento di consigliare in toto e che ho grandemente apprezzato.


Buon anno e... alla prossima!





martedì 22 dicembre 2020

L'ombra dello scorpione - Stephen King

" Lui non muore mai ", rispose Tom. " E' nei lupi, cavoli, sì. I corvi. I serpenti a sonagli.

L'ombra del gufo a mezzanotte e lo scorpione a mezzogiorno. Se ne sta a testa in giù come i pipistrelli. E' cieco come loro. "


Da questo passaggio, uno dei più interessanti e significativi del romanzo per quel che concerne la descrizione del cattivo della storia, fu ricavato il titolo dell'edizione italiana di questo tomone del Re.

Sicuramente L'ombra dello scorpione è un titolo molto suggestivo del ben più difficile The Stand che risulta abbastanza intraducibile a livello significativo in italiano, visto che dovrebbe suonare come " La resistenza " o comunque qualcosa del genere.

The Stand è il sunto dell'elefantiasi letteraria di cui è affetto Stephen King e si gioca il titolo di romanzo più lungo insieme a It.

L'edizione Bompiani ha pure i caratteri piccoli quindi probabilmente parliamo di un libro che con un font diverso avrebbe tranquillamente raggiunto il migliaio di pagine.

Proprio per questo L'ombra dello scorpione è stato messo in commercio due volte.

La prima volta sul finire degli anni settanta in maniera ridotta e successivamente nel 1989 in versione completa e definitiva.

Prima di addentrarmi nella narrazione voglio parlare di un aneddoto personale.

Lessi la prima volta questo romanzo intorno al 1994 o giù di lì, ero un ragazzo, ed è del parere di quel ragazzo che vi dovete fidare.

La mia reazione fu più genuina delle successive riletture, anche di quella odierna.

Ebbene, la mia prima full immersion in quest'opera fu di meraviglia pura.

Ebbi quel libro in prestito da un mio amico e non riuscivo a staccarmene dalla lettura.

Me lo portavo a scuola, me lo portavo a tavola, dappertutto.

Mi piacque tantissimo e ricordo che rimasi sconcertato da una scena in particolare che non ho più scordato e che mi segnò profondamente, poiché toglieva di scena il mio personaggio preferito a poco più della metà della narrazione.

Non nego di essermi commosso e di aver avuto la tentazione di urlare e lanciare il romanzo contro il muro ( che avrebbe avuto la peggio vista la mole del libro ).

Io credo che un romanzo che riesca ad ottenere un effetto simile, sia un gran romanzo.

E lo penso ancora.

Ma da allora sono passate altre riletture, ho letto centinaia di altre opere, anche con tematiche simili, ed oggi ho letto questo libro con un occhio un po' più clinico, rispetto a quello ingenuo, ma più aperto al senso di meraviglia che avevo all'epoca.

Credo che a ragione io mi facessi sedurre da quel che succedeva rispetto a come succedeva.

L'ombra dello scorpione mi piace ancora, ma mi piace meno il contesto.

Proverò un po' a spiegarmi, per chi avrà un po' di pazienza.

Non pubblicherò estratti della trama anche perché credo che la conoscano un po' tutti a grandi linee la storia.

Un virus sfugge al controllo dell'esercito e decima la razza umana per il suo 99%.

I pochi e sparuti sopravvissuti si muovono in un'America ormai in disfacimento in un'avventura on the road di stampo apocalittico.

E quando parliamo di apocalittico, lo diciamo non in senso lato, ma proprio dal punto di vista biblico.

Perché quest'opera ha una fortissima connotazione biblica da Antico Testamento.

A conti fatti King ci dà la sua personale rappresentazione della parabola di Giobbe mettendo i protagonisti in una scacchiera grande quanto l'America intera ( non si hanno notizie degli altri continenti in quest'opera e dobbiamo farcelo bastare senza porci domande ).

I personaggi hanno un libero arbitrio, ma sono comunque teleguidati attraverso i sogni o le divinazioni.

Tutti i sopravvissuti sognano due persone:

- Una vecchina ultracentenaria di nome Mother Abagail che ispira bontà e li invita a raggiungerli in Colorado.

- Un uomo nero, Randall Flagg, sempre in ombra, che a volte appare vestito casual ed a volte avvolto in una tonaca, che ispira minaccia, terrore, paura, ma anche diavolo tentatore per le anime più tormentate.

I personaggi in corso d'opera faranno le proprie scelte, si metteranno in cammino e raggiungeranno questi due personaggi che fungono praticamente da aggregatori sociali nell'eterna lotta tra il bene ed il male.

La prima metà di questo libro è meravigliosa.

Chi mi conosce sa che vado pazzo per la narrazione on the road, e l'ambientazione di questo romanzo è costruita proprio per piacermi.

King fa un grandissimo lavoro con i personaggi, sia quelli positivi che quelli negativi.

Tutti, nessuno escluso, sono caratterizzati alla perfezione, anche nelle loro complessità d'animo.

Stesso dicasi per la scrittura e l'ambientazione.

Dal punto di vista narrativo, la prima parte sfiora la perfezione.

I capitoli dedicati alla Superinfluenza denominata Captain Trips sono meravigliosi, ed anche i dialoghi e le vicissitudini dei personaggi pre e post-epidemia lo sono altrettanto.

Alcuni capitoli sono iconici ed indimenticabili.

Larry che attraversa il Lincoln Tunnel completamente al buio calpestando i morti e superando gli ingorghi stradali di macchine e vetture militari.

La sconcertante narrazione di un'operazione di appendicite in un mondo dove medici ed ospedali non ci sono più.

Un capitolo non solo da stomaci forti, ma che ci dà ben l'idea di un mondo ormai alla deriva ed in disfacimento.

Il cammino iniziale di ogni personaggio in solitaria o in compagnia, in un'America ormai spopolata e perduta, con cibo d'accatto, sogni, incubi, paura e bivacchi, è narrata in maniera splendida.

So che oggi è un tema stra-abusato, soprattutto in tv, ma King lo descrive splendidamente il tema del viaggio.

Steve sa narrare del pellegrino.

Quindi cos'è che mi perplime?

Il linguaggio ed il modo di atteggiarsi dei personaggi maschili, in primis.

Sono costruiti con un modus operandi da anni '80 che levati.

Gran parte di loro sono machisti che si esprimono con frasi da film americano del tipo " Ehi, piccola ", " Pupa ",

" E' la mia donna." Ed altre amenità varie.

Anche quelli scritti meglio come Larry.

Per non parlare di Stu, il vero protagonista del libro, classico uomo silenzioso e tenebroso che non deve chiedere mai.

Anche se in corso d'opera è uno dei personaggi che evolve di più.

Vogliamo parlare delle donne di questo romanzo?

Lucy e Frannie sono stereotipate altrettanto, con frasette e dialoghi che spesso sembrano uscite da un romanzo Harmony.

" Ho bisogno di un uomo che scaldi il mio letto."

o frasi tipiche tipo: " Scegli me", che manco Beautiful.

Dirò di più: il diario che tiene Frannie è probabilmente il punto più basso dell'opera, non tanto per il suo contenuto imbarazzante ( d'altronde Fran ha solo vent'anni e ci sta che scriva determinate cose ), ma anche perché è un espediente piuttosto di bassa lega per permettere a King di spingere un personaggio verso il lato oscuro.

C'è parecchio di cinematografico e soap operistico nella narrazione di questi personaggi, che spesso vengono trattati in maniera persino bigotta.

E quelli che ne escono peggio sono i personaggi femminili trattati spesso come angeli del focolare che devono farsi i pianti guardando dalle verandine i loro uomini mentre vanno a salvare il mondo.

Come se la funzione della donna in quest'opera sia quella di farsi mettere incinta o poco più.

Infatti è terrificante una frase di Mother che si comporta come una commare di paese qualsiasi quando si rallegra che una delle ragazze ha i fianchi larghi e che quindi è in grado di sfornare tanti figli.

Capisco che si debba riformare la società, ma c'è uno strisciante bigottismo religioso che è difficile accettare oggigiorno.

Difficilmente accettabile anche il fatto che l'unico personaggio femminile cazzuto e pronto alla battaglia sia, indovinate un po', bisessuale, ed in un certo senso è considerato anche sacrificabile in corso d'opera ( infatti viene spedito come spia in una vera e propria missione suicida), pensate un po'.

Sembrerà che io ne stia parlando male, ma non è così.

Io amo questo romanzo e mi sono goduto anche questa rilettura.

Pur contestualizzandolo però ad una rilettura attenta salta all'occhio un tipo di narrazione che oggi appare un po' manichea e superata, per lo meno nel modo di esprimersi di alcuni dei personaggi principali.

Ed è un peccato, perché tolto quel contesto, L'ombra dello scorpione è un viaggio meraviglioso e spaventoso.

Randall Flagg è un cattivo bellissimo, delineato splendidamente.

E fa specie che funzioni più qui, che nella saga dove ci si aspettava che figurasse di più come quella della Torre Nera, dove doveva essere uno dei protagonisti.

Ed in più io mi metto tra quelli che accetta tranquillamente uno tra i finali più discussi di sempre tra i libri del Re.

Perché è un finale che in un'opera biblica come questa ci sta tutto.

So che in questi giorni dovrebbe debuttare l'ennesima miniserie tratta da questo libro, e sono molto curioso del fatto se avranno il coraggio di tenere un finale simile o se sceglieranno di cambiarlo.

E' valsa la pena rileggerlo?

Sì.

L'ombra dello scorpione è e resterà sempre una delle mie opere preferite di King, e non m'importa se alcuni personaggi spesso parlino e si comportino come delle macchiette, perché l'essenza del viaggio e dell'avventura è palpabile ugualmente.

Nella seconda parte il libro forse perde un po' e risulta un po' prolisso soprattutto quando i personaggi hanno compiuto il loro percorso e quindi si prodigano per riformare la società, ma diciamo che va considerata come quella parte in cui le fazioni si preparano per il gran finale.

Menzione per alcuni personaggi negativi: penso che Pattume e LLoyd siano tra i personaggi meglio riusciti di questo libro.

E poi c'è lui, il mio personaggio preferito.

Non perdonerò mai King per averlo fatto fuori, era pure uno dei pochi che non si esprimeva come un tamarro da film action.

Non ho parlato del paradosso o della premonizione di King di narrare di un'epidemia di influenza in epoca Covid come questa, ma non lo faccio perché nella narrazione funge più da prologo che altro e perché non l'ho riletto con quella sensazione in mente.

Il che è abbastanza brutto, perché significa che in un certo senso mi sono abituato a quel che stiamo vivendo.



Buone feste ed...

Alla prossima!








lunedì 7 dicembre 2020

Tra notti perdute, allerta e zona arancione, blogosfera che cambia, e se non cambi sei noioso e perduto, e Victor Hugo

" Qualcuno sta camminando sulla mia tomba. "



Tra insonnia, nubifragi e la mia regione che cambia colore come se stessimo giocando a strega comanda colore, ho passato una settimana abbastanza tribolata e persino isolata.

Nelle ore di luce pensavo a quelle notturne, ed in quelle notturne pensavo a quelle diurne e a quanto sarei stato attivo il giorno dopo visto che non riuscivo a dormire.

Ero sempre più zombie e meno essere umano.

In mezzo a tutto questo ci sono stati due romanzi a farmi compagnia entrambi di Victor Hugo.

La letteratura mi sta portando in posti che non avrei mai immaginato ed anche a conoscere autori che mai avrei pensato di affrontare fino ad un decennio fa.

Allo stesso tempo però mi sembra persino inutile parlarne, non c'è più spazio nella blogosfera per articoli del genere in una piattaforma che ormai insegue l'intrattenimento ed i numeri.

L'importante è apparire nelle ricerche di Google, a quanto pare.

Se parlo di Hugo so già che sarò noioso per la stra-grande maggioranza di utenti che nemmeno aprirà il post.

Ho sempre pensato a questo spazio come al lancio di un salvagente o ad una boa a cui appoggiarsi nel mare del web per i naviganti lettori ed infatti anche quando non scriverò più lascerò andare questo blog alla deriva come una Mary Celeste con ancora tutti i suppellettili a bordo.

Perché so che ci sarà qualcun'altro come me che andrà nelle ricerche a cercare il titolo di qualche romanzo e che magari approderà qui e magari comprerà persino quell'opera ed io non sarò qui ad elemosinare qualcosa come nelle affiliazioni Amazon che stanno fioccando come funghi negli altri spazi virtuali.

Non ho mai scritto per soldi, non ho mai chiesto libri gratis e non li voglio neppure, ciò mi rende una figura un po' desueta per quel che concerne il presente letterario.

Ed in più non voglio elemosinare libri e fare da pubblicitario alle CE.

Però se non lo fai non esisti, sei invisibile.

In più non ci metto manco la faccia, il pigiama, il sorriso ed il fisico come fanno molti altri maschi su Instagram.

Sono colui che si nasconde, persino un po' misantropo per certi aspetti, perché io vengo dopo del libro di cui parlo, e deve essere lui protagonista, non io.

Forse è per questo che sento di non appartenere più a questo tipo di divulgazione ed anche ad una blogosfera che si sta trasfigurando per rincorrere l'utente randomico della ricerca di Google.

Mi sembra di scrivere per anime ataviche.

Non più per me stesso, ma per cercare altri alieni nello spazio.

E patisco sempre più la solitudine virtuale di parlare di cose vetuste che non interessano se non in ambiti più social.

Ha senso scrivere un post che verrà letto da trenta o quaranta persone in tutto?

A volte me lo chiedo.

A proposito ho già superato il punto in cui il post diventa troppo lungo?

Chissà. :-P

Comunque, tornando a noi, che narratore, Victor Hugo, ragazzi!

A volte parte per la tangente e diventa difficile stargli dietro, soprattutto quando si lancia in descrizioni chilometriche degli anfratti della Parigi medievale o negli elenchi di Lord inglesi e francesi, ma superati quegli scogli narrativi, quanta bellezza nelle sue storie, quanti eventi iconici e quanta teatralità.

E soprattutto che finali che scrive, capaci di sconquassarti l'anima e farti gridare perché.

Ha una forte impronta teatrale e scenografica, in cui le parole si trasfigurano subito in immagini nella mente, o almeno è l'effetto che fa a me.

Sia Notre-Dame De Paris che L'uomo che ride, hanno per protagonisti dei veri e propri freak, persone deformi o comunque con tratti particolari, ma sia Gwynplaine che Quasimodo si dimostrano più integri di tutti gli altri personaggi che gli gravitano intorno.

Sembra che il personaggio del Joker di Batman sia ispirato proprio alla figura di Gwynplaine, la cui faccia fin da bambino è stata sfigurata in quella di un volto dal sorriso perenne.

Entrambi i romanzi si portano dietro una forte componente grottesca che nel caso di Notre Dame de Paris talvolta sfiora persino l'horror.

Incredibile che un romanzo del genere sia oggi più famoso per l'adattamento Disney.

La verità è che questi due romanzi di Victor Hugo sono due veri e propri mattoni ed oggi noi non abbiamo più tempo da perdere in queste robe.

No ai libri lunghi, no agli articoli lunghi, dobbiamo essere smart e short perché a noi piacciono anche i termini inglesi, e soprattutto dobbiamo parlare del presente e non della Francia e la Gran Bretagna medievale.

Siamo nel 2020 e quindi da domani anch'io dovrei mettermi a parlare del GF, Uomini & Donne, se è meglio la Carne Simmenthal o la Manzotin o fingermi esperto di attualità oppure se è più forte Hulk o la Cosa.

Non lo so, mi sento vecchio e sorpassato.

Non so più se vale la pena essere presente virtualmente in un luogo dove ormai sono invisibile.

Non voglio essere il Nonno Simpsons che nessuno vuole ascoltare.

Forse muoio.

D'altronde condividerei il destino di Gwynplaine e Quasimodo, che però agli occhi di ogni nuovo lettore rivivono ancora dopo un secolo.

Quindi, chissà, Blogger e Google permettendo, qualcuno approderà qui tra chissà quanti anni ed io sarò ancora nell'etere, anche quando questo spazio non sarà più aggiornato.

Ed io il momento del trapasso virtuale lo sento molto vicino.


"... Recita la commedia! Il fatto straziante era che lui stesso rideva. una spaventosa catena gl'imbrigliava l'anima, impedendo al suo pensiero di salire fino al volto. Lo sfregio raggiungeva anche il suo spirito, e mentre la coscienza s'indignava, la faccia lo smentiva ridendo. Era finita. Egli era l'Uomo che Ride, la cariatide di un mondo in lacrime. Egli era l'angoscia pietrificata in ilarità, sosteneva il peso di un universo di disgrazie, ma era murato per sempre nella giovialità, nell'ironia, nel divertimento altrui; egli condivideva con tutti gli oppressi, di cui era l'incarnazione, l'atroce destino di una desolazione non presa sul serio; si scherzava con la sua miseria; era una specie di grande pagliaccio generato da uno spaventoso concentrato di sventure, un evaso dal bagno penale, divenuto Dio,  salito dalle profondità del popolino fino ai piedi del trono, confuso con le costellazioni, e che, dopo aver divertito i dannati, divertiva gli eletti! Tutto ciò in lui era generosità, entusiasmo, eloquenza, cuore, anima, furore, collera, amore, dolore inesprimibile, finiva in uno scoppio di riso! Ed egli constatava, come aveva detto ai lords, che quella non era un'eccezione, ma un fatto normale, ordinario, universale, un fatto così prominente e confuso con le abitudini della vita, che non ce se n'accorgeva più. Ride il morto di fame, ride il mendicante, ride il forzato, ride la prostituta, e anche l'orfana, e per guadagnarsi da vivere, ride, ride lo schiavo, ride il soldato, ride il popolo; la società umana è fatta in tal modo che tutte le perdizioni, tutte le miserie, tutte le catastrofi, tutte le febbri, tutte le ulcere, tutte le agonie, si risolvono in una spaventosa smorfia di allegria sopra l'abisso. Egli era quella smorfia assoluta. Essa era lui. La legge celeste, la forza ignota che governa, aveva voluto che uno spettro visibile e tangibile, uno spettro in carne e ossa, riassumesse quella mostruosa parodia che chiamiamo mondo, ed egli era quello spettro. "

L'uomo che ride - Victor Hugo.


lunedì 23 novembre 2020

Quando mi vestirono di verde cachi ( prima parte )

" E' la storia di uno, di uno (ir)regolare,

che poi lo hanno mandato, a fare il militare

Che lui se ne sbatteva di tutte quelle storie

ma era uno normale

e lo doveva fare." (cit.)




Tra molti incubi ricorrenti degli italiani c'è quello di rivivere la maturità, io invece ricordo che uno dei miei sogni più brutti riguardava un presunto errore di firma che faceva sì che io dovessi rifare il militare. Fossi stato un attore del cast di Nightmare, probabilmente Freddy mi sarebbe apparso con la mimetica. :-P

Scherzi a parte, mi sono reso conto di non aver mai parlato di questa mia esperienza o meglio inesperienza, perché davvero, non credo che io fossi pronto mentalmente per partire soldato, avevo ancora la testa di un bambino, cosa che ebbe parecchie ripercussioni su quel percorso.

Ho deciso però di partire da lontano e di dividere questo post in due parti: quello inerente le due visite di leva, e quello della leva effettiva.

Non aspettatevi storie degne di Hemingway, Full Metal Jacket o altro, ma quelle di un ragazzo spaurito e totalmente privo di esperienza, ed in quel periodo totalmente inadatto ad un percorso simile.

Le mie conoscenze su questo tema derivavano dai fumetti come Sturmtruppen, dalla tv e dal cinema con Classe di ferro e Soldati -365 all'alba, oppure i racconti di mio padre sul suo periodo di leva o storie di guerra di nonni che non ho mai conosciuto.

Ricordo che mio padre quando ricordava quelle storie mi mostrava sempre delle lettere che scrisse e spedì ai suoi durante il suo periodo di leva, e che conservo tuttora, anche se non le ho mai lette, non so perché.

Parliamo di lettere del 1950 o giù di lì, che lui anche negli ultimi anni della sua vita ancora prendeva in mano e rileggeva.

A casa avevo anche il vissuto di mio fratello che partì almeno cinque anni prima di me, addirittura nei Bersaglieri ed è stato lì che cominciai a realizzare che presto o tardi sarebbe toccato a me.

A 17 anni e qualcosa mi arrivò la cartolina precetto per la visita di leva in Marina.

Ricordo tutto esattamente: era febbraio e non ero entrato a scuola ed ero a casa mia insieme ad un mio compagno di classe a giocare al computer quando suona il campanello, apro ed il messo mi consegna quel plico con mio somma perplessità e mestizia.

Feci una cazzata sesquipedale, nascosi la cosa ai miei per parecchio tempo, nemmeno io so perché, forse perché volevo rimandare il più possibile il doverne parlare o me ne vergognavo, quando dico che ero stupido e molto più immaturo dei miei anni, è una pura verità.

Alla fine quando ormai mancavano pochi giorni alla partenza per quel di Taranto per la visita fui costretto a mostrare la lettera ai miei dicendo delle bugie sul perché fosse arrivata così in ritardo.

Tanto che dovetti correre a farmi la carta d'identità d'urgenza ( non l'avevo ancora ).

Ho vissuto con enorme stupore e un senso di baraonda quei due giorni.

Non conoscevo nessuno, era la prima volta che mi allontanavo per due giorni da casa, ed il tutto per me era nuovo, ma anche parecchio strano.

Gli altri mi sembravano più sgamati e maturi, gente con occhiali da sole tipo Top Gun che si sentivano fighi, alcuni che fingevano malattie per farsi riformare ( ricordo uno che si fingeva cieco ) e gente che non sapeva nemmeno leggere e scrivere, c'era un po' di tutto in quel carrozzone.

Facemmo test e visite e feci un minimo di amicizia con alcuni corregionali con cui passai la serata di libera uscita.

Al secondo giorno quando eravamo tutti in cortile ad attendere la libera uscita, viene fatto il numero del cartoncino azzurro che mi avevano dato all'ingresso e quindi vengo accompagnato in una sala d'attesa.

Quando mi viene dato il permesso di entrare, mi trovo al cospetto di qualcuno d'importante, suppongo un colonnello o comunque un'autorità di rilievo visto che aveva due piantoni a fianco e la bandiera italiana sull'asta dietro di lui, che dopo avermi rimproverato perché mi stavo sedendo sulla sedia senza permesso e aver appoggiato le mani sulla scrivania, se ne esce con una frase brutale:

" Lei vuole fare il militare? Mi dia una risposta precisa."

Ovviamente avrei voluto dire no, ma in tutta onestà non volevo tornare a casa e dire ai miei e poi ai miei amici che non ero all'altezza o che ero stato riformato, e poi mi avevano anche messo in testa che non avrei più potuto fare concorsi e che potevo persino perdere il diritto di voto, quindi risposi in maniera intermedia che per me era una cosa indifferente.

Mi disse allora che la mia struttura fisica non era adatta per la marina, che avevo un' insufficienza toracica e di mangiare di più, perché l'anno dopo avrei fatto la visita di leva per l'esercito.

In pratica per la marina non ero all'altezza, suppongo.

Ricordo che tornai a casa un giorno prima del previsto con un treno notturno e dovetti stare nella stazione parecchie ore ad aspettare mentre accanto a me, dei tipi loschi si sfottevano un ubriacone o senzatetto.

Per fortuna non ero solo, ma con me c'erano anche altre persone che furono fatte rivedibili, tra cui un mio corregionale.

L'anno dopo mi è arrivata un'altra cartolina, ma quella volta ero più preparato e vissi la cosa più tranquillamente.

Per giunta la visita era nella mia regione a Catanzaro, e praticamente non c'era pernottamento, quindi si facevano le visite ed i test e poi si tornava a casa e si tornava il giorno dopo.

Esperienze particolari le ricordo anche in quella visita: un ragazzo rom che mi disse che lui i test non li aveva fatti perché non sapeva scrivere ed aveva firmato con una x, parecchi che mi dicevano che fossero stati mandati da una bellissima psicologa per via di alcune domande del test, e soprattutto il fatto che nell'esercito non si fecero nessuno scrupolo del mio essere scheletrico e quindi risultai idoneo.

Caso vuole che a fare la visita insieme a me ci fosse proprio quel mio compagno di classe che era presente con me all'arrivo della mia prima cartolina per la visita di leva, tanto per chiudere il cerchio.

La cosa che più mi restò impresso è che prima di lasciarci liberi ci divisero in due tribunette in cui stavano quelli idonei e quelli che per malattie o altro erano rivedibili, e la stra-grande maggioranza stavano nella seconda tribunetta, tanto che quando arrivai con gli opuscoli in mano che mi descrivevano quei dieci mesi futuri che avrei destinato allo stato mi sentii abbastanza isolato visto che eravamo davvero in pochi, tanto che qualcuno ci fece persino il verso.

Dopo questa visita ci furono due anni di rinvio per questioni scolastiche, visto che sono stato bocciato due volte, e quindi sentivo che quella minaccia diventava sempre più tangibile e inesorabile con il passare del tempo.

Avevo molta paura del militare, sono sincero.

Nel 1998 già alcuni dei miei migliori amici erano partiti.

Ed io li seguì per ultimo, poco dopo.

Quell'anno partimmo in quattro.

Il mio migliore amico, che era partito parecchi mesi prima di me, una sera mi telefonò dicendo che gli era arrivato un libro in caserma con tutte le prossime partenze, ma che il mio nome fino ad agosto ( l'ultimo mese scaglionato in quel tomo ) non era in elenco, ma che c'era quello di un altro di noi quattro che partì successivamente ad agosto.

Cominciai un po' ad illudermi, nel senso che ipotizzavo che magari potevo essere congedato per sovrannumero, visto che si diceva che se non venivi scaglionato entro dicembre, probabilmente non mi avrebbero chiamato più.

Ricordo bene che quel periodo del bimestre di agosto/settembre ogni volta che tornavo a casa mi saliva un po' l'angoscia perché pensavo: " Ecco, ora apro la porta di casa, sentirò i miei confabulare a bassa voce e mio fratello sfottermi dicendo che dovrò fare il botto."

Le illusioni si infransero sul finire di un'estate, quando suonarono alla porta, ed ero solo in casa.

Venne il messo a consegnarmi la busta ( aggiungendo un mi dispiace ),e ricordo che mi sentii persino sollevato.

Subentrò in me una sorta di pacata rassegnazione.

La cartolina portava in calce che giorno 18 novembre del 1998 dovevo presentarmi a Trapani...

( Continua...)


Alla prossima!



mercoledì 11 novembre 2020

In zona rossa con Hemingway

 " Il fatto che un libro fosse tragico non mi rendeva infelice perché ero convinto che la vita è una tragedia e sapevo che può avere soltanto una fine. "

Addio alle armi - Ernest Hemingway



Ho preso questa frase da un libro in cui si potevano sottolinearne e farle proprie parecchie altre molto più belle e significative, perché ho notato una costante che a quanto pare quindi era voluta.

C'è una sorta di ineluttabilità inevitabile nei romanzi di Hemingway.

Ma non solo nei suoi, ma in quelli di molti altri grandi della letteratura, soprattutto di quella della prima metà del '900.

E' la tragedia a rendere grande un romanzo quindi?

Pensiamoci un attimo, molte delle più grandi storie letterarie non hanno quasi mai un lieto fine, e in tre dei quattro libri di Hemingway che ho letto, tutto ciò è praticamente una costante.

Ho sempre avuto il magone quando sono arrivato alla fine di un suo libro.

Eppure inizialmente alcune delle sue storie non mi sono arrivate subito.

Qui lo ammetto che alla prima lettura Fiesta ed Addio alle armi non mi erano piaciuti, mentre Per chi suona la campana ed Il vecchio e il mare li ho apprezzati all'istante.

Per quanto riguarda l'ultimo è facilmente intuibile il perché visto che è un romanzo piuttosto breve ed immediato, è quasi una parabola molto facilmente leggibile rispetto agli altri romanzi che hanno una struttura narrativa molto più corposa.

Ciò non toglie che Il vecchio e il mare sia una storia bellissima.

D'altronde è con questo piccolo testo che il buon Ernest ha vinto il premio Pulitzer e soltanto un anno dopo insignito con il Nobel della letteratura.



In queste settimane che sono coincise con l'entrata nella zona rossa della mia regione, Hemingway è stata una buona compagnia, e fortuna abbia voluto che nelle scorse settimane mi ero fatto una buona scorta di libri alle bancarelle dell'usato, dove per pochi Euro trovai delle vecchie copie di Fiesta e Addio alle armi.

Come ho scritto più su, ho apprezzato tantissimo la rilettura di questi due tomi, forse perché ero più tranquillo e rassegnato dal fatto di non poter uscire e quindi con un atteggiamento più concentrato, perché gli scritti di Hemingway hanno molti dialoghi ed hanno bisogno di una soglia alta di attenzione, ergo forse la prima volta ho sbagliato approccio.

C'è molto della sua vita in queste storie.

Ernest ha vissuto una vita molto vivida ed avventurosa, ed ha messo molte delle sue esperienze nei suoi romanzi, ed infatti i suoi personaggi risultano piuttosto vividi e suggestivi, anche nelle loro emozioni, che talvolta sfiorano un po' la meliosità, va anche detto.

Ma va bene così, visto che comunque i protagonisti di Fiesta e Addio alle armi sono uomini e donne piuttosto giovani.

Non sono qui per raccontare di questi romanzi, sarebbe inutile, visto che l'opera di Hemingway è stata pesata e giudicata dai più grandi critici dell'ultimo secolo, ed esistono numerosi saggi che parlano delle sue storie, ed io non ne sarei all'altezza, ma lasciatemi dire che nelle sue storie c'è tutto.

Dalle corride e alle fieste spagnole con le corse dei tori di Pamplona, alle montagne italiane della prima guerra mondiale, dagli amori al sesso, fino alla tragedia e alla morte.

D'altronde anche lui ha condiviso il destino di alcuni personaggi dei suoi romanzi, anche se nel suo caso è stato per morte scelta.

C'è un vecchio racconto del mio amatissimo Ray Bradbury in cui un uomo con una macchina del tempo prova a salvare la vita di molti scrittori vittime di morte violenta tra cui Hemingway.

Perché anche Ray, come me, come chissà quanti migliaia di altri, pensa che avrebbe ancora potuto regalarci delle opere immortali come queste.

Ma Ernest non la pensava così.

Non ricordo dove, tempo fa, lessi una delle sue ultime interviste, in cui affermò che lui sarebbe vissuto fin quando avrebbe avuto altre storie da scrivere e raccontare.

Comunque sono contento che esistano sue opere che io non ho ancora letto, e che quindi conto di reperire appena potrò, quindi per me, almeno narrativamente parlando, sarà ancora vivo.


" Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche una zolla venisse lavata via dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità. e dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te."

John Donne


Alla prossima!




martedì 3 novembre 2020

L'olivetti lettera 32


Bazzico su Instagram ormai da tanto tempo, e mi sono accorto con il passare degli anni che nelle foto inerenti i libri, capita molto spesso di trovare in posa una macchina da scrivere Olivetti.

Sono quindi arrivato a chiedermi com'è che questo oggetto sia così in voga tra le/gli bookstagrammer.

L'avevano avuta anche loro in casa, l'avranno comprata perché viene considerata un oggetto di culto tra i letterati e gli appassionati di letteratura?

Non ne ho idea.

Fatto sta che è un po' il prezzemolo delle foto quando si tratta di libri.

Ma non capita soltanto nelle foto su Instagram di notarla, ma appare spesso nei video di case abbandonate, dov'è una delle cose che salta più all'occhio, e fa bella mostra di sé anche nei mercatini delle pulci, dove non è raro intercettarne qualcuna in vendita.

Possiamo in un certo senso considerarla l'antenato del computer?

Per quel che mi riguarda un po' sì.

Perché io non immaginavo ne girassero così tante.

E non parlo solo della Lettera 32, ma anche dell'ancora più vetusta versione, ovvero la 22.

Io ho a casa una 32 che i miei all'epoca ( suppongo perché non ricordo ) comprarono per mia sorella e mio fratello che ben prima di me frequentarono L' istituto Tecnico Commerciale.

Questa scuola aveva due ore a settimana dedicate alla dattilografia e quindi l'insegnante consigliava di procurarsene una per allenarsi.

I miei quindi comprarono una Olivetti Lettera 32 con annessa valigetta, ed io la conservo da allora.

Anche se oggi è parecchio vissuta, ma d'altronde ha praticamente trent'anni.

Anche se ero piccolo, ricordo che la usavo anch'io.

Mi piaceva scrivere e ricordo che ero piuttosto bravo e veloce a battere a macchina.

Scrivevo brevi racconti che poi facevo leggere ai miei con protagonisti gli amici di mio fratello che venivano a casa, e ricordo che li facevo ridere.

Anch'io ho frequentato successivamente lo stesso istituto scolastico e quindi anch'io per due anni feci dattilografia.

Ero parecchio veloce a scrivere, il che era strano per i miei compagni di classe che notoriamente pensavano fossi un asino e quindi guardavano con sospetto questa mia abilità, e penso avessero ragione.

Nel senso che c'era una tecnica che veniva insegnata per scrivere, in cui bisogna usare tutte e cinque le dita, ma io da autodidatta avevo il mio stile che andava contro l'insegnamento, ed infatti per scrivere non riuscivo ad usare l'anulare ed il mignolo per battere alcune lettere, quindi era un po' come non rispettare le regole.

Non che l'insegnante se ne sia mai accorta o ci facesse caso, ero abbastanza furbo da cercare di non finire tra i primissimi.

Con la fine del primo biennio superiore questa materia non veniva più insegnata, e complice l'arrivo dei primi computer a casa mia, la macchina da scrivere non venne più usata, ma inserita nella sua apposita valigetta e conservata nel posto dove risiede tuttora.

Ultimamente mi sta venendo la voglia di tirarla fuori, pulirla e magari inserirla come soprammobile in qualche mensoletta.

Mi dispiace un po' vederla conservata a memoria imperitura dentro un armadio.

Ma in verità ho fatto questo post per capire un po' perché è così presente nelle foto dei bookstagrammer.

Sono figli di scrittori e giornalisti, avranno frequentato la mia stessa scuola, o è solo un oggetto vintage associato alla letteratura?

E soprattutto lo chiedo ai miei pochi e sparuti lettori, ne avete qualcuna a casa?

Sono curioso.


Alla prossima!


mercoledì 28 ottobre 2020

Cane mangia cane - Edward Bunker

 E così sono arrivato anche ad Edward Bunker.

Solo che Bunker è molto diverso da tutti gli autori che ho letto finora.

Di quelli che bazzicano tra il noir e l'hard boiled, dico.

Forse perché ha vissuto veramente la vita che racconta nelle sue storie, visto che prima di diventare scrittore è stato criminale ed è stato più volte in carcere, ma la sua penna è molto più cattiva e nera delle altre.

Bunker mette molto delle sue esperienze e dei racconti che ha sentito narrare.

E forse è proprio per questo che il confine tra il romanzato e il narrato reale è così labile, ed i suoi personaggi sono così vividi ed alienanti.

La L.A. di cui ci parla è molto più violenta e fetida di quella romantica di altri autori di questo genere, molto più disperata e nichilista, tanto da farci toccare con mano il sottobosco che si nasconde tra i boulevard e la gente perbene.

Il cosiddetto underworld.

Cane mangia cane è un buon libro, raccontato da un punto di vista totalmente criminale e per questo narrato senza filtri.

Oggi siamo abituati a questo genere di narrazione, grazie a serial Tv come Gomorra, Suburra, Narcos, ecc.ecc. ma qui c'è poco da provare attrazione per questi personaggi, anche quando l'autore prova ad umanizzarli.

O almeno io non sono riuscito a farlo.

Allo stesso tempo è anche una cinica e spietata critica al sistema carcerario americano, che ti sputa fuori senza nessuna possibilità di redenzione e rieducazione lavorativa, visto che per il sistema diventi subito out.

Sicuramente leggerò altro di suo, ma chissà quando, visto che con l'ultimo Dpcm ha chiuso il mio mercatino di riferimento.

Adesso dopo Bunker, il mio sogno è riuscire ad incrociare quello che è considerato un po' il capostipite del genere noir/hard boiled, ovvero Dashiell Hammett con il suo Il Falcone Maltese.

Prima di chiudere, lascio la sinossi del romanzo per chi fosse interessato, presa in prestito da Einaudi. 

Io posso solo aggiungere che è un romanzo che merita di essere letto.

Non ha la decadenza, la poesia e il romanticismo di Chandler, né la precisione chirurgica ed investigativa di Ellroy, ma ha il merito di essere diretto, rapido e scorrevolissimo.


Tre uomini, l’ultimo colpo, l’ultima occasione concessa dalla vita. Cane mangia cane è il romanzo piú potente di Bunker, e racconta la storia di tre figure indimenticabili, legate da un destino tragico fin dagli anni del riformatorio: Charles («Diesel») Carson, Gerald («Mad Dog») McCain, e il loro capo Troy Cameron, criminale consapevole, lucido e spietato come un animale da preda, che vede con inquietudine il suo territorio di caccia minacciato dalle nuove gang dei ghetti di Los Angeles. Con una scrittura tesa e un freddo naturalismo Edward Bunker, uno scrittore che prima è stato criminale, ha portato nel genere noir una nota del tutto diversa dalle atmosfere alla Chandler o alla Hammett: nessun romanticismo, nessun eroe in cerca di redenzione. Perché il crimine come mestiere ha un suo senso dell’orrore ed è guidato da una folle passione; e se fai davvero parte dell’underworld, è inutile cercare di uscirne.





Alla prossima!


venerdì 16 ottobre 2020

L'incendiaria - Stephen King

" Bruciare era un piacere."

Ray Bradbury


Concludo e mando a maggese per un po' King con questo post dedicato ad un altro dei suoi più vecchi romanzi, L'incendiaria.

Mentre leggevo questo romanzo, ma anche Christine e La Zona Morta mi sono domandato cosa significa leggere questi romanzi oggi.

Io lo feci nel 2003 circa o giù di lì, e pur essendo cresciuto con il cinema, i cartoni animati, i fumetti ed i telefilm degli anni '80 non percepivo una sovraesposizione di tematiche ricorrenti.

Leggere un romanzo del genere oggi, invece, è un'esperienza un po' strana, specie per un nuovo lettore.

Mi capita spesso di spulciare le recensioni dei nuovi "fedeli lettori " di King, soprattutto di quelli giovanissimi su Instagram e di leggere un po' di perplessità nei riguardi di plot narrativi che ai loro occhi oggi appaiono desueti e banali.

E li capisco benissimo.

Di storie simili oggi ne è pieno il fosso.

I cinecomics, i telefilm, persino i fumetti, hanno sdoganato e di fatto riempito i media di supereroi, di gente con superpoteri e tutto il companatico, rendendo quindi prevedibili alcune opere del passato, specie un libro come l'Incendiaria del 1979.

L'incendiaria infatti è un'opera molto cinematografica e ricca di cliché narrativi, ma allo stesso tempo molto solida.

Al tempo credo che un'opera del genere avesse pochi paragoni, forse qualcuno tra i cartoni animati ed i fumetti, infatti una storia come quella che vede protagonista Charlie, negli X-Men apparirebbe normalissima, ma fino all'esplosione dei cinecomics comunque una roba per pochi nerd e non per la massa.

E soprattutto senza internet a fare da cassa di risonanza.

Eppure l'Incendiaria è un buon romanzo.

Andiamo di sinossi tratta da Ibs ( abbastanza bruttina, parere personale):

Charlie: una bimba terrorizzata e terrorizzante dotata di energie psichiche straordinarie. La "Bottega": un'agenzia governativa decisa a sfruttare tali facoltà per i suoi folli scopi. Si scatena così una ricerca senza quartiere per braccare la piccola che tuttavia riserverà qualche sorpresa ai suoi persecutori.



L'incendiaria parte col botto.

La prima parte è infatti molto bella e coinvolgente. Un'avventura che parte al cardiopalma ed on the road, con quell'atmosfera da fuga rurale, che a me piace un casino.

La storia prende forse una piega inevitabile e prevedibile, e la parte centrale soffre molto questa prevedibilità, perché tutti i lettori, e non sarà uno spoiler, sanno dove vanno a parare trame del genere, quindi sanno che Charlie e suo padre passeranno un po' di tempo tra le grinfie degli avversari.

Ecco, quella parte forse è fin troppo prolissa e descrittiva, ma in generale io credo che L'incendiaria sia un romanzo che funzioni.

Bellissima la terza parte quando finalmente King lascia che Charlie si scateni con tutta la sua forza.

C'è qualche ingenuità narrativa nel cosiddetto duello finale, ma credo che sia funzionale alla trama, quindi voluto.

Finale ottimo ed in dissolvenza, l'unico possibile, visto che comunque parliamo di un libro che vede per protagonista una bambina di 8 anni.

Ci sono alcune supercazzole soprattutto in ambito scientifico e nei riguardi della natura del potere di Charlie e degli esperimenti sui suoi genitori, ma si accettano tranquillamente, come d'altronde accettiamo che una ragazzina di 8 anni abbia il potere di mandare a fuoco il mondo intero.

Molto belli alcuni sottotesti narrativi nei riguardi del potere, soprattutto quello affidato ad un infante, ma ripeto che è comunque una roba già letta se si è cresciuti a pane ed X-Men come il sottoscritto.

Da questo film fu tratto il film Fenomeni Paranormali Incontrollabili con una bravissima e piccolissima Drew Barrymore e di cui ricordo pochissimo, tranne la bellissima scena della pallottola che è presente anche nel romanzo.

Che dire, non rileggevo questo romanzo da quasi vent'anni, ed oggi è molto invecchiato, ma rimane una buona lettura.

Per me è un buon romanzo, dalla struttura sicuramente prevedibile, ma che si fa leggere volentieri.

Tanto per dire: il romanzo recente a cui può essere paragonato e che parte da premesse simili, ovvero L'istituto per me vale meno della metà de L'incendiaria, che appare molto più corposo e narrativamente interessante.

L'istituto è fin troppo facilone e sempliciotto, sicuramente più scorrevole, ma senza nessuna complessità di fondo.

Forse a livello di scrittura oggi King è più piacevole e meno prolisso da leggere, ma un tempo ai miei occhi sembra che avesse una penna più libera e meno trattenuta.

E soprattutto era una fucina di idee, ed era più giovane, e probabilmente meno politicamente corretto.


Alla prossima!


lunedì 12 ottobre 2020

Se scorre il sangue - Stephen King

 " Contengo moltitudini."


Ancora King? Sì.

Ultimamente ho letto anche altri libri che non fossero di King, ma di autori di cui ho già parlato e così di genere, da non necessitare di chissà quale approfondimento.

Sono stati più conferme, che momenti di analisi o recensione.

Quindi difficilmente tornerò a parlare di Raymond Chandler, Ellroy o altri autori noir di cui ho già parlato, ma probabilmente lo farò di qualche altro autore come Edward Bunker non appena leggerò Cane mangia cane che ho trovato ad 1 Euro al mercatino.

Ed anticipo che anche il prossimo post probabilmente sarà dedicato a Stephen King.


Comunque bando alle ciance e parliamo di Se scorre il sangue.

Ci ho messo parecchio a vincere la mia ritrosia verso i libri in prima edizione, che per problemi economici ed anche per scelta personale, spesso by-passo volentieri.

Ma con King prima o poi so che cadrò nel vecchio vizio.

Ho resistito per alcuni mesi, ma poi l'ho visto in vendita in un supermercato e l'ho aggiunto al carrello della spesa.

Prima di tutto, come d'altronde molti sapranno già, si tratta di una raccolta di quattro racconti e non di un romanzo.

I racconti ivi contenuti sono:

- Il telefono del signor Harrigan

- La Vita di Chuck

- Se scorre il sangue

- Ratto

Parlare di una raccolta di racconti è sempre complicato, in quanto mancando la centralità di un'opera singola, si va di gusti personali e quindi non possono essere trattati nel loro insieme.

Quindi di base, capisco benissimo i nuovi adepti di King, quando scrivono di aver apprezzato alla follia queste quattro storie o i vecchi affezionati che invece fanno fatica a digerire alcuni di questi racconti che aggiungono poco o nulla alla sua bibliografia.

Se dovessi dire in base ai miei gusti quale ho apprezzato direi La Vita di Chuck su tutti, molto più introspettivo ed originale degli altri, e Ratto che è davvero uno scritto graffiante nonostante alcuni simbolismi già usati da King stesso ed altri autori.

Il telefono del signor Harrigan mi ha lasciato poco.

In parole povere è una storia di fantasmi moderna, dove un uomo morto comunica e aiuta un ragazzo attraverso il telefono cellulare.

Un racconto piuttosto basico, secondo me.

Mi ha fatto sorridere in questo racconto, che King è costretto a spiegare in maniera quasi tecnica l'utilizzo degli SMS e dei primi Iphone.

Segno di quanto queste storie siano precostruite per piacere alle nuove generazioni che hanno bisogno di avere tutte le spiegazioni del caso, come se non esistesse Google. :-P

La Vita di Chuck è un racconto splendido, vale da solo il prezzo del libro.

King disegna una storia in tre atti, in bilico tra distopia e umanità.

La nostra mente contiene e crea mondi.

Direi che basta questo per descrivere questa storia veramente geniale e commovente.

Racconto che consiglio.

Altro racconto piuttosto canonico è Se scorre il sangue.

Il racconto più lungo della raccolta, che contiene alcuni spoiler di un suo romanzo precedente ovvero The Outsider.

Che io non ho ancora letto, quindi in pratica mi sono spoilerato il finale.

Non che mi importi molto, visto che personalmente sono più interessato al viaggio che al finale, quindi se mi capita lo leggerò volentieri.

Ritorna uno dei personaggi feticcio di Stephen King degli ultimi anni ovvero Holly Gibney.

Credo di capire perché King ami tanto questo personaggio.

Holly è un personaggio molto moderno e fallibile.

Per altro molto credibile per via dei suoi problemi psicologici.

Una persona debole, di indole quasi depressa, che grazie al supporto dei medici e degli amici poi, diventa quasi una supereroina.

E' la paladina degli psichiatri e degli psicologi, la perfetta icona pubblicitaria, secondo me. :-P

Scherzi a parte, capisco che King la ami, ma a me non mi ha mai esaltato particolarmente.

La storia del libro è piuttosto basica, con meccanismi narrativi quasi da poliziesco thriller.

Niente di che, secondo me.

E poi fin dai tempi della trilogia di Mr. Mercedes ho sempre fatto fatica a trovare credibili alcuni dei comprimari che circondano la vita di Holly.

Però è un problema mio, me ne rendo conto.

Chiude la raccolta Ratto.

Lo dico tranquillamente, non aggiunge nulla di nuovo al genere horror, ma mi è piaciuto molto.

Mi ha ricordato un po' Il Corvo di Poe e forse per questo mi sento un po' di amarlo.

Uno scrittore febbricitante e prigioniero di una bufera di neve e pioggia, rimane bloccato in un casolare in cui era andato a scrivere un romanzo, in compagnia di un grosso ratto morente, che improvvisamente parla e con cui fa un patto degno di Faust.

Bel racconto, nulla da dire.

Mi rendo conto che questo scritto assomiglia più ad un flusso di coscienza che ad un post del blog, però sto dormendo poco, combatto contro l'insonnia, a volte vincendo ed a volte perdendo, e fuori piove.

Siate comprensivi.

Alla prossima!

giovedì 24 settembre 2020

La zona morta - Stephen King

 

All'epoca in cui leggevo gli X-Men, Longshot era uno dei miei personaggi preferiti del gruppo di mutanti. 

Oltre ad essere agilissimo, avere delle ossa cave come quelle degli uccelli, riuscire a far innamorare di sé quasi tutte le donne ed avere il potere mutante della fortuna, aveva anche il dono della psicometria, ossia vedere la storia di un oggetto o di una persona attraverso il tocco.

Mi rimase impressa un'avventura in cui lui e gli X-Men dopo aver sconfitto il nemico di turno che era formato da un gruppo di mutanti con innesti tecnologici che si chiamano Reavers nel loro covo, si ritrovarono letteralmente davanti un tesoro sottratto degno del deposito di Zio Paperone o di Smaug il drago.

Attraverso il potere di Longshot gli X-Men riuscirono a risalire a gran parte dei legittimi proprietari di quegli oggetti, tra cui oro, denaro, gioielli, ecc.ecc.

Un'avventura molto toccante, ma che mandò letteralmente il povero Longshot in shock per lo sforzo.

Beh, John Smith il protagonista del romanzo di King ( credo che il nome comunissimo non sia scelto a caso ) ha un potere simile, ossia quello di predire il futuro attraverso il tocco.

Ed io adoro tematiche simili.

Un potere che somiglia più ad una condanna che ad una benedizione.

Anche se in corso d'opera e in maniera nemmeno troppo velata, King attraverso il personaggio della madre di John, una donna affetta da una mania psico-religiosa, ci fa intuire o comunque prova a metterci il dubbio, che il potere di John esista per uno scopo ben preciso che arriva dall'alto.

D'altronde il potere del "bianco" è sempre presente in maniera latente nei romanzi di Steve.

Andiamo di sinossi, presa in prestito da Ibs:

Al risveglio da un coma durato quattro anni, Johnny scopre di possedere un dono meraviglioso e nello stesso tempo tremendo: è capace di conoscere il futuro e i segreti della mente altrui con un semplice contatto, anche solo un tocco della mano. E questa facoltà lo conduce dentro un'avventura agghiacciante, in cui è sempre più solo.


 Lo dico subito, non ho mai inserito La zona morta tra i miei preferiti del Re,  forse perché è un po' statico e forse perché non ha un gran ritmo, ma è uno dei libri più coerenti e coesi di King.

Sulla costruzione della storia e della dinamica degli avvenimenti, si può veramente discutere di poco o nulla.

Forse per quel che mi riguarda, ho trovato il libro molto romanzato con dei personaggi troppo specifici e troppo costruiti, ma di per sé non è un difetto, ma è ben conscio per il lettore, che non è una lettura realistica, e non per i poteri di preveggenza del personaggio, ma per come il tutto sembra incastrarsi nel contesto narrativo.

In parole povere, a parte John, ho fatto fatica a immaginare come reali alcuni dei personaggi che lo circondano.

Va detto che è il primo romanzo di King che non è dichiaratamente un horror.

La zona morta presenta numerose chiavi di lettura e si incastrano tutte benissimo.

C'è una bellissima e drammatica storia d'amore, c'è la religione, quella peggiore, bigotta e credulona, e soprattutto è uno dei romanzi più politici di King.

Per altro presenta una figura politica piuttosto attuale, ignorante e populista, che miete consensi anche attraverso metodi non proprio ortodossi.

Greg Stillons è un villain a cui potreste mettere quasi qualsiasi nome odierno per quel che concerne le frange più estreme delle politica mondiale ed europea. 

Ed è un personaggio che funziona, altroché.

La filosofia del romanzo si basa su una domanda ormai molto inflazionata ( però teniamo conto che il romanzo è del 1979 ) che verte su che cosa fareste se scopriste di poter impedire un futuro nuovo conflitto mondiale o una dittatura mettendo fine alla vita di un politico o di un dittatore prima che diventi tale, ed è una scelta che toccherà fare a John in corso d'opera.

John Smith è sicuramente il protagonista indiscusso del romanzo.

La sua parabola mi ha ricordato quella di un romanzo recente che ho letto ovvero quella di Stoner in cui ho trovato parecchie similitudini tra i personaggi.

John Smith ( basta vedere il suo nome ) è una persona comune, una persona normale e felice, felicemente fidanzato, la cui vita viene stravolta completamente a causa di un incidente automobilistico che gli è quasi fatale, visto che lo manda in coma per quattro anni.

In questi quattro anni perde la fidanzata ( che non ci ha messo molto a sposarsi e fare un figlio nel frattempo ) ed acquista un potere, che gli permette di aiutare le persone ed anche la polizia ( infatti uno dei capitoli più belli è quello in cui aiuta lo sceriffo di Castle Rock a risolvere il caso di un omicida seriale ), ma che allo stesso tempo lo rende un fenomeno da baraccone per i giornalisti e le persone che lo circondano.

Da un punto di vista narrativo La zona morta è secondo me un romanzo veramente buono, e quindi lo stra-consiglio.

Alcuni comprimari si comportano in un modo non sempre credibile, ma è un libro che fila via che è un piacere, ed in alcuni punti è davvero toccante.

Il finale è discutibile, se non altro perché ai politici ho visto far di peggio ed uscirne puliti nella realtà, ma lo scoprirete solo leggendolo ( sempre che non abbiate visto la riduzione cinematografica di Cronenberg).

La zona morta è un romanzo che merita di essere riscoperto.

E' la storia di un uomo comune, con il nome più diffuso d'america, che ad un certo punto smette di essere tale, e da cui ( forse ) dipende il destino dell'umanità.


Alla prossima!

martedì 15 settembre 2020

I miei libri preferiti: Il figlio del cimitero - Neil Gaiman

 " Voglio vedere la vita " annunciò Bod. 

" Voglio stringerla tra le mani. Voglio lasciare un'impronta sulla sabbia di un'isola deserta. Voglio giocare a pallone  con la gente. Voglio... " disse, poi si interruppe per pensare.

" Voglio tutto. "



E' un po' paradossale trovarsi in difficoltà nel parlare di un romanzo dichiaratamente per ragazzi, ma Il figlio del cimitero pur nella sua semplicità di scrittura è un libro complesso da descrivere.

E mi rendo conto che molti storceranno il naso all'idea che un quarantenne come me, possa pensare di inserire tra i suoi preferiti un romanzo del genere.

La verità è che Il Figlio Del Cimitero mi emoziona sempre un sacco, tutte le volte.

E credo che questo basti.

Sarà per lo stile di Neil Gaiman così elegante, poetico e delicato, uno stile che ho riscontrato soltanto in un altro scrittore che amo alla follia : Ray Bradbury.

In verità il mio amore per questo romanzo va un attimino contestualizzato.

Sarei un pazzo se volessi paragonare un romanzo del genere a capolavori come quelli di Steinbeck, Hemingway o McCarthy.

Questo libro di Neil è molto leggero, ermetico e per certi versi sfuggente.

Pregno di avvenimenti e di dialoghi, precisi e dettagliati, ma allo stesso tempo ermetici, dove c'è molto non detto e non raccontato.

Ed è forse l'unico difetto che riscontro in questo libro.

Mi ha ricordato molto Ballard.

Cioè per dire, se fosse stato King avrebbe sicuramente dato più spazio al passato di alcuni personaggi e alle loro motivazioni, che in questa storia appaiono un po' fumosi e blandi, ed è un peccato perché pur delineandoli in maniera ermetica Gaiman riesce a farti amare tutti i personaggi del cimitero con cui Bod interagisce, da Silas fino alla Signorina Lupescu, per finire alla misteriosa figura della Signora dal cavallo bianco.

Ma mi rendo conto che senza sinossi sarebbero discorsi senza senso:

Ogni mattino Bod fa colazione con le buone cose che prepara la signora Owens. Poi va a scuola e ascolta le lezioni del maestro Silas. E il pomeriggio passa il tempo con Liza, sua compagna di giochi. Bod sarebbe un bambino normale. Se non fosse che Liza è una strega sepolta in un terreno sconsacrato. Silas è un fantasma. E la signora Owens è morta duecento anni fa. Bod era ancora in fasce quando è scampato all'omicidio della sua famiglia gattonando fino al cimitero sulla collina, dove i morti l'hanno accolto e adottato per proteggerlo dai suoi assassini. Da allora è Nobody, il bambino che vive tra le tombe, e grazie a un dono della Morte sa comunicare con i defunti. Dietro le porte del cimitero nessuno può fargli del male. Ma Bod è un vivo, e forte è il richiamo del mondo oltre il cancello. Un mondo in cui conoscerà l'amicizia dei suoi simili, ma anche l'impazienza di un coltello che lo aspetta da undici lunghissimi anni... Età di lettura: da 12 anni.



Il figlio del cimitero è un teen fantasy dalle venature horror.

Anzi potremmo dire che l'inizio è dichiaratamente horror, ma narrato con così naturalezza e delicatezza da assomigliare ad una fiaba.

Un bambino in maniera piuttosto fortunosa sfugge all'assassinio della sua famiglia e si rifugia tra le tombe del cimitero vicino casa, dove i morti si prenderanno cura di lui nascondendolo da questa misteriosa confraternita che vuole ucciderlo.

Bod crescerà all'interno del cimitero in una sequela di micro-avventure volte a farlo crescere e maturare.

Lo dico apertamente, questi micro-capitoli sono stupendi.

E' un romanzo che scivola via che è un piacere e che si legge alla velocità della luce.

E come ho detto su, sembra assurdo che in così poche pagine, Gaiman è riuscito ad infilarci il mondo intero.

Il figlio del cimitero regala molte pagine veramente toccanti, ci dona un'interpretazione della Danza Macabra sotto forma di un ballo rituale, che è qualcosa di sublime.

Ma tutte le avventure che Bod vivrà all'interno e fuori dal cimitero sono narrate in maniera divina.

Il capitolo dedicato ai Ghoul che tanto omaggia e ricorda Lovecraft, è un qualcosa di eccezionale. 

Il finale è giustissimo e da applausi.

Per me questo libro è un piccolo capolavoro.

L'unica riserva è relativo al fatto che alcuni personaggi e le loro motivazioni vengano lasciate quasi all'interpretazione del lettore ( per esempio non è impossibile ipotizzare che Silas possa essere un famoso conte che tutti conosciamo ) o raccontate con quattro frasi in croce, lasciandoci  con il dubbio su che cosa siano I Mastini di Dio, la confraternita dei Jack e tutto il companatico.

Con venti, trenta pagine in più questo romanzo sarebbe stato un capolavoro.

Ma forse questo non era l'intento di Gaiman.

Voleva narrare l'avventura fantastica di un bambino che diventa ragazzo e poi uomo.

Un bambino che vive con i morti, e che così poco conosce del mondo dei vivi.

Un'avventura scritta in maniera divina con perizia e saggezza, e che soprattutto commuove.

Chi conosce Gaiman sa già cosa lo aspetta, perché l'autore a volte tende un po' a ripetersi ( per esempio a me leggendo questo romanzo sono tornati in mente alcuni passaggi di Sandman ), ma per chi non conosce quest'autore, lasciatemelo dire, che grave mancanza!

Neil Gaiman è un narratore immenso, e andrebbe letto e riletto.

Anche se sono convinto che bene o male, ormai le sue storie le conoscano quasi tutti visto quanto è stato saccheggiato dalle serie Tv e dal cinema.

Quindi se conoscete American Gods, Good Omens, Coraline e Stardust, sappiate che sono tutte opere del buon Neil che andrebbero lette, rilette, e poi rilette.

Si parlava anche di un film relativo a Il figlio del cimitero ed in effetti mi sembra strano che non sia stato ancora realizzato.

Raramente horror, fantasy e fiaba, si sono mischiati così bene.

Neil trova il tempo ed il modo in questo piccolo libro di inserire di tutto: romanzo di formazione, horror di stampo classico con vampiri, ghoul, licantropi e fantasmi, assassini che sembrano usciti da uno slasher, streghe, e personaggi mitologici.

Questo romanzo è stato anche vincitore dello Hugo Award del 2009 ed anche della Newbery Medal, quindi eventualmente non sono stato l'unico ad amarlo. :-P

P.s: dimenticavo di citare le belle illustrazioni di Dave McKean che fanno da corollario alla narrazione.

Alla prossima!


mercoledì 2 settembre 2020

Christine - La macchina infernale - Stephen King

 "Figliolo, probabilmente sei troppo giovane per cercare la saggezza in parole che non escano dalla tua bocca, ma ti dirò una cosa: il nemico è l'amore." 

Annuì lentamente. 

" Sì. I poeti fraintendono l'amore continuamente e qualche volta in buona fede. L'amore è il più antico degli assassini. L'amore non è cieco. L'amore è un cannibale con una vista estremamente acuta. L'amore è un insetto che ha sempre fame."

" Che cosa mangia? " Domandai senza pensare.

"L'amicizia", mi rispose.


Probabilmente il succo di questo romanzo è tutto qui, in questo splendido passaggio, che è probabilmente il più bello del libro.

Christine è un horror, ma anche una classica storia d'amicizia adolescenziale, che in genere sappiamo tutti, grazie al nostro trascorso, che si interrompe o prende una piega diversa, nel momento in cui entra in gioco l'amore.

Qui la ragazza destinata a rompere un'amicizia c'è pure, ma somiglia più ad un espediente, perché il vero amore di Arnie è Christine, un' automobile.

Questa quindi è la storia di un triangolo d'amore o un quadrilatero se ci mettiamo in mezzo anche Leigh Cabot.

E' il classico horror scolastico che King ci ha già venduto e ci venderà ancora dopo, molto simile a Carrie, IT o Il Corpo nell'impostazione.

Cittadina tranquilla, scuola, bulli, amicizia, e l'arrivo dell' orrore esterno, che questa volta sarà un'automobile.

Christine è uno dei romanzi più famosi di King, è stato anche trasposto cinematograficamente da un maestro come Carpenter, e probabilmente la sua fama è più al passato che al presente.

Probabilmente oggi la figura di questa Plymouth del 1958 è meno famigerata di un tempo, ed è un peccato, credo anche perché in tempi moderni la macchina non racchiude più un'importanza fondamentale come nelle adolescenze del passato o almeno appartiene ad un genere narrativo e cinematografico nell'immaginario un po' desueto.

Resta comunque sicuramente un'opera iconica, con cui King ha saputo giocare ed ammaliare il lettore, soprattutto un lettore cresciuto in quegli anni di miti cinematografici motorizzati.

Credo che Steve possa anche essere stato ispirato da opere come La macchina nera, Supercar e persino Duel.

In certi frangenti si respira l'area di un contesto televisivo alla Grease o a un Happy Days in chiave orrorifica.

Perché quasi ogni adolescente sogna di guidare una macchina, sogna l'indipendenza, ed ha la convinzione che il mezzo sia uno degli ingranaggi che porta alla conquista del sesso e dell'amore.

Molto aspettano i diciotto anni solo per questo ( o i 16 nel caso degli americani ).

Non a caso Arnie trova l'amore solo dopo aver adocchiato Christine.

E' la quarta o quinta volta che rileggo Christine, ed ogni volta è amore, ma anche perplessità.

Lo amo, ma per me ha dei difetti evidenti, robe che non mi piacciono e che narrativamente parlando avrei preferito diverse.

Andiamo di sinossi:

Tre amici vivono la loro adolescenza in una tranquilla cittadina di provincia. Le novità sono poche, finché non compare Christine, un'auto - una Playmouth del 1958 - che Arnie, uno dei ragazzi, vuole a ogni costo rimmettere a nuovo. Un'impresa disperata, che per lui si trasforma in un'ossessione, mentre la macchina inizia a manifestare un'inquietante vita propria. E nelle buie strade del paese la gente comincia a morire.

Ho notato che alcuni trovano la prima parte di questo libro eccessivamente statica e prolissa.

Ed è vero.

Probabilmente oggi, King avrebbe affettato e velocizzato un po' la parte iniziale, visto che per circa 180 pagine succede poco o nulla in termini d'azione, e molto è dedicato all'approfondimento dei personaggi.

In verità è una parte che io ho apprezzato molto.


Trovo funzionale e ben narrato il tutto: il colpo di fulmine di Arnie per Christine, la presentazione della figura un po' mefistofelica di Roland LeBay, il rapporto che Arnie ha con i genitori e con il suo migliore amico, e soprattutto i piccoli accenni al passato di Christine.

Personalmente io trovo la prima parte molto più coesa anche nella struttura narrativa, non a caso ritengo che le parti più belle del romanzo si trovino tra queste pagine, almeno fino a quando non si scatena Christine in tutta la sua potenza.

Cosa non va in questa storia ( per me ovviamente )?

Ho sempre avuto l'impressione leggendolo che i personaggi, a parte Arnie, non siano stati centrati benissimo.

La figura di Roland LeBay su tutti, ma anche Dennis, il migliore amico di Arnie nonché eroe della storia.

Se Arnie compie un percorso ben preciso e delineato, fino alla sua completa trasfigurazione di sé, non si può dire lo stesso degli altri personaggi.

Leigh Cabot è protagonista di uno dei passaggi più spaventosi del romanzo, ma per essere la fidanzata di Arnie e quindi terzo incomodo tra lui e Christine, resta una figura molto eterea e sbiadita nell'economia della storia, tranne che nel controverso passaggio narrativo verso il finale, che io ho trovato molto infame e forzato, ma è una cosa mia.

Ci sono molte forzature in questa storia, che avrebbe potuto essere molto più semplice e lineare.

La natura malefica di Christine e il suo rapporto molto forzato con LeBay.

La stessa trasfigurazione di Arnie è piuttosto contorta.

Non ce n'era bisogno.

Sarebbe bastata l'ossessione per una macchina malefica con successiva possessione.

In più punti King stesso sembra confuso su chi sia il vero diavolo, se LeBay o la macchina, creando parecchia confusione.

Però quando l'autore preme l'acceleratore e lascia scatenare Christine diventa un libro spettacolare.

Nonostante alcune scelte narrative che ho trovato un po' attaccate con lo sputo, amo e amerò sempre molto questo romanzo, che in più punti mi ha anche fatto riflettere su me stesso, perché in alcuni passaggi ti fa tifare per...Christine.

Infine vorrei spendere due parole sull'eroe della storia, Dennis.

C'è un qualcosa che non mi è mai piaciuto in questo personaggio.

Non metto in dubbio la sua amicizia verso Arnie, ma spogliato un po' dal contesto, c'è un sottotesto quasi...classista in Dennis, come se in fondo in fondo, apprezzasse il vecchio Arnie perché inferiore e più debole di lui.

La stessa chiosa iniziale e anche quella finale in cui definisce Arnie un perdente, ti porta a pensarlo.

E poi c'è sempre del marcio in un migliore amico che ti frega la ragazza.

Christine è un buon romanzo che si perde un po' nella fase decisiva, ma che parte e finisce benissimo.

Il finale è tra i più belli mai partoriti da Stephen King, e quando Christine si prende la scena è irresistibile.

" La sua infinita tenacia."

" La sua furia indomabile."


Alla prossima!



lunedì 24 agosto 2020

007 Missione Goldfinger - Octopussy - Ian Fleming

Sono stato preveggente. 
Avevo scritto in un vecchio post che avrei voluto affrontare la lettura di qualche volume delle avventure di 007, ma oggettivamente non ero molto convinto di avere la fortuna di imbattermici nel mercatino dell'usato. 
Ed invece in una delle ultime sortite recenti mi è capitato di essere attratto dalle copertine giallo vivo dei piccoli volumi dei gialli Garzanti, e durante lo sfogliamento dei volumi, di ritrovarmi davanti, imbustati insieme, sia Octopussy che 007 Missione Goldfinger al prezzo di 2 Euro. 
Era ovvio che li avrei presi. 
Come scrissi su Instagram dopo aver divorato entrambi i volumi ( piuttosto corti in verità ), mi ero fatto un'idea diversa di ciò che avrei letto, ingannato dal fatto che io non essendo mai stato un fan della saga cinematografica, avevo identificato Bond come un borioso agente segreto, donnaiolo, e poco empatico e arrogante. 
Da questi due volumi ne è uscito fuori un personaggio tridimensionale e molto più sfaccettato. 
Prima di tutto, Bond non è mai sovraesposto, ed anzi la sua figura si limita all'essenziale. Cioè, a conti fatti, spesso non è stato nemmeno protagonista dei racconti che ho letto.
007 Missione Goldfinger è un romanzo che mi è piaciuto da pazzi. A parte la scrittura elegante e scorrevole di Fleming ( ci sono alcuni dialoghi ed alcune frasi che potrebbero tranquillamente essere usati come aforismi ), mi ha convinto lo spessore con cui è riuscito a delineare il villain della storia. 
E' Goldfinger il vero protagonista di questa storia, che in quanto a spazio e carisma, mette sotto scacco Bond per tutta la durata del racconto. 
 Era inevitabile per me che dopo Chandler, Arthur Conan Doyle ed Ellroy sarei finito tra la braccia di Fleming, ma non ero convintissimo che mi sarebbe piaciuto così tanto. Ed invece ha saputo sorprendermi pagina dopo pagina. James Bond con la sua fallibilità e con il suo senso della giustizia e della morale ( molto spesso va persino contro le regole dei suoi superiori ), mi ha saputo avvincere e convincere. 
007 Goldfinger è un romanzo con i fiocchi. 
Spero di non aver scelto il meglio della sua produzione per pura casualità, perché punto prima o poi a leggere almeno Casino Royale. 
Ma infine è tutto "oro" quello che luccica? A parte la battuta risibile direi di no. 
Il problema di queste storie action è figlio del genere. Ovvero quello dello schema fisso che vede il villain non approfittare mai dei momenti fallibili dei protagonisti. 
In questa storia Goldfinger ha sempre il coltello dalla parte del manico, ma l'autore sceglie di non farglielo usare mai.
Ma d'altronde è giusto così, altrimenti la saga non sarebbe durata così tanto, no?
Insomma ci si deve appellare alla sempreverde sospensione dell'incredulità, che comunque non penalizza un gran bel libro.
 
Octopussy è un breve ciclo di racconti in cui Bond è protagonista. 
Fa la sua comparsa, fa la cosa giusta, e si defila. 
Sono racconti in cui la sua figura si limita all'essenziale.
Octopussy, Di proprietà di una signora, ed Il lume dell'intelletto sono tre belle storie.
Certo, parliamo di quelle che mi sembrano obiettivamente delle opere minori, ma me le sono gustate.
Infine menzione per le due copertine di questo gioiellino di edizione, entrambe bellissime. Incredibilmente audace quella di Octopussy, che oggi secondo me, non verrebbe mai e poi mai approvata.
Per quanto va oggettivamente detto che ha pochissima attinenza con la storia in questione in cui il protagonista è...una piovra, invece della bella donna della copertina.
Anche in questo libro, la figura di James Bond ne esce ai miei occhi riabilitata e tutto sommato amabile.


Alla prossima!




martedì 11 agosto 2020

Scrittori che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Italo Calvino

 Tempo fa, non ricordo esattamente quando, su un sito lessi un bell'articolo su Marcovaldo di Italo Calvino, che fece sì che mi interessassi a questo autore.

In genere mi segno libri ed autori che mi interessano nelle note del telefonino, sperando di imbattermici nelle mie sortite al mercatino dell'usato.

Sono stato fortunato perché nemmeno un mese dopo sono entrato in possesso a pochi spicci sia di Marcovaldo che de Il Barone Rampante.

L'edizioni sono quelle che sono, quella de Il Barone Rampante è addirittura un'edizione da narrativa scolastica, mentre quella di Marcovaldo appartiene a quelle de Il Novecento Italiano che usciva in allegato con La Famiglia Cristiana.

Edizione di cui ho già altri libri, e che non mi dispiace come cura e formato.

Calvino mi è stato utile.

Entrambi i libri sono piuttosto leggeri ed associabili alla letteratura giovanile, e ne avevo bisogno, visto che non ero in un periodo tranquillissimo.

Al di là dello stile sicuramente molto ricercato, le due storie sono quasi favolistiche con delle morali di fondo semplici, ma ben radicate.

Marcovaldo è un libro splendido.

Mi ha ricordato un po' Fantozzi per il suo andazzo tragicomico, ma anche opere familiari come la saga di Maulassène di Pennac.

L'idea di scandire capitoli, tempo narrativo ed avventure attraverso le quattro stagioni l'ho trovata geniale, ed ogni capitolo diverte e appassiona.

Marcovaldo è uno sfigato cronico ed ingenuo, ma che si ingegna in ogni modo per portare a casa la pagnotta, e tutto l'ambiente cittadino in cui si muove è strutturato benissimo.

Un microcosmo perfetto come un orologio svizzero.

Un racconto umoristico dal sapore agrodolce che mi ha avvinto moltissimo.

Lo consiglio vivamente.

Il Barone Rampante sembra quasi più una parabola fantasy per ragazzi, scritta in modo altrettanto divino, ma forse non per tutti.

La storia è molto semplice: un ragazzino nobile di dodici anni arrabbiato con i suoi genitori decide di salire sugli alberi e vivere su gli stessi, e di non toccare mai più terra.

Lo farà veramente, e vivrà la sua vita non toccando più il terreno con i piedi.

Avrà il tempo di vivere avventure ogni tipo, storie d'amore, e persino di studiare e conoscere alcuni luminari.

Il romanzo è ambientato nel settecento con echi dei tumulti sociali di quel periodo.

Un libro che sembra semplice sulla carta, ma che è una lettura ben strutturata e  complessa.

Insomma Calvino mi è sembrato un narratore che riesce ad unire semplicità e ricercatezza dello stile, muovendosi in abile modo tra fiaba e realtà, e tra il dolce e l'amaro.

Se mi capita, leggerò certamente altro di suo.

Se è destino ci incontreremo ancora.


Buon Ferragosto ed alla prossima!



venerdì 24 luglio 2020

Romanzi a cinque stelle



Ultimamente ho letto Per chi suona la campana di Hemingway e riletto Furore di Steinbeck.
Parliamo di due mostri sacri, e di due libri tra i più belli mai scritti.
A leggerne le recensioni, però a volte si hanno dei dubbi sull'oggettività storica nel giudizio di questi romanzi.
Come se i critici di quel tempo avessero preso un abbaglio.
Almeno a leggere alcune recensioni e votazioni odierne.

Proprio nel periodo in cui stavo leggendo questi due libri, mi trovavo con gli amici nella solita piazzetta, e si parlava del più e del meno, quando mi viene fatta una domanda di carattere libresco che mi ha fatto riflettere molto.
Verteva sul fatto che io non avessi recensito e dato le cinque stelle ad una raccolta di poesie pubblicata tempo fa da un mio amico.
La domanda era fatta in tono scherzoso, anche perché raramente si parla di libri nella mia cerchia d'amicizie, perché nessuno ne è interessato e quindi è una passione che tengo per me, però è stata una domanda interessante.

Ho balbettato che non m'intendo di poesia, ma dentro di me pensavo che se avessi recensito quella raccolta mi sarei sentito in " dovere " di dargli le fantomatiche cinque stelle perché è un mio amico.

Ed è qui che casca l'asino, secondo me.

Mi metto nei panni di tutti quegli scrittori che si auto-pubblicano, che hanno bisogno del voto per restare in classifica, ma quanti di questi voti sono sinceri?

Com'è possibile che il libro della De Lellis abbia cinque stelle, e magari su Steinbeck, Roth, Faulkner, ci siano anche frotte di due o tre stelle?

Quanto sono credibili le classifiche su Amazon o Ibs, o quante siano fatte ad arte per spingere all'acquisto di una nuova uscita di tal dei tali?

Io ho smesso di leggere le recensioni su questi siti da anni.
Ma oggi non riesco nemmeno più a fidarmi di quelle su Instagram, perché troppe di esse si basano su collaborazioni.

Di solito l'aggettivo populista viene usato in ambito politico, ma devo dire che anche per quel che concerne le recensioni online è altrettanto valido.

Le cinque stelle di un romanzo auto-pubblicato o di un nuovo autore/trice e quelle di un grande classico della letteratura hanno lo stesso valore o vanno pesate e classificate diversamente?

E' questa la domanda fatidica.
Perché se ci affidiamo al giudizio numerico, molte delle auto-pubblicazioni in base ai voti sembrano dei capolavori della letteratura contemporanea.
E lo stesso vale per quasi ogni romanzo di nuova uscita su Instagram.
Dove gli aggettivi: fantastico, emozionante, si sprecano.
Che poi per carità, è persino legittimo, perché ognuno si emoziona con ciò che vuole, ma se permettete, che un vincitore di un premio Pulitzer o un Nobel, abbia una media voto peggiore di un' auto-pubblicazione o di una nuova uscita, a me fa rabbrividire.


Alla prossima!