sabato 28 dicembre 2019

Topolino al passato

Non ricordo il giorno ed il mese, ma mi trovavo nell'edicola di un mio amico quando si avvicinò un cliente con il piccolo figlio ed il figlio alla domanda del padre su che fumetto volesse, al canonico Topolino preferì gli Avengers.
La cosa mi colpì molto, sono sincero.
Negli anni '90 spesso ebbi la sensazione di essere l'unico in un agglomerato cittadino di circa 187.000 abitanti a leggere fumetti Marvel, oggi credo non sia più così, grazie al cinema.
Fossi adolescente oggigiorno probabilmente avrei la certezza che molti di quei personaggi non sarebbero sconosciuti ai più, e che tra compagni di classe ed amici, avrei potuto tranquillamente parlarne.

Questa elucubrazione mentale mi ha portato indietro nel tempo all'epoca in cui io ero un bambino, e dove, trovandomi nella medesima posizione di quel bambino, però in un'edicola di paese dirimpetto alla spiaggia, presi per la prima volta in mano un albo dedicato ai personaggi Disney, ovvero Paperino Mese.

Forse lo sanno in pochi, ma anch'io prima di diventare lettore di fumetti Marvel e di Manga, prima di diventare un lettore compulsivo di libri, sono stato lettore di Topolino.

Per quanti anni?
Non lo so, ma almeno tre, quattro anni a cavallo tra i nove e i dodici anni.
Poi ho smesso e non ricordo perché, certe storie finiscono e non sai come e quando.

I miei mi misero a disposizione un'anta del grande comò della loro stanza ed io conservavo quei tesori in quello scrigno che si apriva con una chiave dorata.
Era pieno di adesivi, appiccicati da mio fratello, mia sorella e poi me, e mai rimossi.
L'ombra di essi persiste tutt'ora.
Anche se oggi invece dei numeri di Topolino e Paperino Mese, vi si trovano vecchi documenti, vecchi libri scolastici e vecchie bollette, ma fa parte della vita e del crescere.
Però quando lo apro, mi sembra ancora di sentire l'odore di quei fumetti e della carta adesiva.

Passavo il mio tempo seduto sul pavimento a guardare la pila di fumetti crescere, a leggere, ed ad aspettare come un rituale il mercoledì.

Ero appassionato delle storie a bivi, dalle avventure di Topolino contro Macchia Nera o Gambadilegno, Paperinik e qualsiasi storia con protagonista Paperino e Paperoga, che erano indiscutibilmente i miei personaggi preferiti.

La mia storia preferita?
La parodia di Sandokan.
Ricordo ancora il giorno in cui vidi quello speciale albo nel tabacchino/edicola in cui andavo a comprare i giornalini.
Era in formato cartonato e costava molto più del normale.
Non mi bastavano i soldi per prenderlo, e gli feci la posta per non so quanto tempo davanti l'ingresso, prima di trovare il coraggio di entrare e chiedere al proprietario di darmelo a credito che poi sarebbe passata mia madre a pagarlo.

Credo di esserci stato anche nella storica storia di Topolino sposo, ed anche in una delle mille ristampe de I Promessi Paperi.

Ma tutt'ora in me perdura il ricordo dell'albo Sandopaper e La Perla di Labuan.

Non so perché mi è tornato in mente adesso e perché ne parlo, probabilmente perché ci sono stato anche nel numero natalizio che il buon Moz ha citato qualche tempo fa.

Oggi la roba Disney non mi interessa più, ma non posso negare di esserne stato contaminato in passato.

E' un po' come quelle malattie infantili prima dei vaccini, sai che inevitabilmente, prima o poi ti sarebbero toccate.
Ed anche se per poco tempo, sono contento di essermi presa quella di Topolino, perché sono convinto che un po' della mia passione per la lettura, sia nata grazie a quegli albi.


Alla prossima e,
Buon Anno!




venerdì 20 dicembre 2019

Arthur Conan Doyle non è solo un giallista!

Io tendo a sottovalutare molto gli scrittori ed a fidarmi troppo dei miei gusti.
Ero convinto che non avrei mai letto nulla di Arthur Conan Doyle perché consideravo i suoi lavori come facente parte unicamente del genere "giallo" e quindi lo by-passavo tranquillamente, pur riconoscendone il valore, vista l'iconicità del personaggio di Sherlock Holmes che è arrivato ai giorni nostri e chissà per quanto ancora perdurerà.

Poi mi sono ritrovato a cinquanta centesimi l'uno questi due tascabili Newton in mano, e non sono riuscito a resistere.
Ho scoperto un autore a tutto tondo che mi ha avvinto e conquistato e che mi ha fatto mettere in wish list anche un altro suo romanzo, ovvero Il Mondo Perduto.

Non solo giallista quindi, ma anche autore horror, del mistero, e anche di fantascienza visto che La Nube Avvelenata è catalogabile in quel genere.
C'è sempre tempo per guarire dalla propria ignoranza e sicumera.
E chissà magari vincerò la mia ritrosia verso il genere giallo ed andrò a leggermi Il Mastino Dei Baskerville che mi ha sempre attirato.

Come dicevo il primo tascabile contiene due racconti in cui La Nube Avvelenata è assolutamente in primo piano.
L'altro è un racconto marittimo del mistero che si fa leggere, ma molto sui generis, quantunque gradevole e ben scritto.

La Nube Avvelenata è molto interessante perché parte da una premessa apocalittica, anzi la viviamo attraverso un trio di personaggi, che vede l'arrivo e l'evolversi di questa nube che arriva da chissà dove con esiti devastanti.
Può ricordare lontanamente Il Colore Venuto Dalla Spazio di Lovecraft, ma qui c'è un approccio più scientifico e meno orrorifico.
Racconto che ho amato più per le premesse che per l'evolversi della trama, ma che è una gran bella storia comunque, che forse avrei apprezzato di più se Doyle avesse alzato il tiro.

La Mummia e altri racconti è una bellissima raccolta tutta da gustare.
E' raro che in una raccolta ( anche brevissima come in questo caso ) mi piacciano tutti i racconti, ma qui ci troviamo davanti a delle belle opere.
La Mummia, Il Guardiano Del Louvre e L'esecuzione sono tre racconti bellissimi, ma anche Il Match e L'unicorno mi hanno sedotto abbastanza.
Però la ciccia sta per lo più in quei tre sopracitati, per quanto L'esecuzione soprattutto, ha bisogno di una soglia di sospensione dell'incredulità abbastanza elevata, ma d'altronde trattandosi di un racconto dichiaratamente horror direi che non c'era nemmeno bisogno di dirlo.



Niente, ho fatto questo breve post solo per spronare altri lettori a non commettere il mio stesso errore e di andare anche contro i propri pregiudizi letterali.

Arthur Conan Doyle merita di essere conosciuto non solo per le sue opere più rappresentative dedicate al famoso detective, ma anche per le sue opere meno conosciute.

Per quel che mi riguarda sono felicissimo di averle lette.


Alla prossima!


mercoledì 11 dicembre 2019

L'urlo e il furore - William Faulkner

" La vita è un'ombra che cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente.
E' un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, significante niente."
Macbeth - William Shakespeare


Non sono così pazzo da recensire un'opera del genere, tranquilli.
Non sarò mai uno di quelli convinti che se un libro non gli piace subito possono immediatamente buttarlo via.
E non sarò mai uno di quelli che mette in discussione un'opera, ma mai i loro gusti e la loro conoscenza.
Non sono un tipo da una stellina.
Se lo fossi stato, avrei abbandonato questo libro dopo i difficilissimi e sconnessi primi capitoli.
E cosa mi sarei perso...

Mi sarei perso dei personaggi che ho amato e dei personaggi che ho odiato con tutto il cuore ( Jason, parlo di te).
E mi sarei perso un romanzo scritto da Dio.

La storia della famiglia Compson, la storia di ogni singolo personaggio di questa famiglia, domestici compresi ( Dilsey la cuoca "negra" è il personaggio più bello del libro ) è narrata con un'energia e un trasporto che personalmente mi ha tramortito, e che in più punti mi ha dilaniato.
Andiamo di sinossi, tratta da Ibs:

Il 1929, passato alla storia come l'anno del crollo di Wall Street che segnò l'inizio della Grande Depressione, è un anno fondamentale anche per la letteratura americana. Escono infatti "Addio alle armi" di Hemingway e "L'urlo e il furore" di Faulkner, una coincidenza che avvicina i libri, diversissimi tra loro, di due amici. Faulkner dà voce barocca a tutte le ossessioni e i fanatismi di quel Sud di cui pativa l'interminabile decadenza, incominciata con la sconfitta nella guerra civile. La mitica contea di Oxford diventa il teatro di un insanabile conflitto tra bianchi e neri, bene e male, passato e presente. Il romanzo è un complesso poema sinfonico in 4 tempi, che scandiscono le sventure di una famiglia del profondo Sud.


Leggere un libro del genere è una vittoria.
E' la vittoria della perseveranza, è la vittoria della lettura.
Sopravvivere a quel primo capitolo, così sconnesso, strutturato su più livelli, è stato faticoso e difficile, ma c'è un motivo se è stato narrato così.
E' il punto di vista ed è quello che vede l'idiota/malato di mente della famiglia, è un capitolo strutturato attraverso i pensieri e le azioni di Benjamin.
La storia trova la sua vera voce nei capitoli successivi con protagonisti gli altri fratelli e i genitori di Benjamin, tutti personaggi peculiarissimi e narrati divinamente.
E' la complessità di ognuno di loro a rendere questo libro meraviglioso.
E' il coraggio, l'urlo, il furore di narrare le gesta e i pensieri di personaggi deboli, spesso senza scrupoli, vittime di un sistema patriarcale, di amori impossibili e incestuosi, di vite che sembrano vere.
Un libro cesellato pezzo per pezzo come un mosaico, e che mostra la sua vera immagine solo alla fine.
Ed è essenza, è vita.

" Tu e io soltanto allora tra l'esacrazione e l'orrore in un cerchio di pura fiamma..."

Grazie ancora, William, ed a presto!
Perché è sicuro che ti leggerò ancora.



Alla prossima!

martedì 3 dicembre 2019

L'amico Immaginario - Stephen Chbosky

Come ben sa chi mi conosce, è raro che io sia un lettore contemporaneo, se non altro per una questione di opportunità economica, ma anche perché nei riguardi di alcuni generi, faccio fatica ad uscire dalla mia comfort zone.
L'horror è uno di questi.
Al di là di autori che conosco bene e di cui mi fido, faccio fatica a relazionarmi con le opere di altri, ed anzi nel campo orrorifico, che è un genere ormai stantio in cui si è detto di tutto ed il contrario di tutto, persino autori come Stephen King iniziano ad avere difficoltà e a ripetersi in continuazione.

La cosa strana è che questa sensazione non la provo nel cinema, forse perché l'investimento di concentrazione e tempo è molto più labile e veloce e quindi non mi disturba più di tanto.
Ma nella letteratura ho bisogno di molti più stimoli.
Questa premessa è necessaria per poter parlare di questo romanzo, perché una parte di me è partita nella lettura con un bagaglio di pregiudizi più grande di un borsone da calcio.

Il romanzo scorso di Chbosky mi era piaciuto molto.
Penso che in tanti conoscano Io Sono Infinito, un film ed anche un romanzo di formazione molto ben fatto, ma anche tanto furbo, che è salito alla ribalta qualche tempo fa.
Io lessi anche il romanzo e mi piacque molto ( ed anzi lo trovai più sincero del film, ma forse meno bello ), quindi quando ho visto tutte quelle stories su Instagram di bookstagrammer che facevano l'unboxing dell'ultimo libro di Chobsky ammetto di essermi fatto un po' vincere dalla curiosità.

C'è da dire che unboxing a parte, di recensioni finali di questo romanzo ne ho lette poche, segno che al di là del fatto di averlo ricevuto a casa, poi non tutti leggono questi romanzi.

Ma dopo tutta questa pappardella, chi ha avuto ragione tra curiosità e pregiudizio?
Non posso mentire, e per amore di onestà dico il secondo.
Andiamo di sinossi, presa in prestito da Amazon:




Mill Grove è una tranquilla e isolata cittadina della Pennsylvania: solo una strada per arrivare, solo una per andarsene. A Kate Reese sembra il luogo ideale per fuggire da un compagno violento, far perdere le proprie tracce e ricominciare una nuova vita. Lo deve al suo bambino, Christopher, che ha solo sette anni ma sa già quanto il mondo dei grandi possa far male. In quella nuova casa, tutto sembra andare a meraviglia: Christopher incontra nuovi amici, Kate trova un nuovo lavoro. Ma poi, all'improvviso, Christopher scompare. Per sei lunghissimi giorni, nessuna traccia di lui. Finché, una notte, il bambino riemerge dal bosco di Mission Street, al limitare della piccola città. È illeso, ma profondamente cambiato. Nessuno sembra accorgersene; solo sua madre sospetta qualcosa, perché Christopher, che ha sempre faticato a scuola, di punto in bianco prende ottimi voti ed è un vorace lettore. Ma nemmeno lei può immaginare tutta la verità. Christopher ora sente una voce in testa, e vede cose che agli altri sono impercettibili. Conosce i segreti del passato, inghiottiti dal bosco di Mission Street; quelli del presente, celati dietro le facciate rispettabili della città. Conosce il futuro tragico che sta per abbattersi su tutti loro. Non può parlarne a nessuno, nemmeno a sua madre, o lo prenderebbero per pazzo. Ma può e deve compiere la missione che quella voce amica gli detta: costruire una casa nel bosco, prima che arrivi Natale. Altrimenti, per sua madre, i suoi amici e l'intera città, sarà la fine. Dopo "Noi siamo infinito", Stephen Chbosky torna con un romanzo da brivido in cui il delicato passaggio dall'infanzia all'età adulta si compie attraverso una battaglia epica tra bene e male. Una storia in cui gli eroi sono coloro che non temono di abbandonarsi al potere dell'immaginazione.



Su Instagram mi espressi in maniera lapidaria:

" John Wyndham incontra Stephen King."

Partiamo dal presupposto che la trama di questo romanzo non è proprio originalissima, ed anzi al di là di un principio di narrazione che sembra uscita da un romanzo dello scrittore inglese, nel resto della narrazione è un classico horror country corale alla Stephen King.

Chbosky scrive bene e la lettura è scorrevole, questo è innegabile.
Ci sono tutti gli elementi e le situazioni figlie del genere ( lo sceriffo che si innamora subito della mamma del protagonista o la seconda che si porta in bagaglio un compagno violento ) e Mill Grove è una cittadina che viene descritta bene e così i suoi abitanti.

E' però la trama ad essere confusionaria e contorta.
Più volte mi sono arenato e devo ammettere che il colpo di scena che avrebbe dovuto farmi saltare sul divano che arriva nella seconda parte del romanzo, è per me persino contraddittorio ed attaccato con lo sputo, non mi ha convinto appieno.
Ma è una cosa mia.
Qualche centinaio di pagine in meno avrebbe forse giovato.
Fare filosofia su un romanzo d'horror action come questo ha poco senso, quindi potrei anche fermarmi qui.
Forse però parlare di solo horror action è un po' antipatico nei confronti di quest'autore che comunque ha provato a scrivere un horror ambizioso e per certi versi biblico.
Però per me romanzieri come il primo King, Clive Barker, McCammon o Dan Simmons viaggiano su altre vette.

Merita la lettura?
Trovare dei romanzi d'horror validi in questo periodo è dura, quindi sono stato in un certo senso comunque felice di essermi fatto vincere dalla curiosità, quindi lo consiglierei.
Per quel che mi riguarda, l'horror è un genere che mi appassiona più al passato, ed infatti ho ancora tanti Urania e tanti Newton da leggere, e devo ammettere che li guardo con molto più interesse.


Alla prossima!