sabato 31 dicembre 2022

Cell - Stephen King

Cell è stato tra i primi libri di King che ho comprato in prima edizione.
Per molti è stato il libro che ha certificato il declino di questo autore, ed anch'io con il tempo sono arrivato a pensare lo stesso.
Pubblicato nel 2006 segue un po' la scia di quel periodo, che vedeva gli zombie andare fortissimo soprattutto grazie al fumetto di The Walking Dead che diventò in quel periodo un vero e proprio fenomeno di costume.

Quello di King è però un omaggio diretto a Romero e Richard Matheson ( con tanto di dedica ad entrambi ), ed anche una storia allegorica sull'uso intensivo dei cellulari.
Certo, i social erano ancora al di là di venire, ma ho idea che evidentemente le persone intorno a King utilizzassero moltissimo chiamare con il telefonino.
Qui in Italia non credo fosse poi così, almeno nella mia cerchia di familiari ed amici, nel senso che si cercava di risparmiare il più possibile, e quindi andare di squilli o di SMS solo se necessario.
Conoscevo pochissime persone, tranne alcune fidanzate, che parlavano e consumavano traffico telefonico a iosa.
Ma è inutile parlare degli usi e costumi nostrani ed americani, e concentriamoci sul romanzo.
Com'è Cell, riletto dopo tanti anni?
Andiamo di sinossi e poi parliamone.

"Boston, primo ottobre. Tutto va bene. È un luminoso pomeriggio di sole, la gente passeggia nel parco, gli aerei atterrano quasi in orario. Per Clayton Riddell è il più bel giorno della sua vita. In quel preciso istante, il mondo finisce. A milioni, quelli che hanno un cellulare all'orecchio impazziscono improvvisamente, regredendo allo stadio di belve feroci. In un attimo, un misterioso impulso irradiato attraverso gli apparecchi distrugge il cervello, azzerando la mente, la personalità, migliaia di anni di evoluzione. In poche ore, la civiltà è annientata, l'homo sapiens non è mai esistito, lasciando al suo posto un branco di sanguinari subumani privi della parola. Ma questo è solo l'inizio."


Gli omaggi diretti ai due grandi autori non sono stati messi a caso, poiché la storia narrata ha una critica sociale come quella di Romero ( ma poco approfondita ) ed un modus operandi che ricorda tantissimo Io sono leggenda, ma solo dalla metà in poi.

E' uno di quei pochi libri in cui si percepisce la costruzione dello stesso in corso d'opera, e non so è una cosa positiva.
E' un po' strano da dire, poiché d'altronde tutti i suoi lettori conoscono il suo metodo di scrittura, ma in Cell è dannatamente tangibile, poiché la narrazione si evolve in maniera spesso repentina, cambiando le prospettive ed anche il linguaggio dei protagonisti.
E soprattutto è uno dei primi libri in cui il background dei protagonisti è fin troppo ermetico.
Ho idea che trattandosi di un libro che tratta di tematiche post apocalittiche che potrebbero ricordare L'ombra dello scorpione, King abbia in qualche modo cercato di evitare le lungaggini e concentrarsi più sull'azione.
Da questo punto di vista Cell è un romanzo veloce e coinvolgente.
L'azione si svolge in pochissimo tempo, e spesso, soprattutto nelle prime centinaia di pagine, si concentra in pochissimi giorni, se non in ore.

La storia è semplicissima, e vede le persone letteralmente impazzire dopo aver ricevuto una telefonata che gli trasmette un impulso che li trasforma letteralmente in bestie assetate di sangue e violenza.
La prima parte è veramente ottima, tutte le persone intorno al protagonista impazziscono, e vediamo esplosioni e scene di distruzione di massa da tutte le parti.

Il romanzo diventa una corsa alla sopravvivenza per i pochi e sparuti sopravvissuti, ovvero coloro che non avevano con sé un telefono cellulare.

La trasfigurazione degli sfortunati utilizzatori dei cellulari però non è che un primo sintomo, poiché in poco tempo si evolvono arrivando non solo a muoversi come una coscienza collettiva, ma anche ad avere dei poteri telepatici e telecinetici.
Diciamolo chiaramente, da un certo punto in avanti è bene spegnere il cervello, poiché la storia dal punto di vista narrativo non appare molto credibile.
Un nerd dodicenne diventa il cervello pensante di tutte le soluzioni della storia ( tutte azzeccate ), ed anche alcune dinamiche narrative, sono molto abbozzate ed attaccate con lo sputo, specie per quel che concerne la globalità della storia, se uno arriva a porsi domande che esulano un po' dalla geografia narrativa.

Manca anche l'empatia verso i protagonisti, non dico che non ci si affeziona a loro, specie verso i due personaggi più giovani, ma conoscendo poco della loro storia e del loro passato, non ci si sente molto attaccati a tutti loro.

L'unico a cui King concede una sorta di background è il protagonista, ed anche qui, si fa fatica a capire perché è l'unico che gli altri sono disposti a seguire.
Cioè, si suppone che anche gli altri abbiano qualche parente che possa essere ancora in vita e non trasformato, eppure loro si rassegnano subito e seguono il protagonista nella sua ricerca di ex moglie e figlio.

Cell è un romanzo che parte benissimo, ma che nella sua trasformazione in una citazione diretta di Io sono leggenda, perde moltissimo.

Infatti è molto bella la prima parte on the road in cui i protagonisti si mettono in viaggio e provano in qualche modo a trovare un metodo per dare battaglia ai cosiddetti telepazzi, mentre nel proseguo diventano quasi teleguidati da quest'ultimi, tanto che si viene a perdere quel poco di epicità e di quell'antieroismo da quasi villain che li rendeva interessanti fino a quel momento.
So che King voleva creare una sorta di ineluttabilità, ma in quel modo ha reso il finale incredibilmente stupido.

E' come se ad un certo punto non sapesse più dove andare a parare.

Mi rendo conto che è un post molto astruso, ma ho voluto evitare dei riferimenti diretti che potrebbero spoilerare molte parti della storia.

Cell è uno di quei romanzi che parte come un treno, ma che poi perde pezzi per strada.
Forse, e dico forse, King poteva semplicemente fare una storia con degli zombi, senza per forza farli diventare essere onniscienti che sembrano uscire ad un certo punto da una storia di John Wyndham.

E' veramente un peccato, perché alcune parti di questa storia sono anche molto epiche e suggestive.
Le scene di distruzione di massa, in cui gli eroi aspettano che questi esseri vadano a riposare tutti insieme negli stadi, per poi bruciarli letteralmente vivi, è piuttosto forte, ma narrativamente potentissima.
Peccato per le soluzioni narrative successive molto raffazzonate, ed in qualche caso, veramente facilone ed anche illogiche.

Insomma, con Cell godi solo a metà.
E ci è servito a capire che King al tempo non aveva una grande considerazione per tutti coloro che stavano costantemente al cellulare, che considerava a tutti gli effetti dei lobotomizzati e cerebrolesi.
Ci ha visto lungo, in un certo senso.
Soprattutto considerando che con questa storia ha mancato per un soffio la nascita di Facebook, giunta poco dopo, e che in un certo senso, come diceva Eco, ha lentamente dato voce ad una manica di imbecilli. 
C'è qualcosa di buono in Cell? Per me sì.
E' un romanzo veloce e molto coinvolgente.
All'epoca della prima lettura lo paragonavo ad un film horror di serie b mandato in onda in seconda serata.
Non è la lettura della vita, e non è il romanzo di King che consiglierei.
E' un King in formato action.
Magari vi piace.

Ed è tutto qui per questo 2022.
Un anno non proprio da incorniciare per questo blog, che a tutti gli effetti è ormai morente ed inutile.
Segno che se non sei parte attiva della bolla blogger e se non coltivi quei rapporti, diventi una goccia nel mare del web.
Vorrà dire che sarò una barca alla deriva o cibo per pesci.

Qui già sparano, e la fine si avvicina.
Buon 2023 a tutti.

Alla prossima?
Chissà. Magari no.





venerdì 2 dicembre 2022

Trilogia della città di K. - Agota Kristof

Dopo un post in cui parlavo dell'ansia di comprare e collezionare nuova roba, eccomi a parlare di uno dei miei ultimi acquisti, tanto per rendere palesi tutte le contraddizioni che albergano nella mia coscienza.
Ormai però il danno è fatto, e non perdiamoci in chiacchiere filosofiche ed ansiogene.
Non sarà facile parlare de la Trilogia della città di K.
E' un libro complicato, molto.

Senza contare che parliamo di un titolo piuttosto in voga anche adesso, e parecchio presente su Instagram e Tik Tok.
Diciamo che se siete dei fautori della bolla divulgativa sulla letteratura, la copertina ed il titolo di questo libro saranno piuttosto familiari.

Quindi sarà difficile aggiungere qualcosa di valido, che non siano mie elucubrazioni personali, che si sono formate in corso d'opera.

Perché questo è un libro parecchio complesso ed imprevedibile, che cambia più e più volte come un mutaforma anche per quel che concerne la struttura narrativa.

Andiamo di sinossi:

Storia di formazione, la Trilogia della città di K ritrae un'epoca che sembra produrre soltanto la deformazione del mondo e degli uomini, e ci costringe a interrogarci su responsabilità storiche ancora oscure.

«Una prosa di perfetta, innaturale secchezza, una prosa che ha l'andatura di una marionetta omicida» – Giorgio Manganelli

Quando Il grande quaderno apparve in Francia a metà degli anni Ottanta, fu una sorpresa. La sconosciuta autrice ungherese rivela un temperamento raro in Occidente: duro, capace di guardare alle tragedie con quieta disperazione. In un Paese occupato dalle armate straniere, due gemelli, Lucas e Klaus, scelgono due destini diversi: Lucas resta in patria, Klaus fugge nel mondo cosiddetto libero. E quando si ritroveranno, dovranno affrontare un Paese di macerie morali. Storia di formazione, la Trilogia della città di K ritrae un'epoca che sembra produrre soltanto la deformazione del mondo e degli uomini, e ci costringe a interrogarci su responsabilità storiche ancora oscure.

«Tutto ha inizio con due gemelli che una madre disperata è costretta ad affidare alla nonna, lontano da una grande città dove cadono le bombe e manca il cibo. Siamo in un paese dell'Est, ma né l'Ungheria né alcun luogo preciso vengono mai nominati. Un inizio folgorante che ci immette di colpo nel tempo atroce dell'ultima guerra raccontandolo come una metafora. La nonna è una “vecchia strega” sporca, avara e senza cuore e i due gemelli, indivisibili e intercambiabili quasi avessero un'anima sola, sono due piccoli maghi dalla prodigiosa intelligenza. Intorno a loro ruotano personaggi disegnati con pochi tratti scarni su uno sfondo di fame e di morte. Favola nera dove tutto è reso veloce ed essenziale da una scrittura limpida e asciutta che non lascia spazio alle divagazioni. Un avvenimento tira l'altro come se una mano misteriosa e ricca di sensualità li cavasse fuori dal cilindro di un prestigiatore crudele.» (Rosetta Loy)


Trilogia della città di K., lo dice anche in titolo, è una storia divisa in tre tronconi ( grazie al caxxo, direte voi :-P ): Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna.

Pur essendo abbastanza edotto sulla trama generale grazie alle tante recensioni lette ed ascoltate tramite stories, reels, e mazzi vari, sono voluto arrivare vergine alla lettura, non approfondendo in alcun modo le recensioni e non andando a spulciare in blog, siti, Anobii, ecc.ecc.

Volevo farmi la mia opinione e non farmi influenzare in nessun modo.
Quindi, se ci saranno errori di sorta, se non ho colto determinati passaggi e dinamiche narrative, sarà soltanto colpa della mia incomprensione ed ignoranza.

Quando ho aperto il libro ed ho iniziato Il grande quaderno, mi si è aperto un mondo.
Ultimamente nelle bolle sulla letteratura, si evince come la nuova generazione di lettori cerchi soprattutto i libri con i capitoli brevi.
Ecco, non comprando spesso nuovi libri, mi capita di rado di trovare delle opere asciutte ed ermetiche di questo tipo, ma ad onor del vero, avevo notato come persino King nelle sue opere, abbia di fatto reso il suo stile molto meno argomentato rispetto ad un tempo.

Il grande quaderno è così.
I capitoli sono brevissimi, e spesso occupano al massimo una, due pagine.
La cosa incredibile è che la lettura non ne risente per nulla.
In quelle poche frasi, Kristof riesce a metterci di tutto, ed a trasmetterci qualsiasi emozione e qualsiasi elemento descrittivo e scenografico, facendo un lavoro pazzesco.
Ritengo il primo capitolo della trilogia, il più riuscito, e il più scorrevole in assoluto.

Trilogia della città di K. è un po' tutto.
E' un po' racconto di formazione, un po' un libro dal sapore postmoderno, ed è un po' distopia.
C'è una guerra in corso, ma ne sentiremo solo gli echi e gli effetti, sentiremo il rumore delle bombe, la vita d'accatto, i nascondigli, la frontiera, mi è sembrato quasi di ritrovarmi a riscorrere le pagine de La storia di Elsa Morante.
Solo che qui non siamo a Roma, ma in un luogo imprecisato, in una nazione imprecisata, e con due protagonisti di cui in questa prima parte non sapremo nemmeno il nome.

Due bambini intelligentissimi che si ritrovano a crescere in un ambiente ostile, e con una nonna che vive allo stato brado e li tollera, più che amarli ed accudirli, tanto da chiamarli " figli di cagna. "
Nonostante la prosa ermetica, questo primo capitolo è rappresentato soprattutto da una cruda ed aspra vita sociale che non risparmia nulla al lettore, anche per ciò che concerne la sessualità.
Diciamo tranquillamente che è un libro per stomaci forti, e che soprattutto ha una trama imprevedibilissima e parecchio estrema.
Non voglio usare paroloni, ma Il grande quaderno, per me è stata una lettura totale.

Con La prova e La terza menzogna, il libro diventa più canonico per quel che concerne la struttura narrativa, ma la trama diventa molto più ingarbugliata e meno lineare.
Queste due parti di questa trilogia mi sono sembrate quelle meno comprensibili, e meno immediate.
Mi hanno ricordato molto le dinamiche di romanzi come L'urlo e il furore di Faulkner, L'altro di Thomas Tryon, e Trilogia di New York e 4321 di Paul Auster.
La storia scorre a bivi, ed ad un certo punto, molti di questi percorsi ed alcune dinamiche di questi due fratelli non si sa più se sono reali o solo parti narrate in una storia dentro un quaderno.

La prova e la terza menzogna sono quasi una sfida al lettore, il terzo in particolare, ed io stesso non mi sono raccapezzato in più punti, perdendo di vista ciò che era reale da ciò che non lo era.
E' un libro che andrebbe letto con molta attenzione e costanza, insomma se siete tipi come me che leggono quaranta o cinquanta pagine al giorno potreste trovare difficoltà con un libro dalla struttura simile.

Lo consiglio? Certamente sì.
Probabilmente non è il capolavoro che mi aspettavo di leggere, poiché seconda e terza parte mi sono piaciute di meno, ma va detto che è un libro molto impegnativo e che non è adatto a tutti, quindi io potrei tranquillamente essere parte di quest'ultimi, ma è una di quelle storie che sono stato contento di leggere.
In più le tematiche sono estremamente attuali se pensiamo a quello che sta succedendo in Ucraina, ed è incredibile quanta ansia mi ha trasmesso l'idea che qualcuno un giorno decida in maniera arbitraria di cambiare la tua cultura, la tua lingua, la tua terra, la tua bandiera, ed i tuoi ideali.
K. potrebbe essere qualsiasi città, anche la nostra.

Per quel che concerne l'edizione, il libro è un'edizione economica dell'Einaudi che ho pagato 13 Euro e che conta circa 370 pagine.
Non è nemmeno costosissimo, pensando a quello che si sta per leggere.
Parliamo di un classico contemporaneo che merita tutto il successo che ha avuto.
In un futuro relativamente breve, magari nella cornice del Natale, vorrei tornare nuovamente al classico contemporaneo.
Ora però è tempo di andare via, ed è tempo di tornare dal mio amato Stephen King, per cercare qualcosa di buono in uno dei suoi libri universalmente riconosciuto tra i suoi più brutti.


Alla prossima!









martedì 22 novembre 2022

La chiusura letterale, esistenziale e metaforica di un cerchio fumettistico

Questo post esula un po' dalla direzione naturale che aveva intrapreso questo blog negli ultimi anni, ma in qualche modo rappresenta la prosecuzione di due miei vecchi post: Svendersi e Le nostre eredità librarie.

Diciamo quindi che in qualche modo rappresenta la chiusura di un cerchio o di una trilogia, fate vobis.

Mettiamola giù dura e in maniera netta, quest'estate durante dei lavori di ristrutturazione nella camera mia e di mio fratello, ho deciso di donare quasi tutti i fumetti Marvel che mi erano rimasti, ad eccezione degli X-Men, dei manga, di alcuni speciali, e qualche opera sparsa che ho comprato negli ultimi anni.

Ho fatto un annuncio sul marketplace di Facebook ed ho deciso di donare un gran numero di fumetti Marvel, che sicuramente superavano le trecento unità o anche più.

Non me lo aspettavo, ma mi hanno contattato un considerevole numero di persone, segno che la gran mole di uscite televisive e cinematografiche targate Marvel, ha reso di fatto i supereroi un fenomeno pop.

C'era chi mi scriveva dalla Sicilia, offrendosi di pagare la spedizione, e chi era disposto a pagarmi.

Io ho scelto di regalarli, a patto che venissero a prenderseli fino a casa mia.

Alla fine i fumetti sono andati ad un ragazzino, che è venuto a ritirarseli con il padre, dopo che la madre mi aveva contattato su Messenger asserendo che suo figlio è un grande fan della Marvel, e che ne sarebbe stato entusiasta.

A dirla tutta non mi è sembrato, di fatto mi è parso un po' torvo, ma magari era solo timidezza, chi può dirlo, ma sono stato contento di averglieli donati, poiché io non riuscivo a guardare quei fumetti con quell'amore e quell'entusiasmo di un tempo.

Ed anzi, li vedevo come un peso.

In termini di spazio, ma anche di tara mentale e di salute.

Per me che soffro saltuariamente di asma, mi era stato consigliato di dormire in una camera quanto più asettica possibile, e quella di prima non lo era, dato che era piena di libri e fumetti.

Un altro stilema mentale era che guardare quelle librerie stipate fino all'inverosimile di fumetti, che ormai non toccavo e leggevo più, mi procurava una certa ansia e tristezza, che denotava quanto io sia cambiato ed invecchiato nel frattempo.

Ed in più mi ricordavano dei bei tempi, che poi diventarono brutti.

Il che ci riporta un po' al primo post di questo ciclo, quello in cui ho dovuto vendere buona parte dei fumetti per ristrettezze improvvise economiche.

Fu un periodo terribile in cui avevo paura di non riuscire nemmeno ad avere i soldi per fare la spesa o pagare la luce.

Quella volta cento fumetti o giù di lì mi fruttavano 20 Euro, una sorta di elemosina che mi elargiva un librario che conoscevo, questa volta è stata una mia scelta personale e gratuita, direi che sia stato un significativo balzo in avanti in positivo.

Ora mi domando cosa sarà dei miei libri o di quegli albi che mi sono rimasti.

Mi sono accorto con il tempo di quanto un po' tutti quanti vivano con una certa ansia la mancanza di spazio o il riempimento dello stesso.

Da adolescente me ne fregavo e non ci pensavo affatto, mentre da adulto ogni acquisto è quasi un mattoncino d'ansia che accresce un'eredità inutile.

E questo ci riporta al post sulle eredità librarie, ed ad un fatto che ho vissuto tempo addietro.

Non molto tempo fa assistetti alla fine dell'esistenza di un parente, e già pochi secondi dopo la dipartita si discuteva del fatto di cosa farne di tutti i mobili, vestiti, e di oggetti di una vita intera.

Una vita che è praticamente finita dentro un furgoncino pochi giorni dopo.

So che sono solo oggetti, ma a volte mi domando il senso di comprare e collezionare cose che un giorno magari verranno gettate via nella pattumiera più vicina o saranno vendute a costo quasi zero ad un rigattiere.

Ed è incredibile come questa cosa mi tormenti dopo qualsiasi acquisto librario o fumettistico.

Forse è anche questo che mi ha portato a quella scelta, anche un po' autolesionistica, di donare tutti quei fumetti, e chissà, magari farò lo stesso con i miei libri, un giorno, ed anche con quei pochi albi Marvel, Vertigo, e chissà cos'altro che mi sono rimasti.

Forse è qui che si annida la scelta di affidare quegli albi ad un affiliato della nuova generazione di lettori, però mi ha colpito in negativo quella tranquillità, quella mancanza di gioia ed entusiasmo, davanti a qualcuno che in un certo senso gli ha donato parte della sua esistenza.

Avrò scelto la persona sbagliata? Chissà.


Alla prossima!




venerdì 4 novembre 2022

Koko - Peter Straub

 

Koko, da quel che ho capito girovagando per la rete, doveva essere il primo di una trilogia, denominata de La rosa blu, di cui purtroppo non vedremo più la fine, visto che il terzo volume non è mai uscito*, e con la morte dell'autore, è morta anche questa trilogia, insieme a quella a quattro mani con Stephen King de Il Talismano e La casa del buio, che a questo punto resteranno tronche per sempre.

Sicuramente almeno il secondo volume, Mistery, lo recupererò, appena potrò, anche perché sia Koko che quest'ultimo sono stati ristampati recentemente da Fanucci.

A dirla tutta l'edizione di Koko che ho io, è una di quelle dell'edizione Club che circolavano negli anni '90 e che ho trovato a pochissimo su Ebay.

Koko è molto diverso dagli altri romanzi di Straub, il che mi ha fatto riflettere molto.

Ho idea che sia con questo e con i suoi due romanzi successivi, Mistery e Mr. X, che quest'autore sia finito nel dimenticatoio.

Leggendo le trame di questi altri due romanzi, appare evidente come in un certo senso Straub si sia sempre più allontanato dall'horror per elaborare trame molto più complesse, drammatiche e mature, che sfociano soprattutto nel thriller, come è il caso di Koko.

Parliamone dopo la sinossi:

"Solo quattro uomini sanno chi è Koko. E devono fermarlo. Sono trascorsi ormai molti anni dalla fine della guerra in Vietnam quando quattro reduci appartenenti allo stesso plotone si ritrovano a Washington: un pediatra, un semplice operaio, un avvocato e uno scrittore. Non hanno nulla in comune. Il motivo del loro incontro è legato al passato, a un unico traumatico episodio, improvvisamente rievocato da un agghiacciante fatto di cronaca. A Singapore si sta verificando un'efferata catena di inspiegabili delitti firmati da un misterioso killer che lascia su ogni vittima, orribilmente sfigurata, una carta da gioco sulla quale è scarabocchiato il nome "Koko". Solo loro ne conoscono il significato e sanno che non hanno tempo da perdere. Dai cimiteri e bordelli dell'Estremo Oriente alla giungla umana di New York, daranno la caccia a qualcuno che è risorto dall'oscurità per uccidere, uccidere e uccidere ancora."

Lo dico subito, Koko mi è piaciuto molto, ma allo stesso tempo è un libro molto asettico ed è difficile empatizzare con i personaggi che lo compongono.

Non solo perché sono un cast di persone che hanno vissuto e combattuto la guerra in Vietnam portandosi dietro un bagaglio di ricordi dolorosi e drammatici, ma anche perché i postumi psicologici se li portano dietro anche dopo vent'anni.

La trama, come si evince anche dalla sinossi, è molto semplice: quattro ex commilitoni vengono a conoscenza che esiste in giro un assassino che ammazza le vittime utilizzando dei metodi che uno della loro squadriglia si inventava nelle sue storie, quindi ipotizzano subito che è per forza uno di loro, e partono alla ricerca di colui che ha inventato la storia, e che ritengono essere l'assassino o comunque uno dei sospettati.

Straub fa un gran bel lavoro con i personaggi, e soprattutto i fatti del passato in Vietnam e i capitoli dedicati alla figura di Koko, sono tra i più belli del romanzo.

In più Straub è sempre bravissimo nella scrittura, ed il punto di vista di Koko è veramente scritto da Dio, quasi in maniera onirica, per certi versi, entriamo in una mente paranoica che ha una visione della realtà e dell'esistenza tutta sua.

Essendo un thriller è molto importante l'intreccio.

E' bene essere chiari, non è molto difficile ipotizzare l'assassino, non dico che ci si arriva facilmente, ma comunque la cerchia è così ristretta che l'identità attraverserà i pensieri di qualsiasi lettore.

E' un difetto? Non lo so, però di sicuro siamo lontani da autori che sorprendono di più a livello di trama come un Dennis Lehane, per dire.

A parte la soluzione del mistero, devo dire che invece il finale, pur se un po' anticlimatico, è parecchio incisivo e funzionale e mi è garbato molto.

Un' altra cosa che mi ha lasciato perplesso è un capitolo in particolare, quello in cui tre dei quattro protagonisti partono alla ricerca di Underhill colui che pensano possa essere l'assassino, visto che è proprio l'autore di quella storia che Koko sta facendo diventare realtà.

Ebbene, passi per colui che non parte e resta a casa per esigenze di narrazione, e che quindi non è impossibile dedurne il destino, nel viaggio delle altre tre persone, Straub non ci parla minimamente di uno di loro.

Ora, capisco che si parla del personaggio più problematico del gruppo,  probabilmente stava sulle palle all'autore stesso, però è strano che Straub lo abbia saltato così a piè pari, mentre per gli altrui due ci racconta per filo e per segno tutto il viaggio, per altro in alcuni dei migliori capitoli del romanzo.

Una scelta che narrativamente parlando non capisco.

Lo mandi a Taipei? Beh, raccontaci qualcosa, e no, non bastano quelle quattro parole in croce nel viaggio di ritorno.

Insomma, probabilmente Koko è un thriller convenzionale, ma i temi della storia e come vengono trattati sono parecchio incisivi.

Straub ci dà la sua personale visione della guerra in Vietnam e delle sue conseguenze sulla psiche dei protagonisti, e lo fa bene, e soprattutto ci racconta il dramma in un paio di capitoli ambientati proprio lì che sono veramente forti e crudi.

In più ci descrive alcuni sottoboschi di alcune città come Singapore e Bangkok davvero molto fetidi e malsani, in alcune pagine on the road davvero ispiratissime.

Koko è probabilmente l'opera più coesa e matura di Peter Straub.

Non ha raggiunto la fama e la popolarità di Ghost story, ma resta un bel romanzo, che forse paga delle soluzioni narrative un po' telefonate, ma che allo stesso tempo offre al lettore molti capitoli bellissimi.

Io lo consiglio senza riserve.


*Come mi è stato segnalato nei commenti, in verità il terzo e conclusivo libro della trilogia dal titolo The Throat è uscito in patria nel 1993, e dovrebbe a breve uscire per Fanucci.

Alla prossima!(?)

mercoledì 5 ottobre 2022

Fairy Tale - Stephen King

Il retro copertina si rivela ben più che profetico, e ti sbatte in faccia la cruda realtà: Fairy tale è una lettura per ragazzi, un classicissimo YA.
E' un bene o un male? Non lo so, ma nel parlarne è giusto tenerne conto.
Sono sicuro che qualche lettore del Re si aspettasse qualcosa di diverso.
Ci speravo anch'io, in effetti.
Quella copertina così bella ed evocativa, che lasciava immaginare un viaggio on the road di stampo fantasy dal contesto molto alchemico, inganna un po' il lettore, soprattutto quello che si aspettava una lettura che citasse a chiare lettere l'opus magnum di  King, ovvero La Torre Nera.
Qualche accenno c'è, ma troppo poco, troppo poco.

Superata questa piccola delusione, Fairy Tale si rivela essere una fiaba dark molto citazionista, che nella sua parte più fantasy ricorda parecchio un serial televisivo tipo C'era una volta, e sembra quasi una sceneggiatura già servita in tavola per qualche futura serie tv o trasposizione cinematografica.

I titoli dei capitoli descrivono in toto cosa accadrà togliendo del pathos alla narrazione, ed alleggerendola alquanto, ed è un po' un bieco tentativo di dare pepe ai capitoli cercando di trasmettere curiosità nel proseguo.
Personalmente è una scelta che trovo alquanto discutibile, e che in qualche modo sottovaluta il lettore, anche un giovanissimo.
Il romanzo è condito da alcune illustrazioni molto carine.
Andiamo un attimo di sinossi e parliamone meglio:

Charlie Reade è un diciassettenne come tanti, discreto a scuola, ottimo nel baseball e nel football. Ma si porta dentro un peso troppo grande per la sua età. Sua madre è morta in un incidente stradale quando lui aveva sette anni e suo padre, per il dolore, ha ceduto all'alcol. Da allora, Charlie ha dovuto imparare a badare a entrambi. Un giorno, si imbatte in un vecchio – Howard Bowditch – che vive recluso con il suo cane Radar in una grande casa in cima a una collina, nota nel vicinato come «la Casa di Psycho». C'è un capanno nel cortile sul retro, sempre chiuso a chiave, da cui provengono strani rumori. Charlie soccorre Howard dopo un infortunio, conquistandosi la sua fiducia, e si prende cura di Radar, che diventa il suo migliore amico. Finché, in punto di morte, il signor Bowditch lascia a Charlie una cassetta dove ha registrato una storia incredibile, un segreto che ha tenuto nascosto tutta la vita: dentro il capanno sul retro si cela la porta d'accesso a un altro mondo. Una realtà parallela dove Bene e Male combattono una battaglia da cui dipendono le sorti del nostro stesso mondo. Una lotta epica che finirà per vedere coinvolti Charlie e Radar, loro malgrado, nel ruolo di eroi. Dal genio di Stephen King, una nuova avventura straordinaria e agghiacciante, una corsa a perdifiato nel territorio sconfinato della sua immaginazione.

Io sono un uomo di mezza età, e probabilmente non la persona indicata per parlare di un libro simile.
Probabilmente quest'opera è adattissima per un lettore giovanissimo, che si sta approcciando al mondo letterario, ed anche un ingresso leggero alla narrativa del Re.

Quello che posso fare io è mettere questo testo in parallelo ad altre opere dello stesso tenore già pubblicate da King, tipo Il talismano o Gli occhi del drago.

Beh, Il talismano è molto meglio, soprattutto nella parte ambientata nel reale, mentre con Gli occhi del drago un po' di gara c'è, se non altro per quel che concerne il percorso narrativo, che benché molto citazionista e derivativo, è comunque molto meno circoscritto di quello de Gli occhi del drago, sebbene è giusto dire che a livello di trama, Gli occhi del drago sia quantomeno meno prevedibile, finale a parte che in entrambi i casi indirizza il lettore verso un percorso netto e orizzontale, come è normale che sia in un'opera fiabesca di questo tipo.

Parlare della trama non so quanto può aver senso in un libro di questo tipo, la parte ambientata nel mondo reale è coesa e coerente, Charlie è un personaggio a cui King si sforza di dare un minimo di sfumatura per non farlo apparire troppo perfetto, e le motivazioni che lo spingono verso l'avventura sono un po' aleatorie, ma accettabili.

Carino il rapporto che lo lega al padre, e il rapporto che costruisce con il misterioso, burbero e schivo Bowdicht e il suo cane Radar.

In generale carino è l'aggettivo più indicato per definire questo libro.

La parte fantasy è molto più convenzionale ed il percorso on the road alla scoperta di un nuovo mondo ricorda molto Oz, Alice, ed altre opere dai contesti simili.
Ci troviamo nel più classico dei percorsi dell'eroe con tanto di principessa da salvare o comunque aiutare.

Carine anche le citazioni ad opere come Il popolo dell'autunno di Bradbury ed alla narrativa lovecraftiana con tanto di architetture non euclidee o mostruosità che ricordano Cthulhu.

La mia parte preferita è quella della prigione, in cui King ci catapulta in una battle royale che tanto ricorda l'omonimo film, Hunger games o altri prodotti similari.

In definitiva direi che Fairy tale sia un buon libro, ma che aggiunge poco o nulla al genere.
Vale il prezzo a cui viene venduto?
La storia è un po' banalotta, ma ha delle illustrazioni carine, ed una bellissima copertina.
Va preso per quello che è, ovvero una fiaba dark per ragazzi.
C'è chi obietterà che non se ne sentiva il bisogno e che King si è ammorbidito, probabilmente è vero, ma nessuno può vietare a King di cercare di raggiungere nuovo pubblico e nuovi palcoscenici.

Mi inserisco tra coloro che si aspettavano un'opera più adulta, ma non sarò tra coloro che boccia un libro solo perché non appartiene al target di riferimento.
D'altronde già la quarta di copertina è abbastanza esplicativa.
Certo, per quel che concerne il genere, ho preferito altre opere di King, ed anche altre di alcuni altri romanzieri del genere, tipo Neil Gaiman, ma non mi sento di sconsigliare questo libro, se si è consapevoli a cosa si va incontro.

Ho avuto due soli problemi con questo libro: Il primo è relativo al percorso di Charlie ed alla sua trasformazione in un principe delle fiabe con tanto di capelli ed occhi che cambiano colore.
E' una forzatura talmente enorme che credo nasconda un sottotesto, magari una presa in giro di qualche tipo che non ho colto.

La seconda è figlia del genere fiabesco, ovvero che è talmente orizzontale, che ad un certo punto diventa anche superflua la lettura per quanto è prevedibile il narrato, tanto che le ultime cento/centoventi pagine le ho lette un po' a fatica.

Per chiudere questo post e non farlo sembrare chilometrico, Fary tale è un'avventura in chiave moderna che ricalca stilemi narrativi già conosciuti, ma approcciati dalla fervida immaginazione di Stephen King.
C'è qualche brividino qua e là, tipo la scena con i topi, o gli scarafaggi giganti dei capitoli iniziali o la battle royale nella prigione, ma in generale è un romanzo adatto a tutti.

Probabilmente lo dimenticherò presto come accaduto con gli altri ultimi romanzi di Steve, ma se avessi avuto quindici, ma anche vent'anni, probabilmente questo libro mi sarebbe piaciuto di più.

Non è un brutto libro, ma non è nemmeno il ritorno tanto atteso alle atmosfere che tutti i vecchi appassionati faticano a ritrovare nelle opere del Re.
Forse e dico forse, perché King non parla più a noi, perché in fondo ci tiene già in pugno, puntando alla nuova generazione di lettori.

Alla prossima!







giovedì 29 settembre 2022

Julia - Peter Straub

Di solito non sono uno che partecipa alle manifestazioni social da cordoglio quando muore un vip di qualsiasi tipo, però sono rimasto alquanto stranito dal fatto che Peter Straub sia deceduto proprio nel periodo in cui io stavo leggendo un suo libro.

Ovviamente quando si tratta di un artista, mi dispiace sempre e comunque, anche perché la scrittura è un mestiere senza età, e Straub, tutto sommato, poteva avere ancora un bel po' di anni davanti.

Mi consola il fatto che io ancora abbia delle sue opere da leggere, ed anche il mese di ottobre, mi vedrà impegnato con un altro suo romanzo, Koko.

Torniamo all'oggetto del post, ovvero Julia.

Cosa dire: L'edizione è quella classica della Fabbri che ormai ho imparato  a conoscere bene.

L'ho pescata su Ebay a poco più di 5 Euro, ed è un'edizione del 1994.

Come molte delle opere passate di Straub, credo che sia nel limbo dei fuori catalogo, ma ad onor del vero, circola parecchio nel circuito dell'usato.

Il prezzo oscilla molto, ma prima o poi, delle copie a buon prezzo saltano sempre fuori.

Com'è Julia?

Andrei volentieri di sinossi, ma in italiano non ne ho trovata alcuna.

Facciamo senza, e proverò ad infarinarne una di mio, parlando un po' di più della storia.

Julia è innanzitutto un buon ingresso alla narrativa di Straub.

E' un romanzo molto più corto degli altri, in quanto conta circa 245 pagine, è stato scritto prima di Ghost Story e Il drago del male, ed è molto meno complesso ed ambizioso in termini di trama.

Semmai è solo molto più contorto, e si basa unicamente sugli stati d'animo dei personaggi, che cambiano psicologicamente più e più volte in corso d'opera.

Non manca ovviamente il soprannaturale.

Se dovessi trovare delle similitudini con altri romanzieri, mi vengono in mente Shirley Jackson ed Henry James in particolare, e soprattutto Ramsey Campbell, soprattutto per la natura molto ondivaga e straniante dei personaggi principali.

Julia è un po' un dramma familiare che si interseca con la più classica delle storie di fantasmi.

E' sorretto praticamente da quattro personaggi, ed i due principali sono una coppia di nome Julia e Magnus, più il fratello e la sorella di lui, che avranno un ruolo determinante nonché molto subdolo nella storia.

Julia e Magnus si separano dopo un lutto familiare.

La loro figlia, una bambina, muore soffocata a tavola, davanti ad entrambi i genitori, che nel tentativo di salvarla le praticano una tracheotomia.

Questa scena non ci viene raccontata esplicitamente, così come non ci viene raccontato chi sia dei due a praticare questa mossa disperata, ma resterà nell'aria per tutto il romanzo attraverso simbolismi vari, tra cui uno molto significativo che racchiude la scena più bella e potente del libro.

Julia per la disperazione lascia la casa ed il marito e si trasferisce altrove.

Magnus uomo forte, un po' passivo/aggressivo non si rassegna alla fine del suo matrimonio e segue la moglie pedinandola e stalkerandola, praticamente.

In più Julia va a vivere in una casa in cui accadono delle strane cose, e fa la conoscenza di una bambina, che tanto gli ricorda sua figlia, ma che si comporta in modo strano, poco consono per la sua età, e che sembra evitata dagli altri bambini.

Come dicevo all'inizio l'horror si mischia al dramma familiare.

I quattro personaggi principali sono piuttosto contorti, ed al di là dell'eleganza dello scritto, e dei bei dialoghi, non sempre si comportano in maniera coerente.

Certo, Straub ci gioca con questa cosa e li mette al servizio della storia, ma per tutta la durata della storia, non sapremo se ci sono o ci fanno.

E' bravo l'autore a farci dubitare di tutto e di tutti, anche della sanità mentale di Julia, in più punti, ed anche i rapporti tra i personaggi sono piuttosto complessi e morbosi, anche tra fratello e sorella, per dire.

Horror e dramma familiare non si sempre si intersecano benissimo, ed a volte si ha l'impressione che i personaggi cambino fin troppo spesso in corso d'opera.

Non lo so, non mi ci sono raccapezzato moltissimo con questi personaggi, che sì, sono interessanti per le numerose sfaccettature, per gli intrighi ed i segreti che nascondono, ma che davvero si comportano in maniera troppo contorta.

E' un romanzo in cui è molto forte l'intreccio, forse troppo.

Mentre la parte horror è molto più sottile ed intrigante, e la bambina protagonista, è veramente inquietante.

In sostanza è un buon horror, con delle atmosfere gotiche non originalissime, ma comunque molto impattanti, ma che allo stesso tempo ha dei personaggi un po' troppo esacerbati, cioè, per qualcuno di loro possiamo mettere in dubbio che siano sotto l'influsso della possessione e del male, e Straub con questo ci va a nozze per tutto il libro, però sono troppo in balia della storia, secondo me.

Basta vedere lo stesso Magnus: a volte sembra un incel, a volte sembra sinceramente preoccupato per la moglie,  però poi fa il pazzo geloso entrando in casa di nascosto o picchiando i vicini, a volte sembra ancora sinceramente innamorato, e uno, due capitoli dopo, vorrebbe internare la moglie ed intestarsi tutti i beni.

E non è solo lui, ma tutti i personaggi sono così.

E' un romanzo di una incoerenza collettiva.

Comunque, secondo me, merita, soprattutto per la parte horror, e per quell'inquietante bambina, che un po' ne ricorda un'altra che apparirà nel romanzo successivo di Straub, ovvero Ghost Story.

Personalmente ritengo Straub uno scrittore che meriterebbe molto più successo, e mi auguro che prima o poi Julia venga ristampato.

Perché al di là dei personaggi un po' troppo sopra le righe, è comunque una bella storia, che lascia anche più di un brivido.

Il primo incontro di Julia al parco giochi con la bambina, vale da solo l'intero romanzo.


Alla prossima!


lunedì 19 settembre 2022

Un agosto in compagnia di Fëdor Dostoevskij - Il giocatore 3/3

Nel primo post inerente questi tre libri di Dostoevskij mi sono sbilanciato affermando che Il giocatore, è il romanzo che più ho preferito tra i tre.

In realtà è un'affermazione che andrebbe contestualizzata.

E' palese che Delitto e castigo sia un romanzo molto più complesso ed ambizioso de Il giocatore, e che quest'ultimo abbia una natura molto più affettata, ed in qualche modo persino più leggera, anche se vengono affrontate dipendenze importanti come la ludopatia.

Ne Il giocatore spiccano due cose più di altre: una è presente in maniera massiccia anche nelle due opere precedenti, ed è quella dell' importanza sociale attraverso lo status economico, e l'altra, che questo romanzo ci regala un personaggio femminile molto più forte ed emancipato rispetto alle altre componenti femminili degli altri due romanzi.

Polina è una figura molto più indipendente, e pur essendo legata alle medesime regole sociali del periodo, non subisce passivamente le scelte familiari e le decisioni altrui.

Leggendo la prefazione si evince che Il giocatore è stato scritto in fretta e furia, perché Dosto si trovava proprio a ridosso di alcune scadenze editoriali ed aveva anche accumulato parecchi debiti di gioco.

Viene fatto presente che è pieno di refusi soprattutto climatici, ma anche per ciò che concerne alcuni titoli nobiliari che cambiano in corso d'opera.

Se nel primo caso non ci ho fatto minimamente caso, il passaggio da conte a marchese di un personaggio è troppo evidente per non essere notato da qualsiasi lettore.

Pur essendo un romanzo di poco più di cento pagine, anche qui troviamo dei personaggi legati da rapporti complessi, soprattutto di natura economica.

Il miglioramento del proprio status sociale ed economico, si interseca con quello del gioco e dei sentimenti veri o presunti, e piuttosto ambigui, che lega tutti i personaggi del libro tra loro.

Le pagine relative alla roulette sono piuttosto incalzanti, probabilmente le migliori del romanzo.

In più vi è dentro una natura molto tragicomica, alcuni personaggi in particolare, soprattutto la nonna, che tutti vogliono che schiatti per questioni d'eredità, arriva, prende le redini della storia, ed in alcune pagine veramente belle, si gioca alla roulette tutto quanto, mettendo in gioco in maniera conscia od inconscia ( il dubbio che lo faccia apposta Dosto ce lo lascia ) il destino presente e futuro di tutti gli altri personaggi.

Protagonista principale dell'opera è Aleksej Ivànovic, personaggio che dovrebbe occuparsi dei figli di un generale, ma che alla fine si ritrova coinvolto in una vera e propria sciarada familiare, con legami complessi ed ambigui, a cui non sfugge egli stesso, poiché innamorato perdutamente di una componente della stessa.

Legame che si interseca con il gioco, e che vede in quest'ultimo il mezzo per ottenerlo.

Scritto prendendo ispirazione dalle proprie dipendenze personali nei confronti del gioco, Il giocatore resta un testo quanto mai attuale.

Un testo che parla di ludopatia, e di tutti coloro che cercano un miglioramento economico, magari affondando ancora di più, in un mazzo di carte, una roulette, un gratta e vinci, o in una scommessa sportiva.



Alla prossima!


lunedì 5 settembre 2022

Un agosto in compagnia di Fëdor Dostoevskij - Delitto e castigo 2/3

Fin da subito è intuibile come Delitto e castigo sia il piatto forte del volume.
E' l'unico vero romanzo della raccolta, in quanto gli altri due scritti sono più associabili alla novella ed al racconto, e conta quasi quattrocento pagine di narrato.
In realtà, anche qui ci troviamo davanti un romanzo sorretto dai personaggi, e molto meno dalla trama, che a conti fatti, è piuttosto esile.

Un ragazzo progetta e realizza un assassinio ai danni di un'usuraria che ha un banco dei pegni, finisce con l'uccidere anche una giovane innocente, e tutto ciò gli innesca un delirio di stampo morale, anche dal punto di vista fisico.

Il lavoro che Dosto fa con il giovane protagonista Raskol'nikov è incredibile, tanto che il lettore non tarderà ad arrivare letteralmente ad empatizzare con un assassino.
Cioè, con me non tanto, nel senso che fin dal principio ho tifato per la giustizia, anche la più ferrea, ma il percorso psicologico e motivazionale del protagonista è piuttosto complesso, ma coerente.
Ed in più in corso d'opera vedremo lo stesso impegnato in molteplici atti di bontà, soprattutto nei confronti della sua famiglia ed anche di una giovane ragazza rimasta orfana di padre, per cui il giovane ha cura fin dagli inizi.
Insomma ci troviamo davanti un protagonista complesso, sfaccettato, capace di un assassinio premeditato per migliorare la propria condizione economica, ma anche di un essere umano capace di amare incondizionatamente ed in maniera parossistica il prossimo.

Incredibile anche il lavoro che Dosto fa con gli altri personaggi in corso d'opera.
La sorella e la madre, disposti totalmente al sacrificio ed alla comprensione, ma anche il suo migliore amico, e persino chi dovrebbe indagare sul delitto, ebbene, tutti questi personaggi, in qualche modo si legano caratterialmente ed in maniera morbosa al protagonista.
E' un libro pieno di bellissimi scambi verbali, talvolta subdoli, dove si intuisce, ma si vive nel non detto, in una vero e proprio turbine di schermaglie psicologiche.

Fin da subito Raskol'nikov è inseribile tra i sospettati, ma si mantiene nel vago e nell'incertezza, a parte nel delirio fisico iniziale.

Insomma, un vero e proprio romanzo di non detto e sottintesi, quasi un noir psicologico, in una Russia poverissima, fatta anche di personaggi senza scrupoli, che in questo romanzo sono coloro che hanno i soldi, basta vedere il modo in cui Dosto delinea i due personaggi aristocratici che sono interessati alla sorella del protagonista.

E' come se ci fosse un vero e proprio ribaltamento dei ruoli, poiché non a chiare lettere, ma sembra per l'autore quasi più giustificabile l'assassinio di due donne che impalmare una poveretta con l'ausilio dell'arroganza e della grana.

In tutto questo l'unica cosa che veramente a me ha dato fastidio di quest'opera, è che la morte della giovane ed innocente Lizaveta, passa quasi in sordina, ed in secondo piano per tutta la durata del libro.

Ok, i deliri morali del giovane protagonista ( che ad onor del vero, si rammarica più dell'essere tra l'elenco dei sospettati che dell'assassinio in sé), ma qualsiasi motivazione, anche la più forte, non trova nessun fondamento e nessuna giustificazione in un assasssinio del genere.

Consigliato a chi ama i romanzi drammatici dai forti toni psicologici, e soprattutto a chi ama i dialoghi e le schermaglie verbali tra più personaggi, in cui si va quasi nel teatrale.

Per quel che riguarda me, mi ha lasciato con l'amaro in bocca e anche con una sensazione di rabbia, perché a me il ( bel ) percorso narrativo del protagonista, non basta.
Va bene il perdono, ma...
E' chiaro che dietro un romanzo del genere ci sia una allegoria sociale, quindi il romanzo non va pesato per ciò che concerne la coerenza narrativa, ma sono convinto che dopo una lettura del genere, ci siano riflessioni molteplici di stampo personale.
Un romanzo che riesce in questo, è un gran romanzo.
Sicuramente non è nelle mie corde, sicuramente mi ha fatto incazzare, e sicuramente non lo rileggerei, ma sono stato comunque contento di averlo letto.



Alla prossima!




domenica 28 agosto 2022

Un agosto in compagnia di Fëdor Dostoejvskij - Le notti bianche 1/3

Sul finir di un luglio incandescente mi ritrovai nella solita bancarella di libri usati sul lungomare con la speranza di trovare qualcosa di interessante.

Sono tornato a casa in un lago di sudore e con due libri in saccoccia.

Il primo non merita un post sul blog perché è legato più alla mia voglia personale di conoscere i posti in cui sono vissuto con l'occhio, la penna e i quadri di un autore del passato, e quindi non credo possa essere oggetto di interesse.

Il secondo è stato ben più irto, scosceso ed impegnativo, quanto può esserlo un trekking letterario con più dislivelli.

Era un po' che ero incuriosito dalle opere di questo autore, che sempre più spesso sentivo venire celebrato nelle bolle social che seguo che parlano di letteratura.

Sicuramente mi è capitata sottomano un'edizione molto fitta ed economica, e tutto ciò ritengo possa aver influito sulla difficoltà di lettura che ho avuto.

Praticamente venti pagine di Dostoejvskij mi pesano più di quaranta/cinquanta di qualsiasi autore odierno.

Non siamo ai livelli di Hugo, ma ci andiamo vicini.

Beh, che dire, al netto della prolissità di fondo, ho letto sicuramente tre buone storie, che pur non essendo totalmente nelle mie corde, alla fine mi hanno convinto.

E' anche normale che sia così, di certo non posso avere la presunzione di stroncare un autore storicamente riconosciuto come uno dei più bravi in assoluto.

Comunque, parliamo un attimo del libro in sé.

E' una vecchia edizione tascabile della Newton denominata Tris del 1997, che propone tre libri di un autore in un unico volume.

Insomma, un ottimo modo per approcciare un autore di cui conoscevo a malapena i titoli dei libri e qualche infarinatura delle trame.

I libri proposti in questa edizione erano: Le notti bianche, Delitto e castigo e Il giocatore.

E' chiaro che Delitto e castigo sia l'opera più maestosa e complessa, ma per i miei gusti Il giocatore è l'opera che più mi è piaciuta ed avvinto.

Ecco, trattandosi di letture impegnative, poiché ricche di complesse descrizioni della natura umana, è molto difficile non essere travolti da una sorta di fiume in piena di flussi di coscienza dei vari personaggi, e forse è proprio per questo che la trama molto più lineare e veloce di quest'ultimo libro è quella che ho trovato più nelle mie corde, ma ci torneremo a tempo debito.


Le notti bianche è un libro esilissimo, di circa una quarantina di pagine, ma è uno tsunami di emozioni umane e di solitudine amorosa, piena sì di belle frasi da sottolineare e di tormenti amorosi e sdolcinati da sedurre un giovane lettore, ma che io ho trovato piuttosto smielato.

Due giovani anime solitarie si incontrano nel loro peregrinare serale, e si raccontano i loro tormenti amorosi ed esistenziali con il cuore in mano.

Lui è una sorta di misantropo sognatore, lei aspetta il ritorno del suo promesso, che non si sa se tornerà.

Forse ce n'è e forse no, perché al quaglio la storia è tutta qua.

Da Shakespeare a Dawson's Creek il passo è breve, anche nella Russia dell'800. :-P

Molto bello il fatto che non sapremo mai il nome del protagonista, come se in fondo fosse lo stesso autore ad essere il protagonista della storia, e quindi non solo il creatore.

Dal punto di vista stilistico è una storia piena di belle frasi e bei dialoghi, e si comincia anche ad intravedere la linea narrativa dei prossimi due libri.

Dosto mette davvero a fuoco ed in maniera vivida la vita sociale del tempo in Russia, e lo fa tessendo dei rapporti umani piuttosto vividi.

Una storia d'amicizia/amore che si evolve in soli quattro giorni.

Sono così lontani da noi, ma anche così vicini, narrativamente parlando.

In un certo senso è un mostro di empatia.

Le notti bianche non è una lettura nelle mie corde, delle miserie amorose dei giovani ormai mi interessa poco, perché li vivo solo nel ricordo, non sono più uno di loro, e non posso più provare la passione ed il tormento dei primi amori, ma al di là di tutto, non posso non riconoscere la bravura di questo autore.

Le notti bianche è un libro piccolo, ma ricco di emozioni, forse palloso, e forse troppo impetuoso per quel che concerne i flussi di coscienza, ma difficilmente accetterei il termine brutto per un libro così.

Cioè farei spallucce, poiché d'altronde si parla di gusti personali, ma la penna c'è.

E crea vita.

E della giovane Nasten'ka chiunque potrebbe innamorarsi, ma forse in fondo lo abbiamo fatto, nel nostro tempo e nel nostro luogo...

" Era una notte incantevole, una di quelle notti che ci sono solo se si è giovani."

Ma che catenazzo vogliamo dire di un autore così.

La descrizione di Pietroburgo al calar della notte vale da sola l'intero romanzo.

Possiamo quindi definire Le notti bianche un romanzo di formazione?

Direi di sì.

E se vi piacciono libri di quel genere, ve lo stra-consiglio!


P.s: ho scelto di dividere la stesura di questo post in tre parti, che pubblicherò in maniera più veloce del solito, perché altrimenti verrebbe troppo lungo, e già non interessa a nessuno leggere blog come il mio, figuriamoci se scrivo post chilometrici...

Alla prossima!






domenica 31 luglio 2022

L'acchiappasogni - Stephen King

Il mio odierno approccio alla rilettura di uno dei romanzi meno amati di Stephen King, denota quanto io sia cambiato in questi ultimi anni.

Oggi non farei quel post di tanti anni fa denominato " I peggiori romanzi di Stephen King  ", e non avrei la presunzione e l'arroganza di usare termini così diretti.

Non che non si debbano avere dei gusti critici, ma nelle mie riletture cerco anche di essere il più analitico possibile e di trovare anche qualcosa di buono.

E nell'Acchiappasogni qualcosa di buono c'è, secondo me.

Andiamo di sinossi:

Tempo fa, a Derry, la città del terrore di It e Insomnia, quattro ragazzini coraggiosi compirono una buona azione. Che li trasformò per sempre. Da grandi, Henry, Jonesy, Beav e Pete hanno preso strade diverse, ma due cose hanno mantenuto un richiamo irresistibile: una è il legame con il bambino molto, molto particolare che aiutarono quel giorno lontano e l’altra è la fantastica battuta di caccia al cervo che ogni anno li riunisce nel Maine, là nella baita dove ondeggia quel curioso oggetto indiano chiamato acchiappasogni. Però stavolta li aspetta una brutta avventura: il cielo promette ben peggio di una forte nevicata e nel folto si aggira qualcuno, qualcosa, che amerebbe tanto abitare sulla Terra.


L'acchiappasogni parte bene, anzi benissimo.

Le prime 100/150 pagine sono piuttosto coinvolgenti e scritte bene.

Ci sono echi del King pre-incidente, e la trama di base sembra un po' ricercare/ricalcare le atmosfere dei suoi romanzi horror di formazione come It ed Il corpo.

Lo fa in maniera più ermetica, ma l'omaggio è molto evidente.

Derry viene citata più volte, ed è persino teatro di alcuni stralci della storia.

C'è anche una scena molto forte e disturbante, che cita a chiare lettere Alien, che secondo me mette il punto in cui il romanzo smette di avere una direzione precisa, e comincia ad intraprendere un percorso molto più contorto e citazionistico, tanto che ad un certo punto basta avere una infarinatura del genere fantascientifico per cogliere una vastità infinita di citazioni ed omaggi, da arrivare quasi a travalicare il confine della scopiazzatura.

L'acchiappasogni è un IT in formato ridotto con gli alieni e l'esercito.

Ecco, parliamo un attimo di quest'ultimo, rappresentato quasi in maniera macchiettistica e cinematografica, vabbè che è voluto, d'altronde il capoccia si chiama Kurtz, tanto per omaggiare anche Conrad e Apocalypse Now, ma diciamo che siamo molto distanti da quelle opere, qui questa figura, ma anche l'esercito in generale, sembrano usciti da un film d'azione a basso costo.

Nulla da dire per ciò che concerne i quattro protagonisti, sono sì ermetici, ma comunque ben scritti.

Le parti ambientate nella loro adolescenza a Derry sono la parte più bella del romanzo, anche se il modo in cui sono inserite nella storia spezzano un po' troppo la narrazione per i miei gusti.

In più King è molto spietato per ciò che concerne il destino di alcuni di essi, fin dalla prima parte della storia, ed è una cosa che ho apprezzato, anche se c'è da dire che l'ermetismo con cui ci racconta delle loro vite, non ci permette molto di empatizzare con essi.

Funzione importante nell'arazzo ( o nell'acchiappasogni ) della storia è Duddits, un ragazzo/uomo affetto dalla sindrome di Down, che i quattro ragazzi hanno preso in simpatia nell'adolescenza, che funge un po' da deus ex machina del romanzo, in quanto dotato di una sorta di legame psichico con i quattro protagonisti.

Una roba che a me è sempre piaciuta poco, e che anche qui non ho apprezzato molto, ma è una questione di meri gusti personali.

Pollice verso anche per gli alieni.

Un miscuglio di roba già vista, già narrata altrove.

Giuro, qui King ci mette di tutto, mettete qualsiasi film o libro di fantascienza anni '50/80 e probabilmente lo vedrete citato.

Volete La cosa? C'è. Volete Taken? C'è. Alien? E' il piatto portante. Il villaggio dei dannati? Idem con patate. L'invasione degli ultracorpi? Hai voglia. La guerra dei mondi? Anche.

Facciamo prima a trovare cosa non viene citato.

Sebbene, devo dire che la parte relativa agli innesti è potentissima e disturbante, e la scena che ho citato ad inizio post, è una di quelle più creepy tra tutti i romanzi di Stephen King.

Peccato che da un certo punto in avanti, King abbia perso un po' la bussola, facendo diventare questo libro una sorta di Taken in salsa on the road con tanto di alieni che amano il bacon, con effetti tragicomici.

Veramente, ad un certo punto non si capisce se bisogna prendere sul serio il romanzo o meno.

Insomma, L'acchiappasogni è uno dei romanzi più assurdi e meno lineari di King, ma pur se con scelte di trama un po' astruse e fuori dalle righe, rimane comunque scorrevole fino alla fine.

Certo, è un fiume incontrollato di citazioni, sa tutto di già visto e già letto ( meglio ) altrove, le parti più oniriche fatte di possessioni mentali io le ho tollerate poco per questione di gusti personali, ma non è tutto da buttare.

Non mi stupirei di leggere che ad alcuni questa storia possa essere piaciuta.

Non è il King che amo, ma sono comunque arrivato tranquillamente all'ultima pagina.

Di questi tempi è tanto.

Siamo in tempi in cui la gente abbandona romanzi dopo 10,20 o 50 pagine, e non c'è nulla di male, eh.

L'acchiappasogni conta quasi 700 pagine, eppure non mi è pesato per nulla.

E visto che ho citato il numero di pagine, aggiungo una piccola postilla critica: forse e dico forse, io avrei preferito che il Re si fosse concentrato qualche altra pagina in più sul background dei quattro protagonisti + Duddits, e meno sull'esercito e su Mr. Gray e gli alieni in generale, ma è andata così.

D'altronde che le storie siano brutte o meno, King è sempre King, ed è sempre un piacere leggerlo.


Alla prossima!



domenica 17 luglio 2022

I miei libri preferiti: L'amico ritrovato - Fred Uhlman

"Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più."




Chi mi conosce sa che amo le storie di formazione, che sono fatto per leggerle, e che quindi sono già predisposto alle emozioni ed ai brividi, soprattutto quando parlano di amicizia.
Ecco, L'amico ritrovato è probabilmente lo "über alles" ( lo scrivo in tedesco perché il romanzo è ambientato in Germania ) per eccellenza delle storie di questo tipo.
In sole novanta pagine Uhlman ci presenta la storia delle storie d'amicizia, e sfido chiunque a non emozionarsi in ogni aspetto di questa amicizia che nasce, cresce, si cementa, e si disgrega in così poco tempo, e che soprattutto assume connotati così universali da racchiudere tutti i sentimenti possibili.

Certo, noi non siamo nati in Svevia, non siamo ebrei come Hans o nobili di alto ed antico lignaggio come Konradin, non siamo nella Germania in cui si sta affacciando lo spettro del nazismo, ma quei sentimenti, Dio, quei sentimenti, sono gli stessi che abbiamo provato un po' tutti nella nostra vita verso qualcuno, e mai sono stati raccontati con così tanto garbo ed eleganza, ma anche con così tanto realismo da sfondare la quarta parete e rendere vividi ed immortali quei due personaggi.

Ed anche quando arriva la separazione e fiutiamo la tragedia, non c'è solo spazio per commuoversi, ma anche per applaudire.

L'amico ritrovato è uno dei miei libri della vita, che rileggo quando posso, e che consiglio a chiunque, soprattutto a chi ama le storie d'amicizia e di formazione che profumano di infanzia ed adolescenza, anche in salsa drammatica, come d'altronde diventa questa storia in corso d'opera.

Poche volte mi sono emozionato così tanto per un libro, ma è uno di quei libri che ti frega sempre, anche quando credi di aver superato la nostalgia dell'adolescenza e quei sentimenti così complessi e totalitari che mi legavano agli amici di un tempo.

Ma d'altronde nella mia vita è sempre stato così, c'è stato più spazio per l'amicizia che per l'amore.
E non è affatto strano che io pensi ancora alle persone con cui ho diviso infanzia ed adolescenza, mentre per quelle che ho amato o desiderato sessualmente non provi nulla di nulla, nemmeno quando le incontro per strada.

Non posso che ringraziare Fred Uhlman per aver scritto un libro di così tanta bellezza.

" I giovani tra i sedici e i diciott'anni uniscono in sé un'innocenza soffusa di ingenuità,
una radiosa purezza di corpo e di spirito e il bisogno appassionato di una devozione totale e disinteressata.
Si tratta di una fase di breve durata che, tuttavia, per la sua stessa intensità e unicità, costituisce una delle esperienze più preziose della vita. "


Alla prossima!


sabato 9 luglio 2022

La casa del buio - Stephen King / Peter Straub

" Nel tetro lido di Plutone."



I seguiti dei romanzi di formazione in cui ritroviamo i personaggi cresciuti, raramente trovano la mia approvazione.
La casa del buio non è un'eccezione a questa regola, anzi.
E' uno dei libri più respingenti che io abbia mai letto, e non ho mai cambiato idea nemmeno dopo l'ennesima rilettura.
Per chi non lo sapesse, La casa del buio è il seguito de Il talismano.
Ed una volta che pubblichi un post su uno ( ormai eoni fa ), è giusto occuparsi anche dell'altro.
Ritroviamo il protagonista principale di quell'opera ormai adulto, ma molto diverso dal ragazzino protagonista del primo volume.

La casa del buio è un romanzo strano.
Dal punto di vista orrorifico parliamo di un romanzo parecchio creepy e disturbante, poiché il villain rapisce e miete vittime per lo più tra i bambini, con tanto di descrizioni parecchio forti, ma allo stesso tempo persegue una linea molto fantasy, nonostante i temi turpi.

Ora, quando parliamo di una trama che parla anche di mondi paralleli e bambini con poteri telecinetici, parlare di realismo è obiettivamente complicato, ma in questo libro ho fatto fatica a trovare credibili i personaggi.
Tutti, nessuno escluso, sembrano muoversi in un percorso fin troppo precostituito, ed anche il loro linguaggio, i gesti che compiono, ed il loro background in generale, difficilmente li assocerei al mondo reale.

A partire dai poliziotti che a volte si comportano come i personaggi di una serie tipo Distretto di polizia, fino al protagonista principale, che è fin troppo schivo e distante per essere un personaggio amabile.
Jack Viaggiante è diventato un adulto che non mi piace.
I due autori poi, evidentemente devono aver incontrato parecchi giornalisti stronzi nella loro vita, poiché qui ve n'è uno, che dire che è detestabile è persino poco.
Per non parlare del gruppo di motociclisti super acculturati, che parlano di Thomas Mann o che potrebbero tenere convegni sulla letteratura.

Insomma è un libro in cui diventa molto difficile provare empatia per i personaggi, che tutti, nessuno escluso, sono fin troppo sopra le righe ed eccessivamente teatrali.

Persino Henry Leyden, che è il personaggio più carismatico e che si vede lontano chilometri che è colui che i due autori hanno più amato scrivere, è molto difficile giudicarlo realistico.

Anche alcune soluzioni narrative sono eccessivamente ridondanti, se non proprio odiose.

Essendo un romanzo legato all'universo della Torre Nera, ritornano alcune dinamiche tra cui l'aiuto esterno del bianco, in maniera anche un po' facilona devo dire.

Però allo stesso tempo è sempre bello rivivere le atmosfere de i territori e del medio-mondo.

Il romanzo ha anche dei bei punti di forza: il prologo è molto bello, e ci sono alcune citazioni a poesie come Il corvo di Poe, o romanzi come Casa desolata di Dickens, che vengono usate in maniera molto carina nell'arazzo della storia.
Ed inoltre è davvero scorrevole, e le 700 e passa pagine vanno via che è un piacere.

E' una lettura d'obbligo per chi ha letto Il talismano, e per chi sceglie di avventurarsi nella saga de La torre nera, agli altri oggettivamente direi di pensarci bene, poiché i due autori hanno scritto di meglio.
A mio parere Il talismano era molto più bello.
Però come dico sempre, io sono una goccia nel mare del gusto, quindi esisterà parecchia gente a cui questo libro sarà piaciuto, ed anche tanto.

Vi lascio con la sinossi:

"A French Landing si aggira un mostro che adesca i bambini e li restituisce in parte. E c'è anche il vecchio Jack Viaggiante, che a dodici anni fuggì da questo mondo alla ricerca del Talismano che avrebbe potuto salvare la madre e che visse una folle avventura nella dimensione fantastica dei Territori."



Alla prossima!

martedì 21 giugno 2022

Io sono leggenda - Richard Matheson

 " Ora sono io l'anormale.

La normalità è un concetto di maggioranza, la norma di molti, e non la norma di uno solo. "


Ai tempi del lockdown, il giovane (ex) sindaco della mia città, divenne brevemente noto anche a livelli internazionali poiché durante una diretta pronunciò una frase in cui si scagliava contro coloro che uscivano di casa infrangendo le regole, citando il film con Will Smith tratto da questo libro.

La cosa mi ha sorpreso un po', perché il riferimento è stato chiaro per tutti, anche per i più anzianotti o per i più giovani.

Scavando un po' si evince che viene considerato a tutti gli effetti un cult.

Rimango oltremodo perplesso, poiché, secondo me, il confronto tra pellicola e libro è quantomeno impietoso.

Richard Matheson ha scritto un capolavoro del genere fantasy/ horror, ed è riconosciuto quasi all'unanimità.

Allo stesso tempo è bene dire che io non ne capisco molto di cinema, quindi mi astengo e passo oltre, parliamo del libro.

L'edizione che ho a casa, è un vecchio tascabile Urania/Mondadori del 1996, presumo da edicola.

Prezzato al prezzo di 5.900 Lire, non posso nemmeno affermare con certezza dove e quando l'ho comprato.

Ipotizzo nella rivendita di usato dove andavo sempre, ma non ricordo.

Di sicuro anche questo libro proviene da quella pozza dei miti da cui mi abbeveravo quando volevo espandere i confini oltre King, ovvero Danse Macabre.

La carriera di Matheson è stata strana, poiché per quel che concerne i romanzi ha lanciato subito due bombe, un libro discreto come fu Io sono Helen Driscoll, altre opere che non ricordo con particolare piacere come La casa d'inferno e Al di là dei sogni, ed una lunghissima sequela di racconti molto belli, ma credo che non abbia mai più toccato le vette che ha raggiunto con Io sono leggenda e Tre millimetri al giorno.

Parlando di quest'opera, l'ho già detto che è spaziale? XD

La storia è condensata all'essenziale, i capitoli sono molto ermetici e ridotti all'osso, ma nonostante ciò riescono a coinvolgere il lettore in toto.

Certo, Matheson ci dona pochi e piccoli accenni sul morbo che ha causato la fine dell'umanità, ma lo fa cesellando le informazioni alla perfezione.

I pochi accenni alla vita precedente ed agli affetti del protagonista Robert Neville vengono raccontati in maniera molto ermetica, ma in modo molto chiaro e con forte impatto emotivo.

Anche le avventure in solitaria di Robert Neville, i suoi scontri contro i vampiri in una città ormai disabitata da qualunque essere vivente, funziona altrettanto.

Forse c'è qualche fase di stanca nel periodo in cui il protagonista cerca il modo di studiare il morbo cercando una soluzione che gli permetta di trovare modi più veloci ed efficaci per difendersi contro i vampiri, ma fa parte del tessuto narrativo, poiché permette all'autore di effettuare qualche spiegone sulla natura dell'immunità del protagonista dalla malattia che ha spazzato via la razza umana, trasfigurandola.

Ritengo che sia l'unica parte del libro da contestualizzare, poiché è chiaro che dare una risposta scientifica al soprannaturale è abbastanza complicato.

Perfetto anche il modo in cui Matheson gioca con il lettore inserendo altri esseri viventi in corso d'opera, come il cane e Ruth.

Andando avanti appare evidente come più che una storia post apocalittica di stampo horror, ci troviamo davanti una vera e propria distopia/allegoria di stampo sociale.

Il finale è pura leggenda.

Fatevi un favore, recuperate assolutamente questo libro, poiché in sole 200 pagine è stata fatta la storia.

Ovviamente tenendo conto che si parla di un libro scritto negli anni '50, con uno stile molto asciutto, e una struttura narrativa ridotta all'essenziale.

E' chiaro che oggi una storia di questo tipo è piuttosto inflazionata cinematograficamente e narrativamente parlando, ma è bene che i più sappiano, che molte storie scritte dopo sono state ispirate da questo libro.


Alla prossima!




domenica 12 giugno 2022

Il drago del male - Peter Straub

Un libro come Il drago del male rappresenta in toto il motivo per cui ho creato e per cui esiste ancora questo blog.

Ovvero quello di parlare anche di libri ormai fuori catalogo, e di autori ormai fuori moda.

Un porto o un approdo per chi ha letto un'opera poco famosa o ormai dimenticata, uno spirito affine con cui condividere una di queste letture.

Il drago del male è stato per lungo tempo nella mia lista di recupero, ma solo in questi ultimi mesi mi è venuta voglia di andare oltre quella che era solo un'intenzione e non un'azione concreta.

Galeotta è stata la rilettura di Ghost story.

Come scrissi in quel post, ad un primissimo approccio, Straub non mi fu molto affine.

Ghost story mi ha messo la voglia di esplorare la mente narrativa di questo autore, e quindi eccomi qui a parlare de Il drago del male.

Prima di andare di sinossi, volevo fare una piccola premessa.

Spulciando tra redazionali, prefazioni varie, interviste o saggi vari sulla letteratura horror, salta fuori come Peter Straub e Stephen King si stimino molto tra loro, tanto che hanno pubblicato due romanzi a quattro mani.

I due autori credo siano tuttora amici, e nel corso della loro carriera di scrittore sono stati parecchio in contatto, tutto ciò per dire che leggendo le opere dell'uno e dell'altro ci si ritrovano molti omaggi dell'uno nei confronti dell'altro, e dei paragrafi che sembrano persino uguali.

Mi sembra palese che i due si scambiassero pareri o idee, e che poi le infilassero nelle proprie storie.

Tutto questo papello per dire che Il drago del male ha delle assonanze clamorose con IT ed in minima parte con L'ombra dello scorpione e Le notti di Salem, ma che fu scritto prima di IT, quindi in quel caso è King che ha citato Straub.

Una scena in particolare dove un uomo guarda la luna e quest'ultima sembra che gli parli, è una scena inequivocabile ( come accade ad Henry Bowers in IT ).

E non è l'unica: ricordate la controversa scena di Beverly Marsh?

Qui ce n'è una molto più platonica, ma comunque pregna degli stessi significati, che vede protagonista il membro femminile di questa banda di eroi.

 Ma bando alle citazioni ed andiamo di sinossi:

" Gli abitanti di Hampstead, una tranquilla cittadina americana di provincia, vivono immersi nella quiete e nella serenità. Ma all'improvviso oscure forze demoniache si abbattono sulla piccola comunità, seminando ovunque morte, terrore e distruzione. Magia e soprannaturale, realtà e allucinazione si mescolano per coinvolgere il lettore in una spirale di paura. Un' inquietante e superba creazione della fantasia, un horror mozzafiato di Peter Straub, un maestro riconosciuto del genere. "


Non ho fatto ricerche approfondite, ma a me risulta che Il drago del male sia attualmente fuori catalogo.

Io l'ho preso su Ebay a 5 Euro o giù di lì, ed è un'edizione Sperling del 1987.

E' ingiallita, ma tutto sommato ancora decorosa.

Come si evince dalla sinossi, Il drago del male è quanto più di classico anni '80 ci sia.

Straub ci dona la sua personale interpretazione di una cittadina che attrae il male in maniera ciclica, un po' come Derry o Castle Rock nei romanzi di Stephen King.

Innanzitutto è bene dire che si tratta di un romanzo piuttosto corale, ci sono dei protagonisti, ma l'azione si svolge nell'intera cittadina e coinvolge tutti gli abitanti nel loro insieme.

La trama si svolge tra due linee parallele che vanno ad intersecarsi.

Un po' come accade nel romanzo L'ombra dello scorpione di Stephen King.

C'è una fuga di un composto tossico da un laboratorio di ricerca per fini militari che provoca effetti di varia natura nella popolazione della cittadina, tra cui morte, allucinazioni, effetti radioattivi terrificanti in alcuni individui, e come se non bastasse si susseguono efferati assassinii all'interno della cittadina.

In mezzo a questo caos si muove inesorabile un uomo che sembra dotato di poteri soprannaturali denominato il drago.

Gli eroi chiamati a proteggere la cittadina saranno due uomini, un ragazzino ed una donna, quest'ultimi due condividono una sorta di legame telepatico, che non ha molte spiegazioni in corso d'opera, se non un trafiletto all'inizio in cui si dice che il composto chimico potrebbe donare anche tali capacità.

Insomma in questo libro c'è parecchia carne al fuoco, forse troppa.

Da un punto di vista puramente letterario è secondo me un buon libro.

Chi ha amato le atmosfere di romanzi corali con cittadine che vengono decimate o trasfigurate, beh, troverà pane per i propri denti.

Ci sono tutte quelle caratteristiche che hanno reso grandi romanzi come L'estate della paura, Il popolo dell'autunno, Le notti di Salem, It, ecc.ecc.

Anche qui, come in tutti questi romanzi, la forza che contraddistingue gli eroi viene dal gruppo, ma non solo, in alcune storie di questo tipo come esiste il male, c'è anche una figura benigna che in qualche modo dona al buono degli strumenti per affrontare il nemico.

Qui è molto più sfumata, ma esiste.

Anche se è bene dirlo, in questa storia il male fa terra bruciata intorno ai protagonisti, mietendo vittime senza distinzioni di sesso ed età.

Un male che per lunghi tratti della storia sembra inesorabile.

Ecco, qualche dubbio narrativo ce l'ho proprio su Gideon Winter, il cattivo di questa epoepa.

Un personaggio che non sembra centrato benissimo.

Straub ci dona alcuni stralci sul suo passato, e sul primo scontro avuto con Graham Williams in giovinezza, ovvero uno dei protagonisti del libro, e sicuramente sono tra le pagine più belle del libro, visto che il loro scontro sembra quasi venire dalle pagine de Il vecchio e il mare di Hemingway per quel che concerne l'iconografia della descrizione, ma di questa figura sapremo ben poco.

Sembra che esista fin dagli albori della cittadina, è dotata di poteri ultraterreni tanto da apparire nella forma di un drago, o quella di un pipistrello infuocato, ed è in grado di provocare allucinazioni giocando con i traumi degli individui, un po' come farebbe Pennywise.

Sembra anche trovi potere e quindi ritorni in maniera ciclica quando le famiglie progenitrici della cittadina si ricongiungono nei dintorni della stessa.

Ovviamente quelle famiglie sono rappresentate dai quattro protagonisti.

Dal punto di vista della coerenza narrativa, forse sarebbe stato meglio donare al lettore qualche informazione in più sull'antagonista, poiché quelle che ci sono sembrano messe un po' a caso.

So che alcuni odiano gli spiegoni, soprattutto quando si tratta di soprannaturale, ma la natura e le motivazioni di questa creatura rimangono molto aleatorie.

Nulla da dire suoi quattro protagonisti, a lungo andare ben sfaccettati e ben amalgamati, sebbene specie nella prima metà risultassero piuttosto ermetici nel loro insieme.

Detto questo, Il drago del male a me è piaciuto comunque molto.

Io sono fatto per storie di questo tipo, e belle o brutte che siano, è un po' come ritrovarmi nella mia comfort zone letteraria.

Il finale è ben scritto e indirizza il lettore verso un'allegoria biblica, ma almeno da questo punto di vista i sentori si avvertivano già in maniera netta in corso d'opera.

Però come dicevo un po' più su, la metafora demoniaca a me non basta, avrei voluto qualche capitolo in più su questa enigmatica e terrificante figura.

Insomma nonostante un cattivo per i miei gusti un po' ermetico, vi suggerirei comunque di inserire anche Hampstead nel vostro itinerario di luoghi infestati ed inenarrabili.

Peter Straub meriterebbe molta più attenzione, e di uscire dal limbo dei fuori catalogo.

Spero un giorno di riuscire a recuperare altri suoi libri, in particolare Julia, che in questo momento veleggia su prezzi proibitivi su Ebay.


Alla prossima!



domenica 5 giugno 2022

Tre millimetri al giorno - Richard Matheson

 "... Quel ragno era immortale. Era più di un ragno. Era tutti i terrori misteriosi del mondo confluiti in quell'orrore ballonzolante gonfio di veleno. Era tutte le ansie, le incertezze, le paure della sua vita, racchiuse in quella forma orrenda nera come la notte. "

A volte mentre scrivo sorrido poiché immagino che chi mi legga colga una ripetitività di azioni e riferimenti per quel che concerne il mio approccio alla lettura.

Lo ritengo naturale, ogni gesto che compiamo fa parte di un rituale quotidiano.

Ed io non sono da meno ( stavo per scrivere ameno, che forse sarebbe stato più poetico e calzante per il sottoscritto ).

Quindi se in molti post scriverò che ho scoperto tale libro grazie a Danse Macabre di Stephen King, sappiate che è nell'ordine naturale della mia vita letteraria.

E' stato King che mi ha spinto verso nuove conoscenze, e subito dopo E.A.Poe e Lovecraft, Richard Matheson è certamente tra i primi scrittori che ho approfondito.

Mi sono reso conto di aver parlato delle opere minori di questo autore, ma di non aver mai scritto dei suoi due pesi massimi: Tre millimetri al giorno ed Io sono leggenda.

Non che ce ne fosse bisogno, parliamo di due cult del genere su cui possiamo trovare post, recensioni e saggi a perdere, ma mi accorgo sempre più che la massa social li evita quasi a prescindere, distratta per lo più dalle nuove uscite sponsorizzate di Dicker, Thilliez o altri romanzieri che gravitano sul genere thriller/noir/giallo, per lo più.

Il fantastico? A parte quello young adult, non pervenuto.

Eppure basterebbe sbirciare il calendario con le uscite Urania per scovare alcune perle, tra cui Tre millimetri al giorno di Matheson.

Urania ha fatto uscire questo libro proprio nel periodo in cui io ho avuto il covid, primi di marzo o giù di lì, quindi per averlo ho dovuto sudare le proverbiali sette camicie.

Per fortuna sono amico di un edicolante che me lo ha ordinato, ma l'attesa è durata più di un mese.

Come si evince dalla foto, ho già letto in passato quest'opera ed ho una vetusta ed invecchiata edizione in libreria sempre targata Urania del 1962.

All'epoca, non so manco quale anno precisamente, ipotizzo 2004/2005 o giù di lì, subito dopo aver letto il capitolo inerente questo romanzo su Danse Macabre, corsi dal rivenditore di libri usati sito vicino dove lavoravo per trovarne una copia, e l'unica che trovai fu quella nella foto, pagata sui 50 Centesimi.

Salvo dopo un tot di tempo fare una amara scoperta: in quelle edizioni il romanzo veniva pubblicato in versione ridotta e quindi tagliato in alcune parti.

Ho quindi riletto il romanzo in formato e-book in forma estesa, ma a casa per molti lunghissimi anni ho avuto soltanto quell'edizione ridotta.

Prima di quest'ultima targata Urania.

Andiamo di sinossi:

Scott Carey, un marito e un padre come tanti, viene a contatto con una misteriosa sostanza radioattiva e dopo qualche settimana inizia a notare dei cambiamenti. Sta perdendo peso, ma sta anche diventando più basso. Gli esami medici confermano l’incredibile quanto innegabile verità: Scott sta rimpicciolendo, con ritmo costante e inesorabile. Tre millimetri al giorno, per la precisione. La moglie e la figlia diventano presto giganti irraggiungibili, il gatto di casa un mostro minaccioso. Persa ogni speranza di tornare a una vita normale, Carey si trova a lottare per sopravvivere in un mondo sempre più ostile e minaccioso. Rimasto ormai solo, deve affrontare i limiti estremi dell’esistenza: cosa succederà infatti quando arriverà a misurare zero millimetri? Ma soprattutto, cosa c’è oltre lo zero? Capolavoro del genere fantascientifico e horror, Tre millimetri al giorno alterna con crescente suspense scene drammatiche e d’azione alle riflessioni introspettive di Scott sul destino che lo aspetta.

Beh, che dire di Tre millimetri al giorno, c'è davvero bisogno di parlarne?

E' un libro incredibile, un must del genere.

Probabilmente bisogna contestualizzare l'opera dal punto di vista scientifico, mi rendo conto che un chimico o chi studia scienze o biologia si farà una risata sull'incidente che provoca questo rimpicciolimento costante e graduale del protagonista Scott Carey, ma fa parte della normalità di questo tipo di storie, quindi si chiudono entrambi gli occhi piuttosto volentieri.

Il resto è una bomba.

Personalmente ritengo questo romanzo perfetto.

La narrazione in medias res rende il romanzo scorrevole ed appagante fin dall'inizio.

Matheson fa anche un gran lavoro per quel che concerne la psicologia dei personaggi rendendoli credibili anche di fronte all'incredibile.

Perché le conseguenze di questo rimpicciolimento avrà conseguenze non solo sul corpo e la psiche di Scott, ma anche per quel che concerne le dinamiche affettive e sociali.

Portando il personaggio a vivere delle avventure che a volte virano persino nel grottesco.

Come il capitolo in cui ormai ridotto all'altezza di un metro o anche meno si intrufola in un luna park itinerante in cui fa conoscenza con una nana, o quello in cui dopo aver accettato un passaggio da uno sconosciuto viene molestato sessualmente perché scambiato per un bambino.

E' geniale l'utilizzo che fa Matheson del progressivo rimpicciolimento del personaggio, che si ritrova a vivere esperienze sempre più assurde e pericolose in base all'altezza di quel momento.

Insomma c'è una commistione di generi in questa storia che ha dell'incredibile, poiché in sole 250 pagine o poco più, questo scrittore riesce a toccare tanti temi.

Non ultimo anche quello sessuale.

E' tragicomico che più piccolo diventa e più Scott diventa lascivo e voyeur, tanto da sembrare un piccolo Pierino in alcuni punti.

E che dire dei capitoli più horror?

La lotta con l'uccello prima, e lo scontro in cantina con la vedova nera sono probabilmente tra le più belle pagine mai scritte per quel che concerne la narrativa fantastica ed orrorifica.

Su Instagram ho affermato che ritengo la lotta di Scott contro il ragno persino più emozionante di quella di Sam e Frodo contro Shelob, la penso ancora così.

Insomma Tre millimetri al giorno è un libro con i fiocchi, per me è un capolavoro del genere e meriterebbe di essere riscoperto anche dalle nuove leve letterarie.

Andate oltre le sponsorizzazioni, e guardate un po' al di là dei feed di bookblogger tutti uguali che postano tutti insieme lo stesso romanzo perché gli è stato regalato.

Prendete esempio da Scott Carey: c'è vita anche nel microcosmo. ;-)


Alla prossima!