giovedì 21 maggio 2020

Libri...d'arredamento

Complice la quarantena e l'esplosione dei collegamenti streaming, delle videochiamate su Zoom e le dirette Instagram di influencer o di qualsiasi altro povero o ricco Cristo, è salito alla ribalta un aspetto che prima veniva sviscerato solo su youtube, ma che non era ancora mainstream, ovvero il feticcio della libreria come sfondo alle spalle dell'utente di turno.

Sono usciti articoli su articoli su come massimizzare un collegamento streaming con tanto di sfondo studiato, sul fatto di scegliere il punto migliore della casa ( che spesso è lo studio o una libreria in modo da passare comunque per acculturato ) ed i libri in questo contesto assurgono al rango di protagonisti, poiché come dicevo tra parentesi offrono una scenografia perfetta.

Scavando a fondo si scopre una molteplicità di usi e consuetudini di arredamento che hanno molto poco a che fare con la cultura.

C'è chi compra libri solo perché i colori sono affini all'arredamento o solo perché devono riempire una libreria.
C'è chi si porta da casa dei genitori intere enciclopedie per farlo.
Chi compra dalle rivendite dell'usato per lo stesso motivo.
Ovviamente ci sono anche i lettori, che amano un po' mostrare e vantarsi dei loro tomi su dirette o video su youtube, con commenti spesso lapidari su un'opera che hanno letto e conservato, giustificati nel giudizio dal minutaggio ridotto, ma non accorgendosi che possono veicolare un messaggio sbagliato su quell'opera.
Come sempre il confine tra esibizionismo e cultura è molto labile.
Perché spesso il libro viene spogliato dal suo essere e trattato come un oggetto da mostrare e di cui vantarsi.

Come ben sa chi mi conosce o mi legge, io non sono così.
Per me un libro anche sporco o con un copertina vissuta ha lo stesso valore dell'opera di pregio con copertina superlusso, e me ne frego se non "dona" nella mia libreria.
Ho pochi Adelphi e Oscar draghi?
E chi se ne frega.
Conta la storia non l'edizione.

Non ho e non avrò mai il feticcio di dovermi vantare di ciò che leggo con gli altri, di dovermi vergognare dei miei Urania o tascabili Newton, o di vecchie edizioni impolverate di libri che compro ad 1 Euro al mercatino dell'usato.

Mi fa paura di essere giudicato soltanto dallo sfondo alle mie spalle durante una videochiamata, perché so che succede, e non voglio giudicare un politico o chiunque altro dallo sfondo della sua libreria o dal fatto che non ne abbia una.

Ed invece ci viene consigliato di fingere, che è necessario avere come sfondo una libreria piena e colorata, perché averne una ci mostra migliori agli occhi degli altri.

I libri sono libri anche quando vengono impilati uno sopra l'altro come una torre di Pisa o come una torre...nera, perché alla fine la maggior parte di quelli che ho, va a parare nell'occulto.

Alla prossima!





lunedì 11 maggio 2020

Scrittori italiani che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Cesare Pavese

" Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi. "

Sono bastati due titoli molto evocativi, due sinossi che lo erano altrettanto, e il passo iniziale della poesia citata in alto a spingermi a leggere le opere di Cesare Pavese.
Quel che ho trovato è uno scrittore molto lirico, pacato, e le cui storie estive e torride di paese, mi hanno ricordato due degli autori di questo genere che amo di più, Ray Bradbury e Kent Haruf.
La differenza è che Pavese ha una visione della storia molto più adulta e simbolica, mentre i due sopracitati puntano più sul sentimentalismo e l'empatia.
Non che queste non ci siano in Pavese, ma sono meno dirette.
Soprattutto ne Il diavolo sulle colline.

Entrambe le storie sono ambientate nella valle del Belbo, ma attraverso degli occhi diversi.
Ne Il diavolo sulle colline da tre giovani studenti universitari e ne La luna e i falò attraverso il ritorno e i ricordi di un uomo andato via e ritornato al paese.




Il diavolo sulle colline fa parte di quella che è considerata la cosiddetta trilogia della bella estate.
Opera che tra l'altro gli valse anche il premio Strega.
Non so se e quando leggerò gli altri due volumi, non escludo di farlo, ma non lo farei adesso, sono onesto.

Su Instagram mi espressi così:

Un racconto molto poetico, pacato e poco immediato ma che racchiude molti simbolismi e mette in contrasto la vita ed i ritmi più lenti della vita di campagna, con quelli più sfrenati e spregiudicati della borghesia.
Queste due anime si congiungono con risultati imprevisti dopo quella che è un'apparizione notturna ed improvvisa di un ragazzo di città nella vita di tre studenti d'università di campagna.
Scrittura splendida, ma che a volte sembra incompiuta.
Mi ha lasciato sensazioni contrastanti, ma sono propenso ad amarlo.
Anche perché è uno di quei libri che ti stimola riflessioni successive, e quando accade è sempre un bene.
Pavese mi piace, e sono già pronto per La Luna e i falò.

Ma chi è il diavolo sulle colline?
Il diavolo è un uomo.
E' Poli.
Porta con sé il peccato, la violenza, un nuovo punto di vista, porta la borghesia nella normalità e nello scorrere quotidiano e rurale degli eventi nella vita di tre universitari che si fanno delle domande e a cui forse quella vita comincia a stare stretta.
E' lo scontro/incontro di due punti di vista e di modi di vivere diversi.
E' molto simbolico e potentissimo il suo arrivo.
L'apparizione improvvisa di un auto che si ferma al buio e di un uomo al volante che sembra morto, come precipitato in quella valle.
L'arrivo di qualcosa di alieno.
Un'apparizione che sconvolgerà le loro esistenze.
Un libro molto, molto bello.
Non immediato, ma che attraverso i suoi dialoghi e i suoi simbolismi, lascia parecchio.
Possiamo definirlo tranquillamente un romanzo di formazione.
Poli porta il lusso, la tentazione e la decadenza, in un certo senso porta l' America di Fitzgerald tra le campagne.
Ed il fascino che la moglie di Poli emanerà in tutti e tre i protagonisti, ne è un esempio lampante.
Quello che ho apprezzato di più è che il protagonista funge proprio da Io narrante.
Un protagonista di cui il lettore non saprà il nome, perché quel personaggio è lo scrittore stesso.





" Che cos'è questa valle per una famiglia che venga dal mare, e che non sappia nulla della luna e dei falò? "


Altrettanto lirico, ma ben più diretto è La luna e i falò.
Qui si entra dritto nella valle delle rimembranze.
Il luogo è sempre la valle del Belbo, subito dopo la seconda guerra mondiale, che non pochi strascichi ( e cadaveri ) ha lasciato anche nella rurale e classica vita di paese.
Ma che non ne ha cambiato le abitudini.
E' la storia di un uomo che torna a casa.
Torna dove è cresciuto, in un racconto scandito dal ritmo brado, rude e torrido della vita di paese, e quello più travolgente dei ricordi.
I più forti e simbolici dei quali, sono quelli inerenti la vita ed il destino di tre giovani ragazze a cui quel paese stava stretto e che si sono bruciate in fretta, come legna da ardere.

La Luna e i falò ha dei punti in comune con Il diavolo sulle colline, ma verte più sulla consapevolezza, sulla maturità di un uomo che ha già vissuto.
" Su bastardo, torna a casa. ", disse una volta qualcuno.
E Anguilla ritorna.
Non trova la sua casa di un tempo, dove da orfano fu accolto, ma ritrova il suo paese e la sua rudezza, trova i suoi ricordi, e un ragazzino zoppo che gli ricorda se stesso.

Anche qui narrazione e dialoghi strepitosi, per una storia che non arriva subito.
Pavese non è uno scrittore facile e immediato, ma è dannatamente bello da leggere.
Questi due libri sono pieni di frasi da sottolineare ed amare, ma non di immediata comprensione come un Kent Haruf o di  Ray Bradbury quando parlano delle stagioni nella vita di provincia.
Haruf e Bradbury ti lasciano con una sorta di nostalgia sognante.
Pavese ti confonde e ti costringe a fare i conti con le tue riflessioni.
E spesso quella nostalgia più che sognante, sa di dura realtà.
Va coltivata.
E colta.


Alla prossima!







venerdì 1 maggio 2020

In quarantena con Francis Scott Fitzgerald

" Ma alle tre del mattino, un pacchetto dimenticato assume la stessa importanza tragica d'una condanna a morte, e la cura non ha effetto, e in una reale notte in fondo all'anima sono sempre le tre del mattino, giorno dopo giorno."

Ho desiderato per tanto tempo di imbattermi in Fitzgerald solo per questa frase, trovata come aforisma in non so quale libro, in pagina bianca, prima di un capitolo iniziale.
Però tempo e desiderio non sempre coincidono.
E non sempre coincidono con la mia volubilità letteraria, che è molto incostante.
La verità è che quando mi sono imbattuto nel Mammut con gran parte delle opere di Francis, ho avuto paura. Ho avuto paura della mole del libro e del fatto che avevo già una nutrita pila di libri da iniziare e portare a termine.
Ho rimandato e rimandato per settimane che poi sono diventate mesi, e solo adesso, complice la penuria di libri e la quarantena, ho trovato il coraggio di affrontarlo.
E com'è andata?

E' andata che Fitzgerald è un grandissimo, ma che non è propriamente nelle mie corde, ed adesso bestemmio, a parte Il Grande Gatsby ed alcuni racconti della raccolta dell' Età Del Jazz, mi sono spesso impantanato, tanto da dovermi dedicare ad altre opere, perché la lettura mi era risultata pesante e prolissa.

C'è del bello nelle atmosfere delle storie di Fitzgerald.
L'atmosfera dell'America del primo novecento, i cambiamenti in corso d'opera della pre o post grande guerra, le feste sfrenate e l'alcool, il proibizionismo e la ricerca smodata della ricchezza e degli agi.
E soprattutto le donne dei suoi romanzi: tutte bellissime, tutte ricche non solo di fascino, ma anche di potere, soprattutto seduttivo.
Quelle donne che sono le vere protagoniste dei suoi romanzi.
Spesso quasi irraggiungibili e smaniose, e che alla fine della giostra, cadono sempre in piedi rispetto alla controparte maschile tutta uguale in ogni racconto e romanzo, uomini spesso in odore di decadenza e nichilismo da trasudare l'ineluttabilità.

Ecco ciò che non ho molto apprezzato nelle sue storie, tutti gli uomini sono uguali, è come se in un certo modo, Francis abbia messo molto di se stesso nelle sue opere.
Tutti gli uomini delle sue storie sono mossi dallo stesso senso di arrivismo, inadatti alla vita ed al lavoro, se non nella ricerca di una eredità o di un amore troppo spesso fragile ed idealizzato.
E se in Al di qua del paradiso tutto questo è appena abbozzato poiché è un racconto di formazione giovanile che trasuda intraprendenza, rabbia  e inesperienza ed anche un po' di arroganza tipica di un personaggio di quell'età, già traspare moltissimo nel suo secondo romanzo, Belli e Dannati.
Una storia d'amore forte e distruttiva.

Ovviamente ogni personaggio va contestualizzato a quel periodo, ma l'uomo di Fitzgerald è fragile e debole, difficilmente amabile.
Ed ho idea che i primi due romanzi siano quasi di preparazione per quel che sarà il suo grande capolavoro, Il Grande Gatsby.

Persino lui, il grande e famigerato Gatsby, è mosso da un desiderio naturale, quanto banale, come l'amore idealizzato.
Il Grande Gatsby rispetto a Tenera La Notte, Belli e dannati e Al di qua del Paradiso, ha però una struttura narrativa molto più avvincente e coesa, che comunque me lo ha fatto apprezzare di più.
E' un gran romanzo, anche se purtroppo avendo visto il film di Luhrmann poco tempo fa, mi ero già spoilerato gli eventi principali.
Avrei voluto arrivarci vergine alle pagine finali, dove probabilmente mi avrebbe ferito di più.
Resta però un romanzo che mi piacerebbe ritrovare in formato cartaceo e che vorrei inserire nella mia libreria.
Delle altre storie mi restano tante belle frasi, tanti bei dialoghi, e le splendide descrizioni dell'America e di altri luoghi di quel periodo storico, il che non è poco, ma non mi hanno lasciato moltissimo.

Bellissimi invece I Racconti dell'età del jazz, che forse proprio perché più brevi, arrivano subito al punto risultando oltremodo gustosi.
E' probabilmente l'opera che ho trovato più di mio gradimento del libro.

Di tenera è la notte posso dire poco, credo che ci sia molto d'autobiografico nella storia, visto che la moglie del protagonista è gravata da uno squilibrio mentale, molto simile a quello della moglie dello scrittore.
Anche qui protagonista è l'amore forte, ma incostante, e con una controparte maschile che lo è altrettanto, come in ogni opera di Fitzgerald, dopotutto.
Non credo che Francis avesse una grande opinione del genere maschile, visto le vicissitudini tendenti all'oblio dei suoi personaggi.

Passare comunque la quarantena con Francis è stato bello, e di questo lo ringrazio.
E' stato impegnativo, spesso al limite dell'arrendevolezza, ma riconosco che è un limite mio.
Sono anche giustificato dal fatto che sono state 1300 pagine di storie.
Io non sono all'altezza della sua narrativa alta e pomposa, ma in qualche modo, ho indossato l'abito nuovo e mi ci sono imbucato.
E per un po' sono stato anch'io in una delle grandi feste di Gatsby e in quel pontile a guardare da lontano il bagliore di una luce verde.

" E così andiamo avanti, barche contro la corrente, incessantemente trascinati verso il passato."

Alla prossima!