martedì 29 dicembre 2020

Due libri ambientati in Ohio: L'estate che sciolse ogni cosa - Tiffany McDaniel / Ohio - Stephen Markley

" Beautiful Ohio, where the golden grain

Dwarf  the lovely flowers in the summer rain.

Cities rising high, silhouette the sky.

Freedom is supreme in this majestic land;

Mighty factories seem to hume in tune, so grand.

Beautiful Ohio, thy wonders are in view,

Land where my dreams all come true! "


Quelle citate in alto sono le parole del testo della canzone simbolo dello stato americano che è stato casualmente protagonista di alcune delle mie ultime letture.

Mentre leggevo questi due romanzi, mi canticchiava in testa un'altra canzone che è I Provinciali de i Baustelle, forse più attinente a queste storie, con le dovute differenze di contesto culturale:

" Sacrificata vittima 

verso d'amore cerca fiato per non soffocare più

azzittasi crepuscoli, balere ad ore piccole

morire la domenica 

chiesa cattolica

estetica anestetica

provincia cronica

Si vende amore tossico

'ndrangheta e camorra

più Gomorra e meno Sodoma

denunciasi calamità di mariuana e crimine..."

All'epoca dei primi ascolti di questa canzone su Youtube ricordo che mi colpì molto un commento in cui un ragazzo scrisse:

" La provincia è una punizione. "

Nella canzone di Bianconi & co. si parla della vita di provincia in un qualsiasi paese del sud Italia, mentre nei due romanzi di Markley e della McDaniel si parla della vita di provincia nello stato dell' Ohio.

E la provincia è veramente una punizione, secondo questi due autori, anche se nel caso di Tiffany McDaniel è un altro scrittore italiano che ci ha parlato dell'estate e della provincia come pochi a calzare a pennello, ovvero Cesare Pavese e il suo Il diavolo sulle colline.

L'estate che sciolse ogni cosa è ambientato nel 1984 in una cittadina dell'Ohio.

La trama è semplicissima quanto splendida nella sua esilità:

Un avvocato scrive una lettera nel giornale locale in cui invita il diavolo a presentarsi a casa sua.

Ed a quanto pare il diavolo risponde all'invito, quando un ragazzino di tredici anni nero si presenta a casa sua affermando di essere il diavolo.

L'avvocato ospiterà il ragazzo a casa sua e tutto ciò avrà ripercussioni sulla sua famiglia e la cittadina intera.

L'estate che sciolse ogni cosa è uno dei romanzi più instagrammati degli ultimi anni.

Nella quarta di copertina viene osannato da critici e giornalisti vari e paragonato ad Harper Lee ( e già qui si può intuire dovrà andrà a parare la storia ), Neil Gaiman, Shirley Jackson e Stephen King.

Ed è vero, è uno di quei libri, dove si riconosce l'impronta di molti altri autori.

E questo secondo me è il suo unico vero limite, perché chi è avvezzo a questi autori, avrà la sensazione di qualcosa di già visto e già raccontato.

Anche le parti più tragiche ed emozionanti in me hanno avuto poca presa perché è come se me l'aspettassi, erano già state scritte.

Ciò non toglie che quello di McDaniel è un gran bel romanzo.

La scrittura è lirica e poetica, ma non pomposa.

E' ermetica, ma allo stesso tempo coinvolgente, asciutta, ma non troppo.

Ed è chiara e pungente.

La storia lascia più domande che risposte, ed è forse per questo che i più hanno scomodato Shirley Jackson.

Nelle parti più solari questo libro ricorda l'estate raccontata da Bradbury e Pavese, in altri frangenti quella di Lansdale o di Harper Lee.

E' un gran libro, ma niente di nuovo sotto il sole.

Ed è un limite?

No, perché comunque è una gran storia, che atterrisce e colpisce, anche con alcuni colpi bassi.

E poi descrive molto bene l'estate dei tredici anni nel 1984 e ti fa percepire il calore, il sudore e la pazzia che si annida nell'animo umano.

Un gran bel romanzo di formazione!

Non posso che ringraziare Michele ( Mr. Ink ) per il consiglio.


Ohio è molto più complesso, almeno per quel che concerne la scrittura.

E' un romanzo che si legge su più livelli, con il punto di vista di più personaggi che si intersecano strada facendo.

Qui qualcuno ha scomodato Faulkner.

Sì, lo stile di scrittura a più livelli, quasi a flusso di coscienza, ricorda un po' l'unico romanzo di questo grande scrittore americano che ho letto, L'urlo e il furore.

Ovviamente non sono così pazzo da paragonare Markley a Faulkner, ma è chiaro che il buon Stephen si sia ispirato a lui.

Ritorna anche qui la vita di provincia, ambientata tra presente e passato.

Ohio è un libro in bilico tra romanzo di formazione e il classico ritorno a casa in ambiente ostile e deformato dagli anni.

Tutti i personaggi protagonisti portano i segni della vita di provincia, e tutti ne sono stati colpiti, nessuno escluso.

C'è un che di troppo romanzato in questa storia, che è l'unica cosa che non mi ha convinto, poiché non c'è un personaggio tra questi ex studenti che non porta i segni della vita di provincia.

Anche stavolta la provincia è punizione.

E l'Ohio non si dimostra bellissimo come nella canzone, o almeno non lo sono taluni che ci crescono e ci vivono.

E' la violenza o il drogarsi per noia, di partire per la guerra perché non si hanno sbocchi lavorativi, è sesso facile, è l'alcool.

Ed è morte.

Chi cresce in un ambiente ristretto lo sa, cerchi rifugio in qualcosa, emozioni forti in piccoli spazi.

Non tutti i personaggi sono sviscerati allo stesso modo ed è un peccato, ma Ohio è un romanzo che racchiude tanti temi, una sorta di vaso di Pandora da cui fuoriescono tutti i peccati capitali, ma è anche pregno di umanità ed amicizia, narra bene l'amore e la falsità, e soprattutto l'adolescenza.

Secondo me è una grande opera prima.

Soprattutto all'inizio non è semplicissimo da leggere, anche perché mostra vari personaggi e vari punti di vista, ma la trama alla fine trova la sua coerenza.

Anche qui ci troviamo davanti uno dei romanzi più chiacchierati dell'ultimo anno, ed anche questo l'ho scoperto grazie a Michele, che ringrazio ancora.

Segno che anche nel mare delle prime edizioni, si pescano pesci grossi e letture che lasciano il segno.

Due romanzi che mi sento di consigliare in toto e che ho grandemente apprezzato.


Buon anno e... alla prossima!





martedì 22 dicembre 2020

L'ombra dello scorpione - Stephen King

" Lui non muore mai ", rispose Tom. " E' nei lupi, cavoli, sì. I corvi. I serpenti a sonagli.

L'ombra del gufo a mezzanotte e lo scorpione a mezzogiorno. Se ne sta a testa in giù come i pipistrelli. E' cieco come loro. "


Da questo passaggio, uno dei più interessanti e significativi del romanzo per quel che concerne la descrizione del cattivo della storia, fu ricavato il titolo dell'edizione italiana di questo tomone del Re.

Sicuramente L'ombra dello scorpione è un titolo molto suggestivo del ben più difficile The Stand che risulta abbastanza intraducibile a livello significativo in italiano, visto che dovrebbe suonare come " La resistenza " o comunque qualcosa del genere.

The Stand è il sunto dell'elefantiasi letteraria di cui è affetto Stephen King e si gioca il titolo di romanzo più lungo insieme a It.

L'edizione Bompiani ha pure i caratteri piccoli quindi probabilmente parliamo di un libro che con un font diverso avrebbe tranquillamente raggiunto il migliaio di pagine.

Proprio per questo L'ombra dello scorpione è stato messo in commercio due volte.

La prima volta sul finire degli anni settanta in maniera ridotta e successivamente nel 1989 in versione completa e definitiva.

Prima di addentrarmi nella narrazione voglio parlare di un aneddoto personale.

Lessi la prima volta questo romanzo intorno al 1994 o giù di lì, ero un ragazzo, ed è del parere di quel ragazzo che vi dovete fidare.

La mia reazione fu più genuina delle successive riletture, anche di quella odierna.

Ebbene, la mia prima full immersion in quest'opera fu di meraviglia pura.

Ebbi quel libro in prestito da un mio amico e non riuscivo a staccarmene dalla lettura.

Me lo portavo a scuola, me lo portavo a tavola, dappertutto.

Mi piacque tantissimo e ricordo che rimasi sconcertato da una scena in particolare che non ho più scordato e che mi segnò profondamente, poiché toglieva di scena il mio personaggio preferito a poco più della metà della narrazione.

Non nego di essermi commosso e di aver avuto la tentazione di urlare e lanciare il romanzo contro il muro ( che avrebbe avuto la peggio vista la mole del libro ).

Io credo che un romanzo che riesca ad ottenere un effetto simile, sia un gran romanzo.

E lo penso ancora.

Ma da allora sono passate altre riletture, ho letto centinaia di altre opere, anche con tematiche simili, ed oggi ho letto questo libro con un occhio un po' più clinico, rispetto a quello ingenuo, ma più aperto al senso di meraviglia che avevo all'epoca.

Credo che a ragione io mi facessi sedurre da quel che succedeva rispetto a come succedeva.

L'ombra dello scorpione mi piace ancora, ma mi piace meno il contesto.

Proverò un po' a spiegarmi, per chi avrà un po' di pazienza.

Non pubblicherò estratti della trama anche perché credo che la conoscano un po' tutti a grandi linee la storia.

Un virus sfugge al controllo dell'esercito e decima la razza umana per il suo 99%.

I pochi e sparuti sopravvissuti si muovono in un'America ormai in disfacimento in un'avventura on the road di stampo apocalittico.

E quando parliamo di apocalittico, lo diciamo non in senso lato, ma proprio dal punto di vista biblico.

Perché quest'opera ha una fortissima connotazione biblica da Antico Testamento.

A conti fatti King ci dà la sua personale rappresentazione della parabola di Giobbe mettendo i protagonisti in una scacchiera grande quanto l'America intera ( non si hanno notizie degli altri continenti in quest'opera e dobbiamo farcelo bastare senza porci domande ).

I personaggi hanno un libero arbitrio, ma sono comunque teleguidati attraverso i sogni o le divinazioni.

Tutti i sopravvissuti sognano due persone:

- Una vecchina ultracentenaria di nome Mother Abagail che ispira bontà e li invita a raggiungerli in Colorado.

- Un uomo nero, Randall Flagg, sempre in ombra, che a volte appare vestito casual ed a volte avvolto in una tonaca, che ispira minaccia, terrore, paura, ma anche diavolo tentatore per le anime più tormentate.

I personaggi in corso d'opera faranno le proprie scelte, si metteranno in cammino e raggiungeranno questi due personaggi che fungono praticamente da aggregatori sociali nell'eterna lotta tra il bene ed il male.

La prima metà di questo libro è meravigliosa.

Chi mi conosce sa che vado pazzo per la narrazione on the road, e l'ambientazione di questo romanzo è costruita proprio per piacermi.

King fa un grandissimo lavoro con i personaggi, sia quelli positivi che quelli negativi.

Tutti, nessuno escluso, sono caratterizzati alla perfezione, anche nelle loro complessità d'animo.

Stesso dicasi per la scrittura e l'ambientazione.

Dal punto di vista narrativo, la prima parte sfiora la perfezione.

I capitoli dedicati alla Superinfluenza denominata Captain Trips sono meravigliosi, ed anche i dialoghi e le vicissitudini dei personaggi pre e post-epidemia lo sono altrettanto.

Alcuni capitoli sono iconici ed indimenticabili.

Larry che attraversa il Lincoln Tunnel completamente al buio calpestando i morti e superando gli ingorghi stradali di macchine e vetture militari.

La sconcertante narrazione di un'operazione di appendicite in un mondo dove medici ed ospedali non ci sono più.

Un capitolo non solo da stomaci forti, ma che ci dà ben l'idea di un mondo ormai alla deriva ed in disfacimento.

Il cammino iniziale di ogni personaggio in solitaria o in compagnia, in un'America ormai spopolata e perduta, con cibo d'accatto, sogni, incubi, paura e bivacchi, è narrata in maniera splendida.

So che oggi è un tema stra-abusato, soprattutto in tv, ma King lo descrive splendidamente il tema del viaggio.

Steve sa narrare del pellegrino.

Quindi cos'è che mi perplime?

Il linguaggio ed il modo di atteggiarsi dei personaggi maschili, in primis.

Sono costruiti con un modus operandi da anni '80 che levati.

Gran parte di loro sono machisti che si esprimono con frasi da film americano del tipo " Ehi, piccola ", " Pupa ",

" E' la mia donna." Ed altre amenità varie.

Anche quelli scritti meglio come Larry.

Per non parlare di Stu, il vero protagonista del libro, classico uomo silenzioso e tenebroso che non deve chiedere mai.

Anche se in corso d'opera è uno dei personaggi che evolve di più.

Vogliamo parlare delle donne di questo romanzo?

Lucy e Frannie sono stereotipate altrettanto, con frasette e dialoghi che spesso sembrano uscite da un romanzo Harmony.

" Ho bisogno di un uomo che scaldi il mio letto."

o frasi tipiche tipo: " Scegli me", che manco Beautiful.

Dirò di più: il diario che tiene Frannie è probabilmente il punto più basso dell'opera, non tanto per il suo contenuto imbarazzante ( d'altronde Fran ha solo vent'anni e ci sta che scriva determinate cose ), ma anche perché è un espediente piuttosto di bassa lega per permettere a King di spingere un personaggio verso il lato oscuro.

C'è parecchio di cinematografico e soap operistico nella narrazione di questi personaggi, che spesso vengono trattati in maniera persino bigotta.

E quelli che ne escono peggio sono i personaggi femminili trattati spesso come angeli del focolare che devono farsi i pianti guardando dalle verandine i loro uomini mentre vanno a salvare il mondo.

Come se la funzione della donna in quest'opera sia quella di farsi mettere incinta o poco più.

Infatti è terrificante una frase di Mother che si comporta come una commare di paese qualsiasi quando si rallegra che una delle ragazze ha i fianchi larghi e che quindi è in grado di sfornare tanti figli.

Capisco che si debba riformare la società, ma c'è uno strisciante bigottismo religioso che è difficile accettare oggigiorno.

Difficilmente accettabile anche il fatto che l'unico personaggio femminile cazzuto e pronto alla battaglia sia, indovinate un po', bisessuale, ed in un certo senso è considerato anche sacrificabile in corso d'opera ( infatti viene spedito come spia in una vera e propria missione suicida), pensate un po'.

Sembrerà che io ne stia parlando male, ma non è così.

Io amo questo romanzo e mi sono goduto anche questa rilettura.

Pur contestualizzandolo però ad una rilettura attenta salta all'occhio un tipo di narrazione che oggi appare un po' manichea e superata, per lo meno nel modo di esprimersi di alcuni dei personaggi principali.

Ed è un peccato, perché tolto quel contesto, L'ombra dello scorpione è un viaggio meraviglioso e spaventoso.

Randall Flagg è un cattivo bellissimo, delineato splendidamente.

E fa specie che funzioni più qui, che nella saga dove ci si aspettava che figurasse di più come quella della Torre Nera, dove doveva essere uno dei protagonisti.

Ed in più io mi metto tra quelli che accetta tranquillamente uno tra i finali più discussi di sempre tra i libri del Re.

Perché è un finale che in un'opera biblica come questa ci sta tutto.

So che in questi giorni dovrebbe debuttare l'ennesima miniserie tratta da questo libro, e sono molto curioso del fatto se avranno il coraggio di tenere un finale simile o se sceglieranno di cambiarlo.

E' valsa la pena rileggerlo?

Sì.

L'ombra dello scorpione è e resterà sempre una delle mie opere preferite di King, e non m'importa se alcuni personaggi spesso parlino e si comportino come delle macchiette, perché l'essenza del viaggio e dell'avventura è palpabile ugualmente.

Nella seconda parte il libro forse perde un po' e risulta un po' prolisso soprattutto quando i personaggi hanno compiuto il loro percorso e quindi si prodigano per riformare la società, ma diciamo che va considerata come quella parte in cui le fazioni si preparano per il gran finale.

Menzione per alcuni personaggi negativi: penso che Pattume e LLoyd siano tra i personaggi meglio riusciti di questo libro.

E poi c'è lui, il mio personaggio preferito.

Non perdonerò mai King per averlo fatto fuori, era pure uno dei pochi che non si esprimeva come un tamarro da film action.

Non ho parlato del paradosso o della premonizione di King di narrare di un'epidemia di influenza in epoca Covid come questa, ma non lo faccio perché nella narrazione funge più da prologo che altro e perché non l'ho riletto con quella sensazione in mente.

Il che è abbastanza brutto, perché significa che in un certo senso mi sono abituato a quel che stiamo vivendo.



Buone feste ed...

Alla prossima!








lunedì 7 dicembre 2020

Tra notti perdute, allerta e zona arancione, blogosfera che cambia, e se non cambi sei noioso e perduto, e Victor Hugo

" Qualcuno sta camminando sulla mia tomba. "



Tra insonnia, nubifragi e la mia regione che cambia colore come se stessimo giocando a strega comanda colore, ho passato una settimana abbastanza tribolata e persino isolata.

Nelle ore di luce pensavo a quelle notturne, ed in quelle notturne pensavo a quelle diurne e a quanto sarei stato attivo il giorno dopo visto che non riuscivo a dormire.

Ero sempre più zombie e meno essere umano.

In mezzo a tutto questo ci sono stati due romanzi a farmi compagnia entrambi di Victor Hugo.

La letteratura mi sta portando in posti che non avrei mai immaginato ed anche a conoscere autori che mai avrei pensato di affrontare fino ad un decennio fa.

Allo stesso tempo però mi sembra persino inutile parlarne, non c'è più spazio nella blogosfera per articoli del genere in una piattaforma che ormai insegue l'intrattenimento ed i numeri.

L'importante è apparire nelle ricerche di Google, a quanto pare.

Se parlo di Hugo so già che sarò noioso per la stra-grande maggioranza di utenti che nemmeno aprirà il post.

Ho sempre pensato a questo spazio come al lancio di un salvagente o ad una boa a cui appoggiarsi nel mare del web per i naviganti lettori ed infatti anche quando non scriverò più lascerò andare questo blog alla deriva come una Mary Celeste con ancora tutti i suppellettili a bordo.

Perché so che ci sarà qualcun'altro come me che andrà nelle ricerche a cercare il titolo di qualche romanzo e che magari approderà qui e magari comprerà persino quell'opera ed io non sarò qui ad elemosinare qualcosa come nelle affiliazioni Amazon che stanno fioccando come funghi negli altri spazi virtuali.

Non ho mai scritto per soldi, non ho mai chiesto libri gratis e non li voglio neppure, ciò mi rende una figura un po' desueta per quel che concerne il presente letterario.

Ed in più non voglio elemosinare libri e fare da pubblicitario alle CE.

Però se non lo fai non esisti, sei invisibile.

In più non ci metto manco la faccia, il pigiama, il sorriso ed il fisico come fanno molti altri maschi su Instagram.

Sono colui che si nasconde, persino un po' misantropo per certi aspetti, perché io vengo dopo del libro di cui parlo, e deve essere lui protagonista, non io.

Forse è per questo che sento di non appartenere più a questo tipo di divulgazione ed anche ad una blogosfera che si sta trasfigurando per rincorrere l'utente randomico della ricerca di Google.

Mi sembra di scrivere per anime ataviche.

Non più per me stesso, ma per cercare altri alieni nello spazio.

E patisco sempre più la solitudine virtuale di parlare di cose vetuste che non interessano se non in ambiti più social.

Ha senso scrivere un post che verrà letto da trenta o quaranta persone in tutto?

A volte me lo chiedo.

A proposito ho già superato il punto in cui il post diventa troppo lungo?

Chissà. :-P

Comunque, tornando a noi, che narratore, Victor Hugo, ragazzi!

A volte parte per la tangente e diventa difficile stargli dietro, soprattutto quando si lancia in descrizioni chilometriche degli anfratti della Parigi medievale o negli elenchi di Lord inglesi e francesi, ma superati quegli scogli narrativi, quanta bellezza nelle sue storie, quanti eventi iconici e quanta teatralità.

E soprattutto che finali che scrive, capaci di sconquassarti l'anima e farti gridare perché.

Ha una forte impronta teatrale e scenografica, in cui le parole si trasfigurano subito in immagini nella mente, o almeno è l'effetto che fa a me.

Sia Notre-Dame De Paris che L'uomo che ride, hanno per protagonisti dei veri e propri freak, persone deformi o comunque con tratti particolari, ma sia Gwynplaine che Quasimodo si dimostrano più integri di tutti gli altri personaggi che gli gravitano intorno.

Sembra che il personaggio del Joker di Batman sia ispirato proprio alla figura di Gwynplaine, la cui faccia fin da bambino è stata sfigurata in quella di un volto dal sorriso perenne.

Entrambi i romanzi si portano dietro una forte componente grottesca che nel caso di Notre Dame de Paris talvolta sfiora persino l'horror.

Incredibile che un romanzo del genere sia oggi più famoso per l'adattamento Disney.

La verità è che questi due romanzi di Victor Hugo sono due veri e propri mattoni ed oggi noi non abbiamo più tempo da perdere in queste robe.

No ai libri lunghi, no agli articoli lunghi, dobbiamo essere smart e short perché a noi piacciono anche i termini inglesi, e soprattutto dobbiamo parlare del presente e non della Francia e la Gran Bretagna medievale.

Siamo nel 2020 e quindi da domani anch'io dovrei mettermi a parlare del GF, Uomini & Donne, se è meglio la Carne Simmenthal o la Manzotin o fingermi esperto di attualità oppure se è più forte Hulk o la Cosa.

Non lo so, mi sento vecchio e sorpassato.

Non so più se vale la pena essere presente virtualmente in un luogo dove ormai sono invisibile.

Non voglio essere il Nonno Simpsons che nessuno vuole ascoltare.

Forse muoio.

D'altronde condividerei il destino di Gwynplaine e Quasimodo, che però agli occhi di ogni nuovo lettore rivivono ancora dopo un secolo.

Quindi, chissà, Blogger e Google permettendo, qualcuno approderà qui tra chissà quanti anni ed io sarò ancora nell'etere, anche quando questo spazio non sarà più aggiornato.

Ed io il momento del trapasso virtuale lo sento molto vicino.


"... Recita la commedia! Il fatto straziante era che lui stesso rideva. una spaventosa catena gl'imbrigliava l'anima, impedendo al suo pensiero di salire fino al volto. Lo sfregio raggiungeva anche il suo spirito, e mentre la coscienza s'indignava, la faccia lo smentiva ridendo. Era finita. Egli era l'Uomo che Ride, la cariatide di un mondo in lacrime. Egli era l'angoscia pietrificata in ilarità, sosteneva il peso di un universo di disgrazie, ma era murato per sempre nella giovialità, nell'ironia, nel divertimento altrui; egli condivideva con tutti gli oppressi, di cui era l'incarnazione, l'atroce destino di una desolazione non presa sul serio; si scherzava con la sua miseria; era una specie di grande pagliaccio generato da uno spaventoso concentrato di sventure, un evaso dal bagno penale, divenuto Dio,  salito dalle profondità del popolino fino ai piedi del trono, confuso con le costellazioni, e che, dopo aver divertito i dannati, divertiva gli eletti! Tutto ciò in lui era generosità, entusiasmo, eloquenza, cuore, anima, furore, collera, amore, dolore inesprimibile, finiva in uno scoppio di riso! Ed egli constatava, come aveva detto ai lords, che quella non era un'eccezione, ma un fatto normale, ordinario, universale, un fatto così prominente e confuso con le abitudini della vita, che non ce se n'accorgeva più. Ride il morto di fame, ride il mendicante, ride il forzato, ride la prostituta, e anche l'orfana, e per guadagnarsi da vivere, ride, ride lo schiavo, ride il soldato, ride il popolo; la società umana è fatta in tal modo che tutte le perdizioni, tutte le miserie, tutte le catastrofi, tutte le febbri, tutte le ulcere, tutte le agonie, si risolvono in una spaventosa smorfia di allegria sopra l'abisso. Egli era quella smorfia assoluta. Essa era lui. La legge celeste, la forza ignota che governa, aveva voluto che uno spettro visibile e tangibile, uno spettro in carne e ossa, riassumesse quella mostruosa parodia che chiamiamo mondo, ed egli era quello spettro. "

L'uomo che ride - Victor Hugo.