venerdì 10 dicembre 2021

Melmoth l'uomo errante - Charles Robert Maturin

Pubblicato nel 1820, Melmoth l'uomo errante può essere considerato una sorta di seguito apocrifo de Il Monaco di Lewis o quantunque un palese omaggio a quest'ultimo.

Il romanzo è ambientato anch'esso a Madrid ( per buona parte ), vi è la medesima struttura narrativa, e c'è persino una scena in corso d'opera in cui cita proprio il monastero teatro di molti dei capitoli del libro di Lewis.

Entrambi sono anche metafore di una feroce critica alla chiesa spagnola del periodo ed ai metodi dell'inquisizione.

In verità pur essendoci parecchi punti in comune ed una struttura similare fatta di interludi, Melmoth è molto più stratificato e di difficile lettura.

Lewis pur concentrandosi su molti personaggi, risultava a livello di lettura molto più coeso, mentre ad un certo punto il libro di Maturin sembra partire per la tangente e lasciare per strada la trama principale.

Parliamone dopo la sinossi:

Nell'autunno del 1816 il giovane John Melmoth lascia il Trinity College di Dublino per assolvere un compito ineludibile: assistere uno zio moribondo dal quale dipendono tutte le sue speranze di indipendenza economica. Nella decrepita casa in cui si reca, John viene accolto da un avvizzito vecchio in preda al delirio, che lo supplica di alleviare le sue pene portandogli del Madeira, conservato gelosamente in un ripostigli chiuso a chiave in cui nessuno mette piede da oltre sessant'anni. Nello sgabuzzino dalle finestre murate John scopre un dipinto datato 1646. L'opera cela qualcosa di oscuro e terribile, che traspare con evidenza dallo sguardo spaventevole dell'uomo ritratto. Dalle labbra dello zio morente, John apprende che quel volto appartiene a un lontano parente, un uomo che avrebbe dovuto essere morto, essendo vissuto oltre centocinquant'anni prima, e invece vive ancora. Un antenato che ha ventudo l'anima al diavolo in cambio dell'immortalità, e che da allora vaga per il mondo in cerca di qualcuno che accetti di prenderne il posto. È «Melmoth l'Errante», un discendente dell'Ebreo Errante, il ciabattino che, secondo una leggenda, vedendo passare Cristo sulla via del calvario, gli scagliò contro una ciabatta e venne condannato a vagare sulla terra fino alla fine dei tempi. Così ha inizio uno dei capolavori della letteratura gotica, un romanzo capace come pochi di suscitare raccapriccio nei lettori. L'autore, il reverendo Charles Robert Maturin, calvinista e prozio di Oscar Wilde, covava in sé l'oscura ambizione di «spingere il romanzo gotico al di là dei limiti più estremi, superando Erode in crudeltà e destando più scandalo e scalpore di chiunque l'avesse preceduto». Ma come ricorda Sarah Perry nell'introduzione e questo volume, «non basta infercire un racconto di ceri e manoscritti, o descrivere fanciulle che vagano in camicia da notte in oscuri sotterranei: per funzionare il racconto gotico esige che il lettore provi lo stesso brivido delizioso dei personaggi che incontra sulla pagina».

La prima parte di questo libro, almeno fino al primo interludio è molto lineare ed evocativa.

Ambientata in quel di Dublino facciamo la conoscenza dell'ultimo degli eredi dei Melmoth mentre torna a casa ad occuparsi del vecchio zio morente.

La richiesta in punto di morte dello zio al nipote è piuttosto strana, ovvero quella di bruciare un ritratto di uno degli avi della famiglia, ma sorpresa delle sorprese l'uomo del quadro si presenta al capezzale dello zio morente, praticamente piombando in stanza dal nulla e scomparendo subito dopo la morte del vecchio Melmoth.

Da qui in poi il giovane John Melmoth cercherà di saperne di più sulla figura di questo individuo che sembra vivere molto più dei comuni mortali e che sembra portare morte e sventura su chi osa incrociarne il cammino.

Come dicevo la prima parte è molto intrigante e suggestiva.

Assistiamo a numerose narrazioni sulle imprese di quella mefistofelica creatura che sembra avere così poco d'umano, e la trama sembra andare in linea retta, fino ad una notte tempestosa in cui una nave si arena e si infrange sotto al promontorio di casa Melmoth sotto lo sguardo sardonico dell'uomo errante nella più potente della apparizioni di questo personaggio che tanto ricorda quella del quadro de il viandante sul mare di nebbia ( che non a caso è stata usata come copertina del libro nell'edizione Neri Pozza ).

John soccorre un naufrago, e da qui parte un lunghissimo interludio che copre praticamente l'intero romanzo.

Ed è qui, che questo libro si complica.

L'interludio si rivela una sorta di matrioska con una storia nella storia.

Nella lunghissima prima parte si ritorna dalla parti de Il monaco di Lewis.

L'impostazione è quella classica e gotica che ormai ho imparato a conoscere.

Anche qui si parte con un uomo sofferente ed allettato che racconta la sua storia, e come sempre si tratta di un uomo appartenente ad una famiglia facoltosa ovvero quella dei Moncada di Madrid.

Quest'ultimo è il primogenito dei Moncada, ma essendo nato prima del matrimonio dei suoi genitori sarebbe per la gente e la chiesa considerato illegittimo e quindi a soli tredici anni viene convinto con l'inganno e con delle vere e proprie torture psicologiche ad intraprendere la vita monastica.

Le peripezie di questo personaggio ricordano moltissimo quelle di alcuni personaggi del romanzo di Lewis, e l'atmosfera si fa gotica, penitente e punitiva, perché ovviamente il giovane Moncada farà di tutto per sfuggire a quella vita, anche a costo di finire nelle mani dell'inquisizione.

Questo interludio è molto interessante, ma fin troppo lungo.

Ovviamente ci sono dei punti in comune con la trama principale, perché Moncada riceverà l'aiuto non solo del fratello, ma anche...dell'uomo errante.

Ma ogni qual volta che interviene quest'ultimo la sventura è dietro l'angolo.

La seconda parte dell'interludio è dedicata proprio all'uomo errante ed è la parte più strana e prolissa del romanzo, perché praticamente assistiamo ad una dannata storia d'amore tra lui e una giovane naufragata su un'isola, venerata quasi come una Dea e che conosce poco o nulla dell'animo umano.

Questa parte è veramente assurda, perché somiglia più ad una ballata ed ad una tragedia shakesperiana, in cui un'anima votata al male finisce con il provare sentimenti, ma allo stesso tempo non può rinnegare la sua natura demoniaca.

I due si ritroveranno successivamente in quel di Madrid, dove la giovane naufraga che nel frattempo è stata ritrovata dalla famiglia ( ovviamente facoltosa ) è pronta ad essere data in sposa nonostante quest'ultima sia innamorata dell'uomo errante.

Insomma questo romanzo è diviso in tre tronconi con il solo ed unico denominatore comune dell'uomo errante, ma risulta oltremodo sfilacciato, soprattutto perché lascia parecchio in sordina la trama principale che trova il suo snodo solo nei capitoli finali.

In pratica per tre quarti di romanzo troviamo John Melmoth ad assistere ad un racconto al capezzale di Moncada.

Diciamo che la prima parte lasciava presagire un romanzo diverso.

E' molto difficile per me dare un parere su questo romanzo, perché è pieno di avvenimenti sicuramente interessanti e coinvolgenti, ma anche di parti inutilmente lunghe e prolisse.

Le pagine dedicate alla strana ed inquietante storia d'amore tra Immalì/ Isidora e l'uomo errante sono assurde, piene di lungaggini, ma allo stesso tempo molto suggestive, però in un certo senso sono persino inutili nell'economia della storyline.

Sì, ci permettono di conoscere meglio la personalità e la natura dell'uomo errante, ma poco altro.

Insomma, Melmoth l'uomo errante è uno dei libri più strani e particolari che io abbia mai letto.

Non è un libro facile, e sono convinto che oggi gli editori lo avrebbero affettato con l'accetta.

Sicuramente Charles Robert Maturin ci dona uno dei personaggi cattivi più sfaccettati della narrativa gotica, ma non è un libro per tutti.

Io ci sono arrivato dopo aver letto Il Monaco, che avendo una struttura simile mi ha permesso di avere un cammino più agevole nella lettura sul peregrinare di quest'uomo che tanto ricorda il Caino biblico.


Alla prossima!




giovedì 25 novembre 2021

Billy Summers - Stephen King

L'ultima fatica di Stephen King è uscita a ridosso del mio compleanno, e quindi avevo la scusa per auto-assolvermi dal comportamento degno di un fan boy che compra l'opera del proprio autore preferito il giorno della sua uscita.

Ci ho messo un po' a leggerlo poiché Il Monaco si è rivelata una lettura piuttosto impegnativa, e quindi il mio post arriva un po' fuori tempo massimo.

Ormai nella bolla letteraria ne hanno parlato tutti, chi nei blog, chi nei siti di riferimento del settore, e sia sui social.

Basterebbe una sola frase per definire questo libro: Stephen King incontra Ed Bunker.

Parliamone dopo la sinossi:

Billy Summers è un sicario, il migliore sulla piazza, ma ha una sua etica: accetta l'incarico solo se il bersaglio è un uomo davvero spregevole. Ora ha deciso di uscire dal giro, ma prima deve portare a termine un'ultima missione. Veterano decorato della guerra in Iraq, Billy è tra i più abili cecchini al mondo: non ha mai sbagliato un colpo, non si è mai fatto beccare - una specie di Houdini quanto si tratta di svanire nel nulla a lavoro compiuto. Cosa potrebbe andare storto? Stavolta, praticamente tutto.


Non è la prima volta che Stephen King si cimenta in una storia che vira esclusivamente sul crime e sul pulp, basti pensare ad alcuni racconti pubblicati nelle sue raccolte o anche a libri come La metà oscura che in origine doveva essere un romanzo pulp ( non a caso tra un capitolo e l'altro del libro ci sono alcuni estratti del romanzo d'origine ).

King stesso più volte nei suoi saggi e nelle sue interviste cita spesso autori del genere come MacDonald, Westlake o Ellroy, e se vogliamo anche la trilogia di Mr. Mercedes almeno inizialmente è figlia dei romanzieri del genere.

Insomma, associare Stephen King alla narrativa crime, pulp, thriller o vattelapesca, non è una bestemmia.

Uno degli aspetti che più mi ha sorpreso, è che in questo libro non c'è nessuna deriva orrorifica e soprannaturale ( ok, c'è un cammeo dedicato a Shining, ma è poca roba ), come avveniva nell'ultimo libro della trilogia di Mr. Mercedes, chiusa con un modus operandi diverso ed inspiegabile rispetto ai due precedenti.

Chissà, magari con questo libro, King ha capito che non è obbligatorio che ci sia una commistione di generi, e che quindi può uscire dal suo seminato abituale.

Ed infatti la mia idea in tal senso è che la camminata oltre i confini dell'horror gli ha fatto bene, perché Billy Summers è un'opera più fresca ed interessante rispetto a molti dei suoi ultimi libri.

Sia chiaro, parliamo di un romanzo di genere, un'opera molto scorrevole ed action, ma che si rivela anche più profonda del previsto, anche grazie alla sapiente scrittura del personaggio principale, che personalmente ho trovato ben costruito.

E' tutto oro questo libro?

No, personalmente io l'ho trovato molto altalenante.

La parte action è piuttosto buona, secondo me.

Cioè è avvolgente e ben narrata, e spinge il lettore alla curiosità e trasmette la giusta suspence.

Non vedevo l'ora che Billy Summers portasse a termine il suo incarico e le relative conseguenze, che fin dall'inizio appaiono molto sfumate e pericolose anche per la sua stessa esistenza.

Ciò che non mi ha convinto sono le interazioni tra i personaggi, piuttosto veloci, con dei rapporti umani che si fidelizzano troppo in fretta in corso d'opera.

So che è un libro d'azione, e quindi non rappresentano lo snodo fondamentale, però non mi hanno convinto, devo dirlo.

Però per parlarne è necessario dare un minimo di contesto: Billy è un assassino di professione, ex marine, che per svolgere il suo ultimo incarico deve assumere una nuova identità e mischiarsi agli abitanti di una cittadina.

Ecco, diventa quasi subito il beniamino del quartiere.

Ok, si presenta come un aspirante scrittore, ma mi paiono esagerati tutti i salamelecchi dei vicini di casa.

Per carità, io non conosco molto le abitudini degli americani riguardo al buon vicinato, al massimo ne ho una parziale visione attraverso i telefilm o il cinema, ma a me, cotanta fiducia mi è sembrata implausibile.

Del tipo che i vicini lasciano tranquillamente che i loro figli piccoli giochino a monopoli nello scantinato di casa da soli con il nuovo arrivato o che se lo portino a spasso nelle loro gite.

No, non sono la Signora Lovejoy di turno, ma mi sembra una visione molto vecchio stampo quella di King, dubito che i genitori di oggi siano così bendisposti verso uno semi-sconosciuto, ma magari sbaglio io, chissà.

Insomma la parte iniziale di questo libro a me è sembrata parecchio romanzata.

E' così anche per quel che concerne la co-protagonista del libro, la cui conoscenza con il protagonista avviene in maniera turbolenta e frutto di una coincidenza che definire assurda è poco.

Insomma nel contesto narrativo le relazioni umane sono quelle che mi hanno convinto di meno.

Riguardo il resto, invece è un buon libro, ben più profondo di quel che appare.

Billy Summers è un personaggio ben strutturato.

Billy si finge uno scrittore, ma è anche quello che vorrebbe essere.

Si cimenta scrittore e trova gusto nel farlo.

Si rivela abile non solo nel tenere in mano un'arma, ma anche una penna.

King attraverso questo personaggio ci parla anche della struttura di una storia narrativa e lo fa con maestria.

L'autobiografia di Billy, in cui King utilizza come suo solito un font diverso, è decisamente la parte più bella di questo romanzo.

King è sempre abilissimo nei racconti di formazione, e tutta la storia relativa all'infanzia, all'arrivo in una casa famiglia, ed anche i capitoli dedicati all'arruolamento nell'esercito con relative missioni in Iraq, è parecchio incisiva.

Per certi versi, molto più della parte prettamente action del romanzo, che è fin troppo canonica, secondo me, e su cui c'è poco da segnalare, poiché il percorso narrativo è molto standardizzato.

Cioè è divertente, ben narrato, ma non meritevole di approfondimento, chi ha un minimo di infarinatura del genere, sa già cosa aspettarsi.

Qualche botto a sorpresa c'è, ma tutto sommato è molto lineare.

Menzione anche per il finale, che è piuttosto evocativo.

Insomma, non credo che King ruberà il mestiere ai maestri del genere, ma Billy Summers è certamente un libro scorrevole e divertente.

Insomma, un libro in cui i mostri sono tutti umani, ed in cui il tessuto della realtà è strappato, non da un fantasma o da un mostro con gli artigli, ma a colpi di pistola.


Alla prossima!



giovedì 11 novembre 2021

Il monaco - Matthew G.Lewis

Ho corteggiato questo libro per parecchio tempo, almeno dai tempi in cui ne venni a conoscenza durante la lettura del saggio Danse Macabre di Stephen King.

So che inizio spesso i miei post in questo modo, ma è la realtà dei fatti.

Molti dei romanzi che ho desiderato leggere, soprattutto in salsa gotica ed horror, provengono da quel libro.

Leggere i romanzi precursori del genere che prediligo di più è sempre stato uno dei miei obiettivi, e quindi è da tempo immemore che Il Monaco era in lista.

Avevo deciso di aspettare l'uscita dell'edizione RBA, ma poi girovagando tra le bancarelle librarie mi è capitato sottomano in un'edizione vecchia de I Mammut della Newton contenente alcuni dei libri gotici più famosi.

In quella raccolta c'erano alcuni romanzi che ho già letto, uno a cui non ero interessato, ma anche altri due che ho sempre desiderato leggere: Il Monaco e Melmoth l'errante, ma del secondo parleremo in un prossimo futuro, ancora non l'ho nemmeno letto.

Magari l'edizione non è il massimo della leggibilità per via della massa, ma anche del font parecchio fitto, ma al prezzo di 2 Euro è stato un affarone.

Andiamo di sinossi, pescata su Amazon, e fin troppo spoiler per i miei gusti:

Il romanzo, ambientato a Madrid, narra del monaco cappuccino Ambrosio, il quale, celebrato per la propria presunta santità, diviene il confessore più ricercato e colui alle cui prediche domenicali presenzia tutta la città. Ma il demonio è in agguato: sfruttando alcuni aspetti della sua personalità che egli non riconosce come proprie debolezze, lo condurrà nell'abisso della perdizione, avviluppato nel quale Ambrosio compirà una serie di azioni nefande che culmineranno nella vendita della propria anima. Il Monaco (A Monk: a romance), pubblicato per la prima volta nel 1796, è una gothic novel, il primo e più famoso lavoro dell'autore britannico M.G. Lewis. Il romanzo ebbe subito notevole successo, tuttavia non senza suscitare grande scandalo. L'opera infatti si pone nell'ambito della tradizione del romanzo gotico tedesco, e ne contiene tutti gli elementi di genere: castelli, abbazie, conventi, segrete, fantasmi, ma anche violenze, stupri, incesti, presenze demoniache. Nel 1798, allora, l'autore ne propose una versione censurata, priva di alcune delle situazioni più scabrose, ma ciò nonostante dai toni ancora molto forti, anche per lettori del XXI secolo.



Partiamo dal fatto che io ho letto questo libro senza conoscere nulla del suo contenuto e quindi me lo sono goduto molto di più.

E' stato bello scoprire la natura di un personaggio in corso d'opera, che appariva fin troppo surreale già dalle pagine iniziali, ma di cui anche facendone il nome sarebbe come spoilerare mezzo romanzo.

Ecco, trovo assurdo che già nella sinossi si parli della natura infernale di parte di questa storia, che per gran parte del romanzo non viene nemmeno accennata.

Capisco che parliamo di un romanzo del 1796, ma praticamente è come svelare gli snodi principali della trama, mah.

infatti mi giustifico fin dall'inizio dicendo che non sarà facile parlare di questo libro.

Prima di tutto parliamo di un romanzo del 1795/96 con tutto ciò che comporta in termini stilistici, ma anche contenutistici.

Contestualizzarlo è importantissimo, e bisogna entrare nel modo di vivere e porsi di quel periodo, quindi accettare una certa pomposità di fondo, e dei personaggi che si comportano in maniera un po' enfatica e teatrale.

Soprattutto per quel che concerne i rapporti sentimentali.

Questo romanzo all'epoca della sua uscita fu un autentico caso poiché è un romanzo dalla forte componente erotica.

Una componente erotica piuttosto malsana in realtà.

E' un libro di tentazioni, che sfociano in maniera sordida e lussuriosa, di cui cade vittima Ambrosio, il monaco protagonista di questa storia.

In realtà Ambrosio non è l'unico protagonista, le sue vicende si intrecciano con quelle di alcuni personaggi, e sono parecchi gli interludi in cui il monaco è fuori fuoco.

Prima di tutto parliamo di lui.

Ambrosio è un personaggio assurdo.

Un personaggio che cede alla lussuria e che si comporta peggio di un quindicenne ai primi approcci.

Rinuncia al voto di castità per una donna, ma si stanca di lei dopo una settimana, si invaghisce di un'altra, e per averla è disposto anche ad uccidere ed a stuprarla.

Minchia, che persona retta, vero?. :-P

Il monaco è un libro davvero ricco di eventi.

Superata una certa ampollosità iniziale, si viene catapultati in un romanzo che è anche abbastanza action per l'epoca.

Infatti le vicende di Ambrosio si mischiano a quelle di altri personaggi, tra cui Antonia, la giovane donna concupita sia da Ambrosio che dall'altro protagonista della storia ovvero Lorenzo, per poi passare ad Agnes sorella di Lorenzo e novizia suora che però ha una relazione con un marchese amico di Lorenzo, Raymond.

Gran parte degli avvenimenti avvengono in un monastero ed un convento di suore collegati tra loro attraverso una cripta in quel di Madrid.

Il romanzo ha anche una forte componente non solo gotica, ma anche religiosa, quella più bigotta ed intransigente, ma anche parecchio ipocrita.

Lewis ci infila veramente di tutto, fughe, omicidi, tradimenti, cripte terrificanti con tanto di passaggi segreti, riti magici, briganti, fantasmi, e persino l'ebreo errante e l'inquisizione.

Devo ammetterlo, è un libro che a tratti mi ha preso davvero tanto.

Certo, forse c'è fin troppa carne al fuoco, e bisogna passare sopra ad un po' di scene che come dicevo all'inizio sono molto teatrali e sopra le righe, ovvero quelle classiche scene di donne svenevoli e piuttosto ingenue, scene di pianti al capezzale o uomini che si contorcono nel letto per settimane e mesi per il dolore, o riti di corteggiamento un po' desueti che oggi fanno un po' sorridere, e che Lewis utilizza benissimo ai fini della trama.

Il monaco è un gran bel libro.

Anche se tratta di argomenti non proprio idilliaci, riesce ad essere piuttosto conturbante, e quest'ultimo è un aggettivo che non ho usato a caso.

Non è un romanzo per tutti, lasciatemelo dire.

Capisco perché all'epoca della sua uscita fu giudicato così scabroso.

Il finale è veramente terrificante e sorprendente, cioè lo sarebbe se non leggeste la sinossi. XD

Cioè, sorprendente forse no, però spiega almeno un po' il comportamento assurdo di un personaggio in particolare, che fino a quel momento è molto difficile trovare credibile.

Sono veramente contento di aver colmato l'ennesima lacuna, e spero che anche Melmoth mi risulti interessante quanto Il monaco di Lewis.

Prima però mi dedicherò all'ultimo libro di Stephen King, che per una volta sono riuscito a comprare proprio il giorno della sua uscita.


Alla prossima!




sabato 6 novembre 2021

Fluke l'uomocane - James Herbert

Chi mi conosce da tempo credo sappia che James Herbert è uno dei miei scrittori preferiti.

Per fortuna gran parte delle sue opere sono state pubblicate in edizione Urania e quindi sono facilmente rintracciabili in qualsiasi mercatino dell'usato.

Tutte tranne una : I topi.

I topi è l'unico romanzo che è stato pubblicato sotto un'altra etichetta ed ad oggi è praticamente introvabile nel circuito delle bancarelle.

In verità il romanzo è facilmente raggiungibile su Ebay, ma veleggia su prezzi proibitivi.

Proprio mentre scrivevo questo post c'erano due inserzioni in cui il romanzo veniva venduto sui 50/60 Euro.

Noccioline, direi, se fossero d'oro. :-P

Messomi il cuore in pace per l'unico libro che difficilmente potrò leggere di questo autore, ho recuperato con il tempo l'unico altro suo lavoro che mancava alla mia collezione, Fluke l'uomocane.


Fluke l'ho incrociato parecchie volte nei mercatini, ma ogni volta decidevo di non prenderlo.

E' l'unico romanzo di Herbert la cui sinossi non mi convinceva.

L'ultima volta che sono stato al mercatino delle pulci mi sono fatto vincere dalla curiosità e con il senno di poi posso dire di aver fatto bene.

Fluke mi è piaciuto molto.


Partiamo da una premessa, che è anche uno dei motivi per cui non ero convinto di questo libro.

Io non sono un grande amante degli animali.

Non ne ho mai avuti in casa, ed a tutti gli effetti, cani e gatti mi sono abbastanza indifferenti.

Cioè non li odio, ma non riesco ad avere quell'empatia che contraddistingue tutti coloro che amano gli animali.

Al massimo a casa, da piccolo, ho avuto una tartaruga di terra, quando era ancora legale possederne una.

Detto ciò, leggere una sinossi di un romanzo in cui il protagonista è un cane che pensa come un uomo, non mi sollucherava moltissimo.

Però Herbert ci ha messo poco per farmi apprezzare questo romanzo.

Si può dire che Fluke è un libro molto diverso da tutti gli altri scritti finora da Herbert.

A volte sembra quasi sfondare la quarta parete, e la trama per gran parte del narrato è più tragicomica che fantastica.

In effetti è uno di quei romanzi che sfugge ad una precisa catalogazione.

A tratti è simpatico e divertentissimo, ma via via che si procede con la trama, la storia prende una piega sempre più cupa ed inaspettata.

Fino alle pagine finali che sono abbastanza sorprendenti.

Una in particolare mi ha ricordato tantissimo uno dei paragrafi più famosi de il racconto Il gatto nero di E.A.Poe.

Il romanzo è piuttosto semplice, in realtà.

Persino le risposte sulla natura di Fluke, sul perché sia in grado di pensare come un uomo, sono tra le prime che vi verranno in mente, non a caso è molto difficile associare questo scritto alla fantascienza più classica.

Però è scritto davvero bene ed è scorrevolissimo.

E' molto piacevole leggere le gesta di Fluke fin da quando è cucciolo.

In più è parecchio suggestivo il fatto che ragioni come un uomo, ma è costretto a seguire il suo istinto canino.

Durante l'elaborazione di questo post ho scoperto che ne è stato tratto anche un film, persino abbastanza recente visto che uscì nel 1995.

Mi ha sorpreso che il film praticamente fin dalla sinossi spoilera quella che è la natura di Fluke, cosa che nel romanzo diventa evidente solo in corso d'opera.

Ed è proprio quella struttura narrativa a rendere il libro ancora più interessante poiché le risposte arriveranno poco a poco, e nel mentre seguiremo soltanto la sua evoluzione canina.

A chi volesse leggere questo libro, consiglierei di non avvicinarsi manco per sbaglio alla trama del film.

Per carità, come dicevo all'inizio i misteri di questo libro sono piuttosto basici, ma è comunque bello seguire l'evoluzione dell'opera.

Herbert ha scritto un romanzo che è leggibile da tutti, anche dai più piccoli, almeno per quel che concerne i primi capitoli.

In più la natura tragicomica del romanzo non fa solo divertire, ma anche riflettere, soprattutto sul randagismo e sui suoi effetti, ma anche sulla natura dell'uomo al cospetto di un animale che considera inferiore.

Insomma questo libro potrebbe sembrare un'opera minore di James Herbert, ed io stesso l'ho sottovalutato, ma invece è un buon libro, che paradossalmente lascia qualcosa in più in termini emotivi, di altri suoi libri più ( giustamente ) celebrati.

Fluke merita.


Alla prossima!





martedì 26 ottobre 2021

I miei libri preferiti: Ti prendo e ti porto via / Io non ho paura - Niccolò Ammaniti

 " Preparati, perché quando passo da Bologna ti prendo e ti porto via. "


E' già capitato che in questo spazio io parlassi di Niccolò Ammaniti.

Si può tranquillamente dire che è stato il primo autore italiano che ho letto ed approcciato fino in fondo, e per tanto tempo, l'unica eccezione alla mia esterofilia.

Ti prendo e ti porto via addirittura lo lessi prima che in me attecchisse la passione per la letteratura.

E' una di quelle letture da edicola che facevo all'epoca.

Uno di quei rari casi in cui insieme ad un manga ed ad un fumetto Marvel tornavo a casa con un libro.

Beh, non era raro all'epoca incappare in edizioni da edicola molto valide ed anche convenienti da un punto di vista economico.

E' così che i primi libri di Stephen King sono entrati nella mia libreria, ed è stato così anche per Niccolò Ammaniti.

Ammaniti con me ha sempre giocato facile.

Io amo le storie di formazione, sono nato per leggerle, e lui ci ha sguazzato in questo genere per buona parte della sua bibliografia.

Possiamo dire che in un certo senso ha creato una vera e propria tetralogia, poiché Ti prendo e ti porto via, Io non ho paura, Come Dio comanda ed Io e te, partono tutti con premesse simili.

Addirittura ci potremmo anche infilare Anna, anche se è più un libro distopico e meno un racconto di formazione provinciale.

Ecco, la provincia è spesso protagonista delle sue storie.

Storie di agglomerati urbani, di gente coatta e spesso sopra le righe.

Ed in cui i ragazzini sono le principali vittime di contesti in cui sono costretti a crescere in fretta.

Nei romanzi di Ammaniti grottesco e storie di formazione diventano una miscela esplosiva.


Ti prendo e ti porto via è stato pubblicato intorno al nuovo millennio, ma appare ugualmente molto invecchiato, o meglio, oggi andrebbe contestualizzato parecchio.

Andrebbe contestualizzato per il modo di parlare dei personaggi, ma anche perché presenta alcuni personaggi oggi un po' desueti.

Da Erica Trettel che sogna di fare la velina e di andare in televisione ed ad essere disposta a tutto pur di  sfondare, a Graziano Biglia, una sorta di vitellone gitano, che oggi apparirebbe un po' patetico e manicheo.

Quello che mi piace di questo romanzo è che appare molto spontaneo e senza filtri.

Forse perché è il suo primo libro, ma appare meno costruito degli altri.

Ti prendo e ti porto via è una bomba.

Un romanzo di formazione che a prima vista sembra virare tra la commedia e il grottesco, ma che via via si trasforma in altro.

Una storia di vittime che diventano carnefici e di promesse non mantenute.

Ma sono soprattutto gli interludi a colpire.

Che sia il capitolo dedicato al bidello che durante la scappatella extraconiugale si porta a cena una prostituta di colore, a quello in cui due poliziotti incazzati fermano ad un posto di blocco una coppia di ragazzi fatti di cannabis.

Beh, ammetto che a volte l'autorità a me fa più paura di un horror.

C'è un po' di tutto in Ti prendo e ti porto via, e lo viviamo quasi tutto attraverso il piccolo protagonista Pietro Moroni.

C'è il bullismo, la violenza casalinga, i giri in bicicletta, l'amicizia ed i primi amori, la scuola e le promesse infrante.

A fare da contraltare al protagonista troviamo la professoressa Flora Palmieri, una zitella che si ritrova invischiata in una travagliata storia d'amore proprio con il tombeur de femme Graziano Biglia.

Ti prendo e ti porto via è un romanzo che consiglio senza riserve.

Non è un libro perfetto.

A volte i capitoli sembrano un po' sconnessi tra loro, ed ho spesso avuto la sensazione di un certo ermetismo di fondo per quel che concerne alcuni personaggi.

Però è un libro tremendamente spontaneo e travolgente.

Personalmente è l'opera che mi è più affine di Niccolò Ammaniti.

La lettera finale vale da sola l'intero romanzo.


E veniamo ad Io non ho paura, il romanzo che valse a Niccolò Ammaniti il premio strega, e che divenne un film diretto da Salvatores.

Romanzo volutamente più drammatico, ed anche più maturo e costruito.

Io non ho paura è cesellato e strutturato alla perfezione.

La trama è molto più solida di Ti prendo e ti porto via, ed oggettivamente come idea di base è potentissima.

Anche qui protagonista è un ragazzino di provincia, ma qui l'ambientazione è molto più rurale.

Ci troviamo in un paese indefinito del Sud Italia, ed è praticamente una storia d'amicizia tra un bambino e un altro bambino vittima di un sequestro.

A tenere in ostaggio questo bambino è...l'intero paese.

Storia che sembra surreale, ma meno di quanto si pensi.

Da un punto di vista stilistico è un romanzo splendido e vivo, quasi narrato per sottrazione.

In alcuni frangenti più che in un romanzo di formazione, si vira proprio nell'horror puro.

Cos'è che mi piace tanto di questi romanzi?

E' che pur essendo due romanzi che sembrano uscire da un immaginario pop e cinematografico anni '80, riescono a brillare di vita propria ed a rappresentare in tutto e per tutto la provincia italiana.

Segno che anche in Italia possano essere pubblicati romanzi di genere all'altezza della narrativa di Stephen King, Ray Bradbury o Dan Simmons.


Alla prossima!







martedì 5 ottobre 2021

Dune - Frank Herbert

 " Non devo aver paura. La paura uccide la mente.

La paura è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale.

Guarderò in faccia la mia paura. 

Permetterò che mi calpesti ed attraversi.

E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso.

Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla.

Soltanto io ci sarò. "


Il mio primo incontro con uno dei libri della saga di Dune avvenne circa una decina di anni fa nella solita rivendita polverosa e confusionaria di libri usati in cui bazzicavo a quel tempo.

L'ignoranza verso quest'opera era tale che in effetti non sapevo che fosse una saga e che quindi stavo per portare alla cassa un libro che poteva non essere il primo volume.

Quel libro quel giorno non lo comprai, poiché per entrambi i libri che avevo preso, il rivenditore mi sparò un prezzo sui 15 Euro e decisi quindi di lasciare Dune e di prendere solo l'altro.

Di ponti ne sono passati da allora, e quella rivendita manco esiste più.

Però questa saga mi è rimasta in mente per anni e speravo di incrociarla nelle bancarelle, ma non è mai accaduto.

Poi ho visto il trailer del film e mi sono innamorato dell'ambientazione, tanto da decidere di recuperare l'opera in qualche modo.


L'ho cercata su Ebay, ma sono scappato via subito visto che i vecchi libri dell'edizione Cosmo oro vengono venduti ad un prezzo abbastanza alto, però con il senno di poi e dopo aver comprato il primo libro in libreria, mi sono reso conto che se un lettore è interessato all'intera saga fa prima a prenderla su Ebay poiché comunque risparmia.

I prezzi dell'edizione Fanucci sono folli.

Solo per i primi due volumi si arriva a spendere 35 Euro e si superano tranquillamente le 100 Euro per tutti e sei insieme.

Dopo aver letto il primo volume però non sono convintissimo che anche disponendo di quella cifra, avrei proseguito nella lettura dei successivi.

La saga va in una direzione che va contro i miei gusti di lettore.

Andiamo un attimo di sinossi, e poi ne parliamo meglio:

Arrakis è il pianeta più inospitale della galassia. Una landa di sabbia e rocce popolata da mostri striscianti e sferzata da tempeste devastanti. Ma sulla sua superficie cresce il melange, la sostanza che dà agli uomini la facoltà di aprire i propri orizzonti mentali, conoscere il futuro, acquisire le capacità per manovrare le immense astronavi che garantiscono gli scambi tra i mondi e la sopravvivenza stessa dell'Impero. Sul saggio Duca Leto, della famiglia Atreides, ricade la scelta dell'Imperatore per la successione ai crudeli Harkonnen al governo dell'ambito pianeta. È la fine dei fragili equilibri di potere su cui si reggeva l'ordine dell'Impero, l'inizio di uno scontro cosmico tra forze straordinarie, popoli magici e misteriosi, intelligenze sconosciute e insondabili.


Oddio, forse non dovevo dirlo visto quanti fan ci sono di quest'opera.

Un'opera che in questo primo volume ho trovato suggestiva, affascinante e chi più ne ha più ne metta di aggettivi.

Non sono qui a farne una recensione anche perché oggettivamente ce ne sono già a milioni sparse sull'etere, però volevo fare sapere al mondo che anch'io trovo quest'opera bellissima.

Il romanzo è strutturato in modo pazzesco.

E' vero, la trama portante è basica, poiché in fondo in fondo è la solita storia del percorso dell'eroe, e Paul Atreides è una figura predestinata e messianica.

Il merito di Frank Herbert è stato non solo quello di creare una geografia narrativa interessantissima, ma anche di aver creato un pantheon di personaggi veramente vividi e tridimensionali.

La struttura a POV che tanto ricorda quella di Martin funziona alla perfezione ed è cesellata come un mosaico, in un percorso delineato alla perfezione.

In più è incredibilmente attuale per un romanzo che è stato scritto nel 1965, tanto che potrebbe essere stato scritto...domani, tanto per ripetere quello che ho scritto altrove.

Ho adorato il pianeta Arrakeen e la città desertica di Arrakis, mi sono innamorato dei Fremen e sono rimasto estasiato dinnanzi alla maestosità dei vermi delle sabbie.

In verità tutti gli usi e costumi in uso su quel pianeta sono fenomenali.

Sapiente anche l'uso che fa Herbert delle religioni, mischiando un po' di Bibbia ed Islam, ed anche elementi della nostra storia ( o comunque di quel tempo in cui il romanzo venne scritto ) tanto da poter considerare Arrakis come una sorta di Afghanistan fantascientifico ( funzione della donna a parte ).

Ma anche queste sono argomentazioni trite e ritrite per quel che concerne questa saga.

Di Dune e dei suoi simbolismi penso ne abbia parlato anche il tabaccaio sotto casa.

Incredibile il numero di opere che mi sono venute in mente durante la lettura, che hanno attinto da quest'opera.

Primo tra tutti Star Wars, ma questa l'avrete già letta centinaia di altre volte.

Ora probabilmente shockerò tutti i fan di questa saga, ma il mio personaggio preferito di questo primo volume è stato probabilmente il Barone Vladimir Harkonnen.

Un villain con i fiocchi: viscido, machiavellico, e la cui imponenza fisica dovuta alla sua obesità, atterrisce.

Appare in pochi capitoli, ma quei pochi sono indimenticabili.

E quindi, perché all'inizio ho scritto che probabilmente non continuerò nella lettura di questa saga?

Ci sono più motivi in verità.

Il primo è una questione di miei gusti personali per quel che concerne l'epica narrativa, ed una volta che il percorso dell'eroe viene concluso ho meno voglia di leggerne la prosecuzione.

Paul diventa onnisciente e troppo potente.

In più ho trovato il romanzo troppo accelerato sul finale.

Mi spiego: il romanzo supera abbondantemente le 600 pagine. Intorno alla pagina 400 il romanzo andava talmente lento ed in maniera così strutturata, che pensavo fosse impensabile che tutti i nodi potessero venire al pettine in così poco tempo, però Herbert ad un certo punto usa l'espediente del time skip portando l'opera in avanti di un paio d'anni.

Ecco, se da un punto di vista narrativo ci può stare, io l'ho trovato un po' in disarmonia con lo stile precedente, tanto che da lì in avanti gli eventi si susseguono ad un ritmo ben più accelerato.

Sia chiaro, dal punto di vista narrativo anche queste pagine sono bellissime ed avvincenti, ma per i miei gusti tradiscono un po' lo spirito delle pagine precedenti.

In più mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca il finale del libro.

Mi aspettavo un epilogo ed invece il libro si conclude come un fine capitolo.

All'inizio pensavo che la trama del prossimo fosse diretta conseguenza di questa e che quindi fosse un modo per stimolare la lettura del romanzo successivo della saga, ma leggendo la sinossi del secondo libro si scopre che la storia è ambientata molti anni dopo.

Ho anche altri dubbi narrativi su quel che concerne alcuni elementi solamente accennati e non narrati fino in fondo tipo la Gilda o anche L'imperatore e le altre casate, ma questi sono elementi che potrebbero essere sviluppati nei romanzi successivi quindi potrebbero essere dubbi facilmente dissolti.

Prima o poi penso che comunque almeno Messia di Dune lo leggerò, è anche più corto e meno costoso degli altri.

Mi piacerebbe sapere l'opinione di qualche lettore della saga, merita la prosecuzione?

Girando in rete, poiché ho cercato di informarmi il più possibile su questa saga, sembra che i volumi successivi non siano all'altezza del primo.

Comunque al di là di tutto, che dire: Dune è un'opera maestosa che merita tutti i premi ed il successo che ha avuto, e credo che vedrò anche il film.

Sono contentissimo di aver colmato un'altra delle mie lacune letterarie.

Qui piove, e forse non è l'ideale per parlare di Dune, visto che lì l'acqua scarseggia.

Quindi mi eclisso ed...

Alla prossima!



giovedì 23 settembre 2021

Il canyon delle ombre - Clive Barker

In questi venti giorni di assenza ho riscoperto il piacere dell'assenza virtuale e della lentezza nella lettura.

Inizio un po' a patire ed a trovare tossica la presenza ossessiva e quotidiana nei social ed anche la necessità di dover divulgare a tutti i costi.

Ci ho messo venti giorni a finire Il canyon delle ombre e non perché è un brutto libro, ma perché sentivo l'esigenza di dedicarmi a me stesso, e soprattutto di non leggere per dovere o per gli altri.

Comunque sono riuscito a portare a compimento il mio excursus su un'altra delle opere minori di Clive Barker, per quanto in un certo senso è difficile considerare minore un libro così corposo e sanguigno come questo.


Il canyon delle ombre è un'opera molto personale e sentita.

Si percepisce il sentore che l'autore abbia avuto un rapporto molto cattivo con il mondo del cinema hollywoodiano, e non a caso questo libro ce ne dona una versione molto malsana e mefistofelica.

Però andiamo prima di sinossi:

Todd Pickett è un attore ormai al tramonto. Dopo una plastica facciale con cui pensava di ritrovare il successo e che invece lo deturpa, si nasconde in un canyon fuori Los Angeles, ospite di una villa di proprietà di un produttore e di un'attrice famosi negli anni Venti, la cui bellezza è miracolosamente intatta. Qui scopre una misteriosa stanza chiamata "la Caccia", interamente ricoperta da un mosaico che raffigura scene infernali degne di Hieronymus Bosch: demoni, mostri, divinità, massacri di donne, uomini e bambini. Chi vi accede trova l'immortalità, e per questo molte celebrità di Hollywood vi si sono rifugiate, formando una bizzarra società di star defunte e mostri nati dai loro accoppiamenti con gli animali del canyon.


La sinossi è molto esplicativa.

La descrizione del dietro le quinte del mondo cinematografico, dell'arrivismo e del cinismo che ne determina le dinamiche, non appare solamente attuale, ma quasi imperituro, come se in fondo in fondo, Clive ci sussurrasse che è sempre stato così fin dall'inizio e che sempre così sarà.

Ce ne dona una visione molto realistica attraverso le gesta del protagonista della vicenda ovvero Todd Pickett, che da attore sulla cresta dell'onda ed idolo delle masse, si ritrova ad essere considerato già vecchio a trent'anni, come si trattasse di un'icona intercambiabile.

Inoltre il fatto che vengano citati personaggi veramente esistiti ed alcuni esistenti, dona alla vicenda un che di realistico e di voyeuristico, come se ci si trovasse in un backstage, un dj set, un galà o per restare terra terra, un GF Vip. :-P

Ovviamente tutto ciò funge da contesto, perché il romanzo vira molto presto nell'horror puro, con elementi molto cari all'autore quali la presenza di figure mostruose ed ibride degne di un pantheon lovecraftiano in salsa ghost story.

Insomma cambia il contesto, ma Clive ci infila sempre nei suoi romanzi mondi al di là del nostro e mostri quasi antropomorfi.

In un mood che a lungo andare, per un suo lettore, può diventare ripetitivo.

Ed è un dato di fatto.

Nonostante ciò Il canyon delle ombre mi è piaciuto abbastanza.

Come in Gioco Dannato, il prologo è spettacolare.

Anche qui l'autore ci porta nel passato, spalancando le porte agli eventi futuri.

In più in questo libro Clive fa un gran bel lavoro per quel che concerne i personaggi, tutti tridimensionali e realistici, in cui son ben evidenziati anche i loro lati negativi.

Todd Pickett, per esempio, è un protagonista fin troppo atipico, in quanto arrogante, egoista ed affetto dal " divismo ", ma anche figura molto sola e patetica, per certi versi.

Esplicativo in tal senso è un capitolo piuttosto straziante e quasi inutile ai fini della trama, dedicato alla morte del suo cane, forse l'unico essere vivente veramente vicino al protagonista.

Motore della trama è un lifting mal riuscito al viso che porta Todd all'isolamento e alla fuga dai giornalisti e dal gossip in una villa nella montagne hollywoodiane, il Coldheart Canyon.

Dimora di una bellissima quanto misteriosa donna che somiglia terribilmente ad una attrice famosissima negli anni '20, che proprio in quella villa si dilettava in feste piuttosto particolari.

Essendo un fantasy non tutto in questa storia appare plausibilissimo, ma dal punto di vista narrativo si può obiettare poco, è un libro dal gran ritmo, piuttosto vorticoso ed anche capace di colpi bassi.

Figura chiave, nonché miglior personaggio del romanzo, si rivelerà Tammy, capo del fan club di Todd che si ritroverà invischiata in questa storia.

Beh, Tammy che inizialmente ci viene presentata come una fangirl piuttosto tossica ed ossessionata, in corso d'opera si rivelerà il personaggio più genuino e positivo del romanzo.

E' ottimo il percorso di smitizzazione dell'idolo che fa compiere a questo personaggio, cosa che sarebbe molto utile anche a molti utenti odierni affetti dall'idolatria facile verso divi, influencer, divulgatori vari o creator vari di pagine Facebook o profili Instagram venerati quasi come divinità.

A differenza di Gioco Dannato, Il canyon delle ombre segue un percorso molto meno prevedibile e più sfaccettato.

Allo stesso tempo però è un po' affetto da una concezione orrorifica molto cinematografica ed anni '90, ed alcune pagine per quel che concerne il contesto della narrazione non sembrano molto credibili ed appaiono fin troppo romanzate e costruite.

Alcuni aspetti sono un po' contraddittori per quel che concerne il comportamento dei personaggi, ma ci si passa sopra tranquillamente.

Come dicevo inizialmente Barker gioca sul sicuro, utilizzando gli stessi topoi narrativi di sempre.

Questa volta l'ingresso in un'altra dimensione ( piuttosto infernale con tanto di Lilith e figlio del diavolo ) avviene attraverso un affresco o comunque una parete piastrellata che rappresenta il paesaggio di una caccia piuttosto peculiare.

Il canyon delle ombre è un libro molto crudo e sanguinolento, anche dal punto di vista sessuale.

Bisogna sempre tener conto che la scrittura di Barker è sempre molto estrema, da ogni punto di vista.

Barker osa, e non poco.

Per quel che mi riguarda è sempre piacevole rileggere i romanzi del buon Clive.

Anche Il canyon delle ombre così come Gioco Dannato appartiene al limbo dei fuori catalogo, ed attualmente viene venduto a cifre da capogiro su Ebay e nel circuito dell'usato.

Non cadete nella trappola ed in tentazione poiché mi ripeto ancora una volta, questi romanzi non valgono il prezzo a cui vengono venduti.

Avrebbe senso spendere 20 Euro solo se si trattasse di una nuova edizione con tanto di nuova copertina e nuova traduzione.

Ovviamente è un pensiero mio, non avendo minimamente il controllo del portafoglio altrui.

L'edizione in mio possesso, comprata su Ebay intorno al 2013/2014, è quella della Sonzogno, che all'epoca pubblicò il libro in formato paperback ed economico, e venne prezzata a 5,95 Euro.

Io avrò pagato questo libro sugli 8 Euro o giù di lì, più il piegolibri.

Con il tempo mi sto convincendo che una decina di anni fa, c'era meno speculazione per quel che concerne la letteratura.




Alla prossima!





mercoledì 1 settembre 2021

Gioco Dannato - Clive Barker

Qualche settimana fa avevo avuto la fissa di tornare dopo tanto tempo su Ebay per cercare i volumi che compongono la saga di Dune di Frank Herbert ad un buon prezzo, magari nella vecchia edizione della Cosmo oro.
Mi sono accorto di una cosa, ovvero che i prezzi dei libri, soprattutto dei fuori catalogo, sono triplicati.
Incuriosito mi sono quindi passato il tempo a cercare i volumi di alcuni scrittori fuori catalogo, tra cui Clive Barker, e ci sono rimasto di sasso.

Gioco Dannato viene venduto anche al prezzo di 25 Euro o anche più, il che fa ridere, francamente.

Non fatevi turlupinare, perché nessun libro usato merita di essere venduto al prezzo di uno nuovo.

Ebay comunque mi è stato utile, perché mi ha trasmesso la voglia di rileggere e di parlare di alcune delle opere meno conosciute di Clive, ed infatti in futuro ho intenzione di portare qui sul blog anche Il Canyon delle ombre.

Ho scoperto che è appena uscito al cinema un seguito di Candyman e che è in programma un telefilm su Hellraiser, mi auguro quindi che il buon Barker esca da quel limbo in cui è finito dalla fine degli anni '90.

Sarebbe ora che le sue opere venissero ristampate, così la gente la smetterà di provare a spillare denaro agli appassionati della letteratura horror.

Nel 2014/2015, periodo in cui io ero entrato in fissa con quest'autore, i suoi libri venivano venduti a meno di 10 Euro, a parte alcuni introvabili.

Ed è quello il loro valore.
O almeno è il valore che do io ad un libro usato.

Ma bando alle ciance, com'è andata la rilettura di Gioco dannato?

La prima cosa da dire è che io di questo libro non ricordavo nulla.
E' stato anche uno dei motivi per cui l'ho riletto.
Questo potrebbe essere un segnale d'allarme, nel senso che se ne potrebbe ricavare che sia stata un'opera che non mi ha lasciato nulla, in verità non è sempre così.
Cioè sicuramente Gioco dannato non è un libro immortale, uno di quelli che non dimentichi, ed infatti io l'ho scordato, ma in quel periodo avevo il vizio di leggere libri consecutivamente non lasciando il tempo alla mia mente di elaborare il tutto.
Insomma è come quando in Tv si guarda un film ogni sera, ad una certa si comincia a dimenticare ciò che non ci colpisce particolarmente.

Io non inserirei Gioco dannato tra le migliori opere di Clive Barker.
Però allo stesso tempo è un libro che ha parecchie frecce al proprio arco.
Prima di tutto ha un pantheon di personaggi di tutto rispetto, molto sfaccettati ed imprevedibili, ed il villain è un personaggio veramente complesso e ben scritto.

Il prologo, per esempio, è da applausi.

Andiamo di sinossi:

Uscito dal carcere, Marty assapora finalmente il piacere di una vita comodo quando viene assunto come guardia del corpo di un magnate. Trova perfino l’amore, legandosi alla figlia del miliardario. Ma una serie di eventi agghiaccianti sconvolge presto l’esistenza di tutti e Marty scopre che il suo padrone è minacciato da un terribile nemico, giunto a reclamarne l’anima corrotta. In uno scenario apocalittico si prepara dunque lo scontro finale tra i due rivali, fase culminante di un lungo, sinistro, gioco dannato.


Non definirei Gioco Dannato un horror classico.
Ha elementi orrorifici, ma si avvicina più ad un thriller/ action con elementi gotici e slasher.
Il sangue non manca ed alcune scene sono molto crude e ricche di gore.
Il mood è parecchio anni '90, e quindi Marty il protagonista di questo libro è un po' specchio del periodo, oltre che essere un personaggio piuttosto prevedibile.
Il percorso del romanzo, con un protagonista simile, è piuttosto netto.
E' la storia del classico macho ex-galeotto muscoloso e bravo a menar pugni che nemmeno arriva a lavorare per il suo capo, che ha già in canna una storia d'amore con la figlia del suddetto.
Storia già vista e rivista al cinema in quegli anni ed anche letta e riletta nei libri.

Per fortuna ci va meglio con gli altri personaggi.
Dal punto di vista narrativo Barker fa un buon lavoro, ci sono poche cadute di tono, e la storia fila via come un treno ed è molto coinvolgente.

Tra i personaggi spiccano in particolare Whithead, un ricchissimo uomo d'affari a cui Marty fa da guardia del corpo, e Mamoulian, il villain della storia, che per motivi che verranno chiariti in corso d'opera vuole fare la pelle al primo.
Ecco, il rapporto che lega questi due individui è piuttosto complesso ed ambiguo.
Probabilmente è la cosa più bella del libro insieme al prologo.
Mamoulian è un personaggio piuttosto suggestivo, oltre che molto peculiare, ed anche un tantino...soprannaturale.
Chiude il cerchio la figura più terrificante di tutte ovvero Breer, detto il mangialamette, personaggio alla mercé di Mamoulian, protagonista di quasi tutte le pagine intrise di sangue del libro.
E chi conosce Clive Barker sa che è uno scrittore che negli slasher e nel sangue ci sguazza che è un piacere.

Gioco Dannato è un buon libro, ricco anche di colpi di scena in corso d'opera, ma dal percorso che come dicevo all'inizio è un po' troppo telefonato.

Spettacolare l'inizio in quel di Varsavia in cui la figura leggendaria di Mamoulian ci appare in maniera suggestiva ed accattivante.
Sarà che in passato ho subito il fascino dei giochi di carte, ma l'idea di un essere leggendario ed imbattibile che cerca dei suoi pari offrendo morte o gloria in caso di sconfitta o vittoria, mi ha sollucherato tantissimo.

Gioco dannato tutto sommato mi ha avvinto e divertito.
Ci sono state pagine che ho gradito di meno, ed ammetto che a volte la lettura ne ha risentito, ma non mi sento di parlarne male.
Certo, è figlio dei suoi tempi, e personalmente ritengo che alcuni aspetti relativi alla natura dei poteri e al passato di Mamoulian meritassero ben più approfondimento. 
Pollice verso anche per Marty che a volte mi sembrava Kevin Costner in uno di quei film di quel periodo. :-P



Alla prossima!


 






mercoledì 18 agosto 2021

La Storia - Elsa Morante

 " Dormite occhiuzzi dormite occhiuzzi

che domani andiamo a Reggio

a comprare uno specchio d'oro

tutto pittato di rose e fiori.

Dormite manuzze dormite manuzze

che domani andiamo a Reggio

a comprare un telarino

con la navetta d'argento fino.

Dormite pieduzzi dormite pieduzzi

che domani andiamo a Reggio

a comprare le scarpettelle

per ballare a Sant'Idarella".


Quando si tratta di autori così importanti, che scrivono romanzi imponenti e di rilevanza storica, faccio fatica a parlarne e faccio fatica a trovare il coraggio ed ad avere la presunzione di poter dire cosa ne penso.

Quando lessi L'isola di Arturo di Elsa Morante, per esempio, decisi di non parlarne, avrò forse scritto tre, quattro frasi su Instagram, ma non ho osato fiatare oltre.

Stessa cosa con Agostino di Alberto Moravia, che era un libro quasi speculare.

Credo di non essere all'altezza di parlare di opere simili.

Sono opere che ho amato, ma talmente più grandi di me, che direi cose superflue.

Non che non lo abbia fatto in passato con Hugo, Faulkner e chissà chi altro, ma molto spesso di alcuni libri ho avuto solo pensieri e non frasi scritte.

Per certi versi sarebbe stato più facile parlarne se non mi fossero piaciute.

Mi viene molto più naturale parlare di libri di genere, forse perché facilmente identificabili, e forse perché ne ho letti così tanti che mi viene naturale buttare giù due righe su di loro senza chissà che impegno.

Però questa volta proverò a vincere la mia ritrosia perché mi piacerebbe che un libro come questo venisse letto il più possibile. 

Quindi proverò a rendere giustizia ad un'opera così maestosa ed impegnativa, e chiedo scusa a prescindere ad Elsa Morante, ovunque lei sia.

Molto spesso uso il termine corposo per parlare di un libro lungo e colmo di avvenimenti, ma in un romanzo come questo così enormemente strutturato, quel termine non basta.

La storia è un libro ambizioso, persino pretenzioso per certi versi, tanto che mi è capitato nel mio peregrinare su internet alla ricerca di pensieri e recensioni su di esso, di avere letto anche delle critiche poiché è fin troppo prolisso e descrittivo.

Mi è rimasto impresso, per esempio, un parere piuttosto arrabbiato ed argomentato di un utente su uno dei tanti gruppi su Facebook dedicati alla letteratura.

Una lunga critica scritta proprio mentre anch'io stavo leggendo il libro, e che ebbe anche abbastanza proseliti e like.

Io trovo normale che dei classici della letteratura possano non piacere, ma mi hanno stupito tutti quei like, sono onesto.

Ecco, ammetto che è stato anche uno dei motivi che mi hanno spinto a parlarne.

Parte delle critiche viene anche dal fatto che la trama presenta un modus operandi ottocentesco che punta molto sul pietismo e la tragedia proponendo dei personaggi sempre in difficoltà, poveri ed in balìa di ogni sorta di avversità.

In tutti, fin dall'inizio, vi è il marchio dell'ineluttabilità.

Siamo dalle parti di Victor Hugo e Charles Dickens.

La storia è una vera e propria epopea familiare.

La prima parte mi ha entusiasmato.

Il fatto che le radici della protagonista siano calabresi mi ha reso molto più facile l'accesso, poiché mi ha trasmesso la curiosità e la voglia di conoscere alcuni cenni storici, filastrocche e storie di vita ai tempi dell'infanzia di Ida Mancuso ambientata anche nelle lande calabresi.

La filastrocca ad inizio post viene proprio da quelle pagine iniziali.

I primi capitoli mi sono proprio volati, devo dirlo.

Molto interessante anche il fatto che Elsa Morante all' inizio di ogni capitolo offra al lettore alcuni piccoli paragrafi di cenni storici di quegli anni in corso.

La primissima parte è tutta ambientata nel passato, mentre il presente del libro parte dal 1941 in poi in una Roma che ancora sente solo gli echi della guerra mondiale in corso.

Se non fosse che Ida...ha radici non solo calabresi ma anche ebree.

E' molto difficile provare a riassumere il libro, ma diciamo che il tutto lo viviamo attraverso Ida ed i suoi due figli.

Ida è un fuscello, secca ed eterea, sempre sul punto di cedere, come un albero spoglio che sembra morto, ma che sopravvive nonostante tutto, ed il cui unico nutrimento è l'avvenire dei suoi figli.

 Nino che è una figura sfuggente, antieroica e carismatica, ma la cui adolescenza lo porta ad avere ideali brucianti ed intercambiabili in corso d'opera.

Un personaggio che in poco tempo passa da fascista a membro della resistenza e di sostegno agli alleati che in corso d'opera sbarcano in Italia.

Useppe, forse il vero protagonista della storia, secondo figlio di Ida e nato da uno stupro subito da quest'ultima da un giovane soldato tedesco.

E' attraverso il peregrinare ed agli occhi azzurri e meravigliosi di questo bimbo, che la Morante ci racconta quegli anni.

Dal fascismo, all'entrata in guerra, passando per i bombardamenti e alla vita da sfollati di Ida e Useppe, giorni di paura, fame e debolezza, di deportazioni e vite d'accatto, in quei terribili giorni in cui Ida e gli abitanti di Roma, provavano a sopravvivere in attesa che la città venisse liberata.

Il libro forse perde qualcosa nella parte finale, quella ambientata nel dopo-guerra.

In alcuni punti è davvero prolisso, quasi una sfida al lettore.

In più il fatto che sia anche un libro politico, proponendo vari punti di vista, tra cui quello anarchico, potrebbe far storcere il naso ad alcuni lettori.

Io lo trovo un libro incredibile.

Ricco di storia, ma anche di umanità.

Tocca tantissimi temi ed in più punti può anche essere considerato una storia di formazione, dal sapore molto Pasolini style.

Non lo fa con la poetica di un Cesare Pavese, ma con uno stile molto più melodrammatico.

Ma d'altronde la vita ai tempi della seconda Guerra Mondiale dubito fosse rose e fiori.

Ci sarebbe tanto da dire, ma mi fermo qui.

Non oso andare oltre ed aggiungere altro, perché è bello scoprire da soli il destino finale di questi personaggi.

Non è un libro che consiglierei a tutti, ma è uno di quei libri che almeno una volta nella vita andrebbero affrontati.

Ed io sono felice di averlo fatto.

Ringrazio Elsa Morante per averci donato un libro del genere e vi lascio con la sinossi:

La storia racconta di Ida, maestra elementare, che vive a Roma nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Nata a Cosenza e figlia unica di due maestri elementari, ha origini ebree per parte di madre, che però tiene sempre nascoste per paura di essere scoperta dai fascisti.


Alla prossima!


venerdì 6 agosto 2021

La storia di Lisey - Stephen King

Ultimamente sono stato un po' in fissa con i romanzi fantasy o horror legati all'arte, ed è quindi stato inevitabile prendere in mano anche La storia di Lisey.
La naturale prosecuzione sarebbe Duma Key, ma di quest'ultimo credo di aver già parlato, quindi non so se sarà oggetto a breve di una rilettura.
In verità un po' di voglia di leggere La storia di Lisey mi è venuta anche perché ultimamente è stato ristampato in formato economico poiché è salito alla ribalta dopo la messa in onda del telefilm ad opera della Apple.
Ho letto anche alcune recensioni recenti e devo dire che è un romanzo piuttosto amato, soprattutto dalle lettrici.
Non ho ancora visto il telefilm e non so se lo vedrò, anche perché non sono mai stato un vero fan di quest'opera.
Quindi la rilettura di questo libro è un po' un guanto di sfida al me del passato, neanche troppo remoto visto che il romanzo mi pare sia uscito nel 2006 o al massimo nei primi mesi del 2007.


Prima di tutto voglio spendere due parole sul packaging della prima edizione della Sperling, che è davvero bella.
Anche togliendo la sovracopertina, il libro ha un impatto grafico di tutto rispetto, con un disegno intero ( inteso che copre copertina e anche il retro ) della flora del luogo " immaginario " della vicenda che è davvero suggestivo.
Dal punto di vista estetico è probabilmente uno dei più bei libri del Re mai sfornati dalla Sperling & Kupfer.
Per carità, chi mi conosce sa che queste cose non le guardo e che leggerei anche edizioni economiche ingiallite e macchiate di sugo, ma è giusto riconoscere la beltà quando ce l'hai davanti.

Dopo questo lungo preambolo, com'è La storia di Lisey ai miei occhi un po' più invecchiati?
Parecchio corposo e strutturato, con una lettura a più livelli, ma anche un po' ripetitivo nell'ambientazione fantasy, soprattutto per chi come me viene dalla lettura di romanzi come Rose Madder e Mucchio D'ossa che hanno parecchie similitudini con questa storia.

Tempo fa proprio durante la presentazione del telefilm su La storia di Lisey, mi cadde l'occhio su un'intervista del Re pubblicata su non so quale rivista.
Nel titolo c'era un estratto in cui King affermava che subito dopo aver avuto l'incidente che gli costò quasi la vita, sua moglie aveva già iniziato a pulire il suo studio in previsione di una sua dipartita.

Non a caso il libro si apre proprio con Lisey che si trova nello studio del marito defunto che era un famosissimo ex scrittore, pronta a metterci mano.

La storia di Lisey è un romanzo molto autobiografico, in cui King praticamente sperimenta la sua morte, ma è anche un peana dedicato a sua moglie Tabitha.

Buona parte di questo libro è rappresentata dalla storia di un matrimonio.
Ecco, questo punto narrativamente è molto interessante, perché è talmente ben descritto che Lisey e Scott hanno uno " slang " tutto loro con parole intime e praticamente intraducibili. ( non vorrei essere stato nei panni del traduttore Tullio Dobner che si è dovuto inventare parole come "cissica", "forcuto", "cinghialo", ecc.ecc.)
Non sono un grande amante dei racconti sentimentali, ma la storia d'amore di Lisey e Scott è davvero ben raccontata.
Ma in verità dal punto di vista dei personaggi, King in questo libro crea una famiglia ( comprese tutte le sorelle di Lisey ) piuttosto credibile.
Credo che funzioni proprio perché sono convinto che lui ci abbia infilato delle realtà familiari in questa storia.
Ma andiamo un attimo di sinossi:

Com'è fatto il mondo segreto di uno scrittore strapremiato, adorato dal pubblico e dalla critica? Per venticinque anni Lisey è stata sposata al celebre Scott Landon. Un lungo, stupendo matrimonio con lui - un uomo meraviglioso ma complicato, con una tara nel sangue - e con l'universo di lui, una dimensione proibita ai normali, piena di cose fantastiche ed esaltanti, ma anche letali; di forze che possono risanare o uccidere, in virtù di leggi incomprensibili; il rifugio di un artista geniale e precoce, un Eden vigilato da un serpente inesorabile. Laggiù ci sono colline viola, mari al tramonto, ombre vaganti, tombe, e la "pozza delle parole", cui attingere a piene mani per creare e illudere... Però ora Scott è morto e la vita di Lisey è uguale a quella di tante altre. Non siamo a Boo'ya Moon, bensì nel prosaico Maine, dove lei affronta il triste compito di svuotare il gigantesco studio del marito, con la sua mole di manoscritti. Un gesto innocente, ma che può scatenare le reazioni inconsulte di certi fan un po' particolari. E non è tutto. Impegnata da una parte a difendersi dagli assalti alla sua persona, Lisey si rende conto, su un altro fronte, di essere come una porta lasciata aperta su quell'altro mondo ai confini tra ragione e pazzia... già intravede - negli specchi, nelle superfici lucide - il muso dell'essere che ha popolato gli incubi del marito, che ora viene per lei...



Come dicevo inizialmente La storia di Lisey è una storia su più livelli.
Facilmente comprensibile sia chiaro, per fortuna non siamo dalle parti di Faulkner o di Meyrink con Il Golem, ma comunque non è un romanzo horror sui generis.
Tutt'altro.
King continua sulla strada già intrapresa con Mucchio D'ossa ed altri romanzi più recenti proponendo dei romanzi fantasy dalle tematiche molto più mature e drammatiche, mischiate con elementi horror che fanno già parte del suo repertorio.
Anche La storia di Lisey è uno di quei libri che può essere inserito nel filone dedicato ai romanzi de il ciclo de La Torre Nera.
Anche qui ci sono personaggi capaci di viaggiare in altri posti, ed ad usare questo potere come soluzione ad una violenza.
La storia è divisa almeno in due tronconi: una parte è ambientata nel presente, in cui troviamo una Lisey ancora preda dell'elaborazione del lutto nonostante siano passati due anni dalla morte del marito e preda di dinamiche familiari molto problematiche a causa dei disagi mentali della sorella Amanda.
In più viene molestata da un fan pazzoide dei romanzi dell'ei fu marito, convinto che che nello studio ci siano degli inediti o comunque degli appunti che Lisey non vuole condividere con il mondo.

Nel secondo troncone andiamo indietro nel tempo e veniamo a conoscenza del passato adolescenziale ed adulto di Scott Landon.
Questa parte è parecchio incisiva.
King è sempre abilissimo a parlare dell'infanzia, e la giovinezza tragica e rurale di Scott, suo padre e suo fratello è sicuramente la parte più bella del romanzo.
Anche qui come in Rose Madder, King sceglie di usare un font diverso per rendere più immersiva la lettura.
In più verremo a conoscenza del fatto che Scott può visitare a suo piacimento una sorta di posto parallelo e magico, che somiglia quasi più ad un bosco o una giungla, con tanto di pozza d'acqua che è capace di guarire dalle ferite.
Un posto bellissimo di giorno, ma abitato da creature terrificanti di notte.
Ecco, su quest'ultimo punto King gioca un po' nel campionato "lovecraftiano" limitandosi a descrizioni impossibili sulla statura e la natura di alcuni di questi esseri, ma mai mostrandoceli del tutto.
In più la pozza e tutto il contesto somigliano un po' alla Quiddità di Apocalypse di Barker, e non è nemmeno la prima volta che leggo della pozza dei miti.
Diciamo che King non è stato proprio originalissimo.
Da un lato è voluto, perché appare chiaro che questo romanzo appartenga un po' al ciclo de La Torre e per giunta cita proprio a chiare lettere i territori del romanzo Il Talismano.
La soluzione finale stessa è tale e quale a quella di Rose Madder.
Insomma La storia di Lisey dal punto di visto orrorifico e fantasy è la solita solfa.
Compensa però con una parte ambientata nel reale che è davvero bella e pregna di empatia e sentimento.
Capisco come mai sia così amato, soprattutto dai nuovi lettori.
Però quelli che lo leggono da più tempo, potrebbero stufarsi di trovate narrative e soprannaturali che si somigliano così tanto.

E quindi che dire di questo mio nuovo incontro con questo libro?
Che ad una maturazione del narrato, si assiste viceversa ad una sorta di aridità immaginaria, come se King avesse già in quel periodo perduto un po' del suo mood orrorifico.
Comunque è un libro che sono contento di aver riletto, e ribadisco che la parte ambientata nel passato è piuttosto shockante.
Solo per quella avrei voglia di recuperare qualche episodio del telefilm.
Mi scuso per la prolissità, vi auguro Buon Ferragosto e...



Alla prossima!








martedì 20 luglio 2021

Il Golem - Gustav Meyrink

Chi conosce i miei gusti letterari sa che mi piace andare all'indietro e che in generale preferisco le storie horror del passato rispetto a quelle presenti, e nel mio peregrinare all'inverso sono sempre alla ricerca di vecchi romanzi oggi quasi dimenticati.

Sono molti i romanzi che vorrei recuperare ed alcuni ultimamente sono (ed in futuro saranno ) ristampati dalla RBA nell'edizione I primi maestri del fantastico.


Il Golem, era uno di essi.

Ci ho messo un po' prima di entrarne in possesso, perché non so per quale motivo, ma la distribuzione editoriale nella mia città è in ritardo di una settimana, e quando sono andato a comprarlo ho ricevuto picche, con tanto di perplessità dell'edicolante perché le nostre informazioni sulle uscite non coincidevano ( visto che io mi affidavo al loro sito ).

Comunque una settimana passa in fretta ed alla fine tutto è bene quel che si può leggere bene.

Però problemi distribuitivi a parte, com'è andata la mia immersione nei sobborghi ottocenteschi di Praga?

Irta, parecchio irta, e ricca di dislivelli.

Meyrink è tosto.

Il Golem è una figura magica legata all'ebraismo e molto radicata nei sobborghi di Praga, con tanto di leggenda annessa, che Gustav riporta anche molto fedelmente visto che la storia è ambientata proprio nel quartiere ebraico di Praga.

Con la figura del Golem non ho molta familiarità, se non legata a qualche film ed al fumetto, perché mi pare di ricordare di averla incrociata in qualche comics Marvel e in Berserk del compianto Kentaro Miura.

A dirla tutta nel romanzo di Meyrink è una figura molto eterea ed evanescente, tanto che diventa molto difficile catalogare questo romanzo come gotico o horror.

Forse è più un romanzo del mistero, visto che Meyrink gioca una partita a scacchi con il lettore, legando la figura de Il Golem a doppio filo a quella del protagonista, in un meccanismo letterario in bilico tra realtà e visionarietà, tra onirismo e folclore metropolitano.

Il Golem è un romanzo complesso e molto frammentario, parecchio psicologico, in cui la trama non è proprio linearissima ed è concentrata sul alcuni personaggi del quartiere ebraico che sono uno più sordido e astuto dell'altro.

E' molto difficile empatizzare con costoro, e quasi tutti sono sfuggenti e dominati da secondi fini, in cui anche la descrizione della normalità quotidiana e cittadina ambientata in un bar, lascia intendere una stranezza, una nota stonata.

C'è sempre qualcosa che non quadra nella vita del protagonista e di chi lo circonda, che siano i suoi amici o le donne da cui è attratto.

Una normalità anomala.

La descrizione di Praga è molto bella e suggestiva, ed è difficile affermare che Meyrink non scriva bene, perché da quel punto di vista è molto gradevole da leggere.

Ammetto di essermi trovato in difficoltà e di non essermi raccapezzato del tutto, poiché pur essendo preparato ad una storia che non rispetta i crismi di costruzione della storia odierna visto che parliamo di un romanzo scritto nel 1913/14, non mi aspettavo comunque una struttura su più livelli ed alienante come quella creata da Meyrink.

Ecco, se proprio devo dirlo, è forse uno dei rari casi in cui si può associare l'horror alla narrativa alta, in un romanzo che a me ricorda le atmosfere di Kafka, Hawthorne e Faulkner.

Però è un libro che se affrontato come un romanzo gotico qualsiasi, rischia di deludere non poco il lettore.

E forse è proprio per questo che è un testo quasi dimenticato oggigiorno.

E' strano dirlo per un romanzo gotico, ma non è un libro per tutti.

Credo nemmeno per me.

E' un romanzo che lascia parecchi strascichi e dubbi di sorta.

Sono comunque contento di averlo letto e sono pronto a mettermi alla prova con altre storie scritte agli albori del genere.

Punto molto su Il Monaco di Matthew Gregory Lewis, ma dovrò aspettare un bel po' prima di leggerlo.

Vi lascio con la sinossi del romanzo, che per quanto suggestiva e breve, forse anticipa un po' troppo:

Una nuova traduzione arricchita dalle illustrazioni originali di Hugo Steiner-Prag e da un corredo di note attente ai significati occulti del capolavoro di Meyrink: il Golem, l'antico essere artificiale creato dalla magia di un rabbino, riprende vita grazie allo scambio di un cappello nel Duomo di Praga, squarciando il velo che separa il mondo reale da quello oscuro e segreto dei sogni.



Alla prossima! (?)


lunedì 12 luglio 2021

Non rappresento lo stereotipo del lettore, e non so se è un bene o un male

 

Se ci penso, mi rendo conto di non rappresentare per nulla lo stereotipo del lettore.

Anzi, mi sono sentito spesso a disagio quando ho messo piede in alcune librerie, specie quelle più elitarie e ricercate.

Cioè non me ne frega nulla dei premi letterari, e per dire al premio Strega preferisco i racconti sulle streghe, così come non me ne frega nulla degli sconti con i regali tipo borse da mare o plaid, se un libro è pubblicato da Einaudi o Adelphi ( pur riconoscendone il valore estetico e di editing ) e non me ne frega nulla dei gruppi di lettura.

Non do manco particolare interesse e lustro alle librerie mie ed a quelle altrui, nel senso che leggo, rileggo e poso, finisce lì.

E se mi trovo a casa di qualcuno e non vedo libri, non ne faccio un dramma.

Mi frega poco anche degli incontri con gli autori ed anche dei tweet o le stories di Stephen King o qualsiasi altro scrittore.

Per me conta più una sinossi, una storia, che tutto il carrozzone che c'è dietro.

Non mi sono mai vantato di aver letto un libro, e non mi sento superiore ai miei amici a cui non importa nulla di questo argomento.

Forse è per questo che ultimamente qualifico come falsi o costruiti la maggioranza dei divulgatori su Instagram, Facebook o vattelapesca.

Non può essere che nella nostra vita esistano solo i libri, o che la stragrande maggioranza delle nostre emozioni vengano da lì.

Dite quello che volete, ma non ci credo.

Amo anch'io la letteratura, amo alcuni autori ed alcuni generi, ma a volte sento voglia di provare emozioni vere, e non riesco a fingere che i libri siano l'unica cosa che contino nella vita.

Perché a volte, alcune Bio fanno pensare che sia così.

Ciò fa di me un lettore di serie b ed asociale?

Può darsi.

Io metto la letteratura alla stregua di qualsiasi altra mia passione.

Sarà che provengo da sottoterra, nel senso che prima di arrivare alla letteratura la mia vita è stata costellata di vari substrati tra cui l'amore per il calcio, i videogiochi, cinema, fumetti, ma anche la classica vita di strada fatta di cortili e nascondino.

Ai caffè letterari preferisco i bar sport.

Paradossalmente sono lo stereotipo del non lettore.

Eppure sono un lettore, e probabilmente leggo anche più libri di chissà quanti altri che si considerano membri di un élite perché hanno letto l'ultimo Nobel, Pulitzer o Strega.

E di certo non sto a contare quanti libri ho letto, quanti ne ho comprati, e non piango e mi dispero se per due giorni non leggo nulla.

Insomma non rappresento lo stereotipo del lettore ed a volte non so se è un bene o un male, perché i social, ma anche i blog ed i siti letterari, divulgano tutto il contrario di ciò che sono.


Alla prossima !(?)



sabato 26 giugno 2021

Rose Madder - Stephen King

 Mi sono messo a rileggere questo libro, perché volevo rimanere ancora un po' ancorato nel realismo magico o nel genere fantasy legato al mondo dell'arte e dei quadri.

Come dicevo nella recensione precedente, è un posto che è stato frequentato spesso da autori che prediligo come Stephen King, Clive Barker o persino in uno dei racconti del ciclo de Le cronache di Narnia di Lewis.


Ho scelto Rose Madder perché colpevolmente mi sono dimenticato di citarlo nel post precedente ed anche perché sono tantissimi anni che non lo rileggevo.

L'edizione di questo romanzo che possiedo è quella de I miti Mondadori in formato tascabile da edicola che all'epoca costava sui 4 Euro e dove prezzato risulta anche in Lire ( 7.900) visto che parliamo del 2000 o giù di lì.

Rose Madder non è tra i libri più amati del Re.

Ha una trama basica ed orizzontale, ma che oggi avrebbe tutt'altro effetto, secondo me, visti i temi che tocca che oggi sono molto in voga e in auge ( giustamente ).

Il trema portante è quello della violenza sulle donne, ed è un romanzo di rivalsa e ribellione contro l'uomo violento ed il patriarcato, in cui la protagonista scopre o gli viene offerto un potere, che utilizza per difendersi e riappropiarsi della propria vita.

Insomma fosse uscito oggi sarebbe materiale per pagine social tipo Freeda, Alpha Woman, Siamo Ragazze o come stemma per alcune influencer che portano avanti le bandiere del femminismo.

Superata questa premessa, com'è questo libro?

Parliamone dopo la sinossi:

In fuga da Norman, il marito che la tormenta da quattordici anni, Rose riesce a rifarsi una vita e perfino a incontrare l'uomo giusto. Proprio nella stessa occasione, s'imbatte anche in uno strano quadro, un ritratto, che misteriosamente comincia a interagire con lei... Purtroppo, il sadico Norman si è intanto messo sulle tracce della moglie, lasciandosi dietro una scia di sangue e terrore. E quando la raggiunge, Rose capisce che per salvarsi dovrà calarsi nel "suo" mito - celato nel quadro - e trasformarsi in una dea vendicatrice...


Rose Madder credo che dal punto di vista della costruzione della storia possa essere attaccato poco o nulla.

E' un romanzo coeso che offre una narrazione precisa.

L'unico aspetto criticabile è la trama.

Non vi piace la storia o i personaggi che propone?

Allora ok, ma dal punto di vista del contenuto credo si possa obiettare poco.

E' un libro coerente.

Ci sono degli aspetti poco credibili, ma che fanno proprio parte del modo di raccontare certe storie, quindi va accettato il fatto che questa ragazza che dopo aver subito angherie indicibili dal marito, poco dopo la fuga, trova in una singola botta un lavoro ottimamente retribuito come voce narrante di audiolibri in cui si dimostra talmente brava da essere subito paragonata agli/alle eletti/e del settore ed un nuovo fidanzato, roba che manco nelle favole, un altro poco.

Accettato tutto questo come contorno nella narrazione, la storia fila come un treno.

Bellissimo il fatto che King ci mostri le azioni ed i punti di vista sia di Rose che dell' ex marito, utilizzando il font corsivo quando entriamo nella testa e nelle azioni di questo personaggio.

Ecco, Norman permette alla storia di scivolare anche nel pulp e nel thriller ed infatti le pagine che lo riguardano sono le più serrate e più coinvolgenti del romanzo.

Un romanzo che non risparmia atti violenti contro altre donne o contro chiunque si metta contro Norman nella sua caccia alla ex mogliettina.

Essendo un romanzo di Stephen King non ci si può esimere dal soprannaturale, che qui è rappresentato da un quadro acquistato da Rosie che contiene un paesaggio da mitologia greca.

Ed è su quei miti che verte la parte magica della storia.

Perché Rosie si ritrova ad entrare letteralmente in quel quadro ed avere a che fare con il mito de Le Erinni ed ad affrontare un minotauro ( che simbolicamente rappresenta Norman ).

Il mondo del quadro è anche quello in cui avverrà il duello finale tra lei e Norman.

Ci sono alcuni riferimenti abbastanza criptici che portano questo romanzo a poter essere anch'esso inserito nella saga de La Torre Nera, non a caso, nel rappresentare altre parti di sé in altri mondi ricorda moltissimo anche un altro romanzo del Re ovvero Il Talismano, perché è palese che Rosie e Norman siano in un certo senso la donna del quadro ( una delle Eumenidi o Erinni? Medusa? ) ed il minotauro anche se quest'ultimo non è Asterione, ma viene chiamato Erinni.

Non so se esiste una leggenda simile o se semplicemente Stephen King abbia piegato a suo volere la mitologia.

E' un romanzo di rivalsa e vendetta.

La donna alla fine si rileva più forte e Rose ha così potere e carisma che il nuovo compagno è persino un po' succube.

Rose Madder è un romanzo molto orizzontale, con una storia che definirei molto cinematografica ed in cui il percorso è delineato in maniera netta.

Nello svolgimento è prevedibile come molti horror e molti fantasy che hanno una morale precisa, ma risulta una lettura coinvolgente e coerente.

E' un libro standardizzato, secondo me, bello, ma che non offre chissà quali spunti e riflessioni, forse è proprio per questo che questo libro viene inserito così raramente nelle classifiche dei più amati del Re.

Al di là di tutto però, alcune pagine sono davvero molto crude e violente, anche nelle descrizioni, quindi non è proprio una passeggiata di salute, al di là della prevedibilità o meno.

E' un romanzo che merita?

E' un buon ingresso alle storie di King, e soprattutto dimostra la poliedricità di quest'autore capace di raccontare anche storie con donne protagoniste e non con il macho di turno o il padre di famiglia che va a salvare la damigella in pericolo.

Le femministe apprezzeranno, e probabilmente anche tanti uomini, perché no.

D'altronde è la storia, non i ruoli o il sesso dei protagonisti.


Alla prossima! (?)




sabato 12 giugno 2021

L'assassinio del Commendatore - Murakami Haruki

Quando nel 2019 mi imbattei in Norwegian Wood, non ero convintissimo che presto o tardi io e Murakami ci saremmo incontrati di nuovo, ma un po' di settimane fa L'assassinio del Commendatore uscì in allegato insieme ad un quotidiano ad un prezzo piuttosto favorevole e ne ho approfittato.

Ci ho messo un po' a finirlo, ma alla fine devo dire che è stata una scelta saggia e ne è valsa la pena.

Parliamo di un libro che all'epoca della sua uscita fu troncato in due dalla Einaudi ( scelta infelice per quel che mi riguarda visto che parliamo di 850 pagine circa mica 1200 ) e che adesso ho pagato la modica cifra di 8,90 Euro, che è un'ottima cifra se rapportata al numero di pagine.

Se qualcuno all'epoca lesse il mio post inerente Norwegian Wood si ricorderà sicuramente del mio straniamento e della scarsa empatia provata durante la lettura di quel libro, oggi non so se avrei lo stesso giudizio, visto che L'assassinio del Commendatore è oggettivamente più complesso di un semplice romanzo di formazione come il sopracitato Norwegian Wood, eppure sono arrivato ad apprezzarlo comunque.

Ciò mi ha spinto a delle riflessioni sul mio espandere i miei orizzonti di lettore verso altre culture differenti, perché anche con i romanzi scandinavi di Lindqvist all'epoca percepivo non tanto la differenza di stile narrativo che comunque è normale tra autori di lingua e cultura differente, quanto tra i personaggi narrati così differenti nel modo di vivere e di pensare in cui sono raccontati.

Socialmente parlando i personaggi di Murakami, Lindqvist o anche di Kazuo Ishiguro ( perché mi accadde anche con Non Lasciarmi ) sono molto più impenetrabili, più placidi e freddi, persino nell'accettazione del male e della morte, a volte terribilmente alienanti.

Quello che più mi ha colpito è che la narrativa giapponese mi sembra totalmente diversa da quella che siamo abituati a conoscere tramite manga ed anime.

Cioè non tutta, probabilmente alcune delle opere dello Studio Ghibli potrebbero essere affini a questo romanzo, ma pur conoscendo la storia ed il folklore della mitologia giapponese, davanti ad un romanzo come questo di Murakami si rimane sicuramente colpiti, ma anche confusi.

Confusi perché in fondo in fondo si ha la sensazione di una storia raccontata in maniera verticale e sempre più larga, ma non profondissima, quasi senza scopo, per certi versi.

Colpiti perché è un libro molto introspettivo ed intrigante, che accarezza tanti generi, ma che abbraccia più di tutti il cosiddetto realismo magico, anche se in corso d'opera alcuni frangenti virano proprio nel fantastico più puro con echi alla Clive Barker o Stephen King, nei loro romanzi più fantasy incentrati sull'arte ( tipo Duma Key o Apocalypse ).

Così come salta all'occhio una grande cultura letteraria in questo autore, che in corso d'opera arriva ad omaggiare anche Fitzgerald ( credo che moltissimi noteranno i tratti in comune tra Menshiki e il Gatsby di Francis ) e molti altri autori.

L'assassinio del commendatore è un gran bel libro, molto difficile da raccontare e descrivere, ma molto bello da leggere.

Vorrei tanto vedere i ritratti di cui questa storia ci parla, tra tutti quello che porta proprio il titolo del libro.

Come dicevo all'inizio si ha la sensazione di qualcosa di irrisolto in questo romanzo, non è impossibile che qualcuno arrivi alla fine e dica: " E quindi ? "

E' un libro dove conta più l'introspezione, un viaggio onirico attraverso il mistero e i segreti inconfessabili di ognuno di questi personaggi, e dove ci tocca accettare menti ed abitudini diverse, anche quando ci sembrano così astruse e paranoiche come quelle di alcuni personaggi di questa storia.

Per certi versi sono più solide e lineari le parti più fantasy, che quelle reali che sono piuttosto descrittive e lente in alcuni punti, persino ossessive, anche se credo sia una cosa voluta.

Al netto di qualche passaggio poco concreto ( soprattutto sul finale ) è una storia che sono contento di aver letto e che mi spingerà prima o poi verso altre opere di Haruki.

Perché è sicuro che Kafka sulla spiaggia e 1Q84, magari non sarà oggi, magari non domani, ma li leggerò.

Insomma L'assassinio del Commendatore è un romanzo che merita e che consiglio ed a cui va dato atto di scatenare delle riflessioni successive sulla profondità psicologica del narrato, in cui le idee e le metafore la fanno da padrone, in tutti i sensi.

Vi lascio con la sinossi di questo romanzo:

Una borsa con qualche vestito e le matite per disegnare. Quando la moglie gli dice che lo lascia, il protagonista di questa storia non prende altro: carica tutto in macchina e se ne va. Ha trentasei anni, un lavoro come ritrattista su commissione e la sensazione di essere un fallito. Cosí inizia a vagabondare nell'Hokkaidō, finché un vecchio amico gli offre una sistemazione: la casa di suo padre, il grande pittore giapponese Amada Tomohiko, rimasta vuota da quando questi è entrato in ospizio in preda alla demenza senile. Il nostro protagonista accetta e si trasferisce lí, ma un inquietante quadro nascosto nel sottotetto e una misteriosa campanella che inizia a suonare tra gli alberi nel cuore della notte gli fanno capire che la sua vita, anzi la sua realtà, sono cambiate per sempre.


Alla prossima! (?)