sabato 28 dicembre 2019

Topolino al passato

Non ricordo il giorno ed il mese, ma mi trovavo nell'edicola di un mio amico quando si avvicinò un cliente con il piccolo figlio ed il figlio alla domanda del padre su che fumetto volesse, al canonico Topolino preferì gli Avengers.
La cosa mi colpì molto, sono sincero.
Negli anni '90 spesso ebbi la sensazione di essere l'unico in un agglomerato cittadino di circa 187.000 abitanti a leggere fumetti Marvel, oggi credo non sia più così, grazie al cinema.
Fossi adolescente oggigiorno probabilmente avrei la certezza che molti di quei personaggi non sarebbero sconosciuti ai più, e che tra compagni di classe ed amici, avrei potuto tranquillamente parlarne.

Questa elucubrazione mentale mi ha portato indietro nel tempo all'epoca in cui io ero un bambino, e dove, trovandomi nella medesima posizione di quel bambino, però in un'edicola di paese dirimpetto alla spiaggia, presi per la prima volta in mano un albo dedicato ai personaggi Disney, ovvero Paperino Mese.

Forse lo sanno in pochi, ma anch'io prima di diventare lettore di fumetti Marvel e di Manga, prima di diventare un lettore compulsivo di libri, sono stato lettore di Topolino.

Per quanti anni?
Non lo so, ma almeno tre, quattro anni a cavallo tra i nove e i dodici anni.
Poi ho smesso e non ricordo perché, certe storie finiscono e non sai come e quando.

I miei mi misero a disposizione un'anta del grande comò della loro stanza ed io conservavo quei tesori in quello scrigno che si apriva con una chiave dorata.
Era pieno di adesivi, appiccicati da mio fratello, mia sorella e poi me, e mai rimossi.
L'ombra di essi persiste tutt'ora.
Anche se oggi invece dei numeri di Topolino e Paperino Mese, vi si trovano vecchi documenti, vecchi libri scolastici e vecchie bollette, ma fa parte della vita e del crescere.
Però quando lo apro, mi sembra ancora di sentire l'odore di quei fumetti e della carta adesiva.

Passavo il mio tempo seduto sul pavimento a guardare la pila di fumetti crescere, a leggere, ed ad aspettare come un rituale il mercoledì.

Ero appassionato delle storie a bivi, dalle avventure di Topolino contro Macchia Nera o Gambadilegno, Paperinik e qualsiasi storia con protagonista Paperino e Paperoga, che erano indiscutibilmente i miei personaggi preferiti.

La mia storia preferita?
La parodia di Sandokan.
Ricordo ancora il giorno in cui vidi quello speciale albo nel tabacchino/edicola in cui andavo a comprare i giornalini.
Era in formato cartonato e costava molto più del normale.
Non mi bastavano i soldi per prenderlo, e gli feci la posta per non so quanto tempo davanti l'ingresso, prima di trovare il coraggio di entrare e chiedere al proprietario di darmelo a credito che poi sarebbe passata mia madre a pagarlo.

Credo di esserci stato anche nella storica storia di Topolino sposo, ed anche in una delle mille ristampe de I Promessi Paperi.

Ma tutt'ora in me perdura il ricordo dell'albo Sandopaper e La Perla di Labuan.

Non so perché mi è tornato in mente adesso e perché ne parlo, probabilmente perché ci sono stato anche nel numero natalizio che il buon Moz ha citato qualche tempo fa.

Oggi la roba Disney non mi interessa più, ma non posso negare di esserne stato contaminato in passato.

E' un po' come quelle malattie infantili prima dei vaccini, sai che inevitabilmente, prima o poi ti sarebbero toccate.
Ed anche se per poco tempo, sono contento di essermi presa quella di Topolino, perché sono convinto che un po' della mia passione per la lettura, sia nata grazie a quegli albi.


Alla prossima e,
Buon Anno!




venerdì 20 dicembre 2019

Arthur Conan Doyle non è solo un giallista!

Io tendo a sottovalutare molto gli scrittori ed a fidarmi troppo dei miei gusti.
Ero convinto che non avrei mai letto nulla di Arthur Conan Doyle perché consideravo i suoi lavori come facente parte unicamente del genere "giallo" e quindi lo by-passavo tranquillamente, pur riconoscendone il valore, vista l'iconicità del personaggio di Sherlock Holmes che è arrivato ai giorni nostri e chissà per quanto ancora perdurerà.

Poi mi sono ritrovato a cinquanta centesimi l'uno questi due tascabili Newton in mano, e non sono riuscito a resistere.
Ho scoperto un autore a tutto tondo che mi ha avvinto e conquistato e che mi ha fatto mettere in wish list anche un altro suo romanzo, ovvero Il Mondo Perduto.

Non solo giallista quindi, ma anche autore horror, del mistero, e anche di fantascienza visto che La Nube Avvelenata è catalogabile in quel genere.
C'è sempre tempo per guarire dalla propria ignoranza e sicumera.
E chissà magari vincerò la mia ritrosia verso il genere giallo ed andrò a leggermi Il Mastino Dei Baskerville che mi ha sempre attirato.

Come dicevo il primo tascabile contiene due racconti in cui La Nube Avvelenata è assolutamente in primo piano.
L'altro è un racconto marittimo del mistero che si fa leggere, ma molto sui generis, quantunque gradevole e ben scritto.

La Nube Avvelenata è molto interessante perché parte da una premessa apocalittica, anzi la viviamo attraverso un trio di personaggi, che vede l'arrivo e l'evolversi di questa nube che arriva da chissà dove con esiti devastanti.
Può ricordare lontanamente Il Colore Venuto Dalla Spazio di Lovecraft, ma qui c'è un approccio più scientifico e meno orrorifico.
Racconto che ho amato più per le premesse che per l'evolversi della trama, ma che è una gran bella storia comunque, che forse avrei apprezzato di più se Doyle avesse alzato il tiro.

La Mummia e altri racconti è una bellissima raccolta tutta da gustare.
E' raro che in una raccolta ( anche brevissima come in questo caso ) mi piacciano tutti i racconti, ma qui ci troviamo davanti a delle belle opere.
La Mummia, Il Guardiano Del Louvre e L'esecuzione sono tre racconti bellissimi, ma anche Il Match e L'unicorno mi hanno sedotto abbastanza.
Però la ciccia sta per lo più in quei tre sopracitati, per quanto L'esecuzione soprattutto, ha bisogno di una soglia di sospensione dell'incredulità abbastanza elevata, ma d'altronde trattandosi di un racconto dichiaratamente horror direi che non c'era nemmeno bisogno di dirlo.



Niente, ho fatto questo breve post solo per spronare altri lettori a non commettere il mio stesso errore e di andare anche contro i propri pregiudizi letterali.

Arthur Conan Doyle merita di essere conosciuto non solo per le sue opere più rappresentative dedicate al famoso detective, ma anche per le sue opere meno conosciute.

Per quel che mi riguarda sono felicissimo di averle lette.


Alla prossima!


mercoledì 11 dicembre 2019

L'urlo e il furore - William Faulkner

" La vita è un'ombra che cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente.
E' un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, significante niente."
Macbeth - William Shakespeare


Non sono così pazzo da recensire un'opera del genere, tranquilli.
Non sarò mai uno di quelli convinti che se un libro non gli piace subito possono immediatamente buttarlo via.
E non sarò mai uno di quelli che mette in discussione un'opera, ma mai i loro gusti e la loro conoscenza.
Non sono un tipo da una stellina.
Se lo fossi stato, avrei abbandonato questo libro dopo i difficilissimi e sconnessi primi capitoli.
E cosa mi sarei perso...

Mi sarei perso dei personaggi che ho amato e dei personaggi che ho odiato con tutto il cuore ( Jason, parlo di te).
E mi sarei perso un romanzo scritto da Dio.

La storia della famiglia Compson, la storia di ogni singolo personaggio di questa famiglia, domestici compresi ( Dilsey la cuoca "negra" è il personaggio più bello del libro ) è narrata con un'energia e un trasporto che personalmente mi ha tramortito, e che in più punti mi ha dilaniato.
Andiamo di sinossi, tratta da Ibs:

Il 1929, passato alla storia come l'anno del crollo di Wall Street che segnò l'inizio della Grande Depressione, è un anno fondamentale anche per la letteratura americana. Escono infatti "Addio alle armi" di Hemingway e "L'urlo e il furore" di Faulkner, una coincidenza che avvicina i libri, diversissimi tra loro, di due amici. Faulkner dà voce barocca a tutte le ossessioni e i fanatismi di quel Sud di cui pativa l'interminabile decadenza, incominciata con la sconfitta nella guerra civile. La mitica contea di Oxford diventa il teatro di un insanabile conflitto tra bianchi e neri, bene e male, passato e presente. Il romanzo è un complesso poema sinfonico in 4 tempi, che scandiscono le sventure di una famiglia del profondo Sud.


Leggere un libro del genere è una vittoria.
E' la vittoria della perseveranza, è la vittoria della lettura.
Sopravvivere a quel primo capitolo, così sconnesso, strutturato su più livelli, è stato faticoso e difficile, ma c'è un motivo se è stato narrato così.
E' il punto di vista ed è quello che vede l'idiota/malato di mente della famiglia, è un capitolo strutturato attraverso i pensieri e le azioni di Benjamin.
La storia trova la sua vera voce nei capitoli successivi con protagonisti gli altri fratelli e i genitori di Benjamin, tutti personaggi peculiarissimi e narrati divinamente.
E' la complessità di ognuno di loro a rendere questo libro meraviglioso.
E' il coraggio, l'urlo, il furore di narrare le gesta e i pensieri di personaggi deboli, spesso senza scrupoli, vittime di un sistema patriarcale, di amori impossibili e incestuosi, di vite che sembrano vere.
Un libro cesellato pezzo per pezzo come un mosaico, e che mostra la sua vera immagine solo alla fine.
Ed è essenza, è vita.

" Tu e io soltanto allora tra l'esacrazione e l'orrore in un cerchio di pura fiamma..."

Grazie ancora, William, ed a presto!
Perché è sicuro che ti leggerò ancora.



Alla prossima!

martedì 3 dicembre 2019

L'amico Immaginario - Stephen Chbosky

Come ben sa chi mi conosce, è raro che io sia un lettore contemporaneo, se non altro per una questione di opportunità economica, ma anche perché nei riguardi di alcuni generi, faccio fatica ad uscire dalla mia comfort zone.
L'horror è uno di questi.
Al di là di autori che conosco bene e di cui mi fido, faccio fatica a relazionarmi con le opere di altri, ed anzi nel campo orrorifico, che è un genere ormai stantio in cui si è detto di tutto ed il contrario di tutto, persino autori come Stephen King iniziano ad avere difficoltà e a ripetersi in continuazione.

La cosa strana è che questa sensazione non la provo nel cinema, forse perché l'investimento di concentrazione e tempo è molto più labile e veloce e quindi non mi disturba più di tanto.
Ma nella letteratura ho bisogno di molti più stimoli.
Questa premessa è necessaria per poter parlare di questo romanzo, perché una parte di me è partita nella lettura con un bagaglio di pregiudizi più grande di un borsone da calcio.

Il romanzo scorso di Chbosky mi era piaciuto molto.
Penso che in tanti conoscano Io Sono Infinito, un film ed anche un romanzo di formazione molto ben fatto, ma anche tanto furbo, che è salito alla ribalta qualche tempo fa.
Io lessi anche il romanzo e mi piacque molto ( ed anzi lo trovai più sincero del film, ma forse meno bello ), quindi quando ho visto tutte quelle stories su Instagram di bookstagrammer che facevano l'unboxing dell'ultimo libro di Chobsky ammetto di essermi fatto un po' vincere dalla curiosità.

C'è da dire che unboxing a parte, di recensioni finali di questo romanzo ne ho lette poche, segno che al di là del fatto di averlo ricevuto a casa, poi non tutti leggono questi romanzi.

Ma dopo tutta questa pappardella, chi ha avuto ragione tra curiosità e pregiudizio?
Non posso mentire, e per amore di onestà dico il secondo.
Andiamo di sinossi, presa in prestito da Amazon:




Mill Grove è una tranquilla e isolata cittadina della Pennsylvania: solo una strada per arrivare, solo una per andarsene. A Kate Reese sembra il luogo ideale per fuggire da un compagno violento, far perdere le proprie tracce e ricominciare una nuova vita. Lo deve al suo bambino, Christopher, che ha solo sette anni ma sa già quanto il mondo dei grandi possa far male. In quella nuova casa, tutto sembra andare a meraviglia: Christopher incontra nuovi amici, Kate trova un nuovo lavoro. Ma poi, all'improvviso, Christopher scompare. Per sei lunghissimi giorni, nessuna traccia di lui. Finché, una notte, il bambino riemerge dal bosco di Mission Street, al limitare della piccola città. È illeso, ma profondamente cambiato. Nessuno sembra accorgersene; solo sua madre sospetta qualcosa, perché Christopher, che ha sempre faticato a scuola, di punto in bianco prende ottimi voti ed è un vorace lettore. Ma nemmeno lei può immaginare tutta la verità. Christopher ora sente una voce in testa, e vede cose che agli altri sono impercettibili. Conosce i segreti del passato, inghiottiti dal bosco di Mission Street; quelli del presente, celati dietro le facciate rispettabili della città. Conosce il futuro tragico che sta per abbattersi su tutti loro. Non può parlarne a nessuno, nemmeno a sua madre, o lo prenderebbero per pazzo. Ma può e deve compiere la missione che quella voce amica gli detta: costruire una casa nel bosco, prima che arrivi Natale. Altrimenti, per sua madre, i suoi amici e l'intera città, sarà la fine. Dopo "Noi siamo infinito", Stephen Chbosky torna con un romanzo da brivido in cui il delicato passaggio dall'infanzia all'età adulta si compie attraverso una battaglia epica tra bene e male. Una storia in cui gli eroi sono coloro che non temono di abbandonarsi al potere dell'immaginazione.



Su Instagram mi espressi in maniera lapidaria:

" John Wyndham incontra Stephen King."

Partiamo dal presupposto che la trama di questo romanzo non è proprio originalissima, ed anzi al di là di un principio di narrazione che sembra uscita da un romanzo dello scrittore inglese, nel resto della narrazione è un classico horror country corale alla Stephen King.

Chbosky scrive bene e la lettura è scorrevole, questo è innegabile.
Ci sono tutti gli elementi e le situazioni figlie del genere ( lo sceriffo che si innamora subito della mamma del protagonista o la seconda che si porta in bagaglio un compagno violento ) e Mill Grove è una cittadina che viene descritta bene e così i suoi abitanti.

E' però la trama ad essere confusionaria e contorta.
Più volte mi sono arenato e devo ammettere che il colpo di scena che avrebbe dovuto farmi saltare sul divano che arriva nella seconda parte del romanzo, è per me persino contraddittorio ed attaccato con lo sputo, non mi ha convinto appieno.
Ma è una cosa mia.
Qualche centinaio di pagine in meno avrebbe forse giovato.
Fare filosofia su un romanzo d'horror action come questo ha poco senso, quindi potrei anche fermarmi qui.
Forse però parlare di solo horror action è un po' antipatico nei confronti di quest'autore che comunque ha provato a scrivere un horror ambizioso e per certi versi biblico.
Però per me romanzieri come il primo King, Clive Barker, McCammon o Dan Simmons viaggiano su altre vette.

Merita la lettura?
Trovare dei romanzi d'horror validi in questo periodo è dura, quindi sono stato in un certo senso comunque felice di essermi fatto vincere dalla curiosità, quindi lo consiglierei.
Per quel che mi riguarda, l'horror è un genere che mi appassiona più al passato, ed infatti ho ancora tanti Urania e tanti Newton da leggere, e devo ammettere che li guardo con molto più interesse.


Alla prossima!

martedì 19 novembre 2019

Input - Corso pratico di programmazione per lavorare e divertirsi col computer ( rivista De Agostini)

I miei negli anni che vanno da fine anni '70 alla successiva decade, fecero incetta di enciclopedie varie credo principalmente per aiutare me, mio fratello e mia sorella con lo studio, oppure per togliersi dalle scatole gli agenti porta a porta che venivano a venderle, chissà.

A casa mia se si aprono vecchi mobili e vecchie ante, non è difficile incappare ancora oggi in qualche sparuto volume delle stesse.
Tempo fa parlai dell'enciclopedia de I Quindici, che conservo tuttora, oggi è venuto il turno di Input una rivista pubblicata nei primi anni '80 dalla De Agostini, che io ho ritrovato nell'anta di una "scarpiera", nientemeno.

La versione che ho ritrovato di questa rivista è rilegata ed è formata da sei volumi enciclopedici.


Ora non so in effetti la sua storia, presumo che mio fratello o chi per lui l'avesse collezionata con i mini numeri che uscivano in edicola e poi successivamente l'avesse inviata alla casa editrice per farla rilegare, perché io ho dei ricordi molto confusi e, quindi, non so quanto reali, sul fatto che questa rivista uscisse in edicola.
Però i numeri sono perfettamente rilegati e non c'è traccia delle copertine, quindi magari i miei l'hanno comprata successivamente in formato enciclopedico, chissà.
Sono sottigliezze, d'altronde.

Fatto sta che questa rivista/enciclopedia fu una vera manna all'epoca.
La rivista conteneva non solo sezioni su come utilizzare ed imparare il formato Basic, (ricordate?

10 Print 
20 Goto, ecc.ecc.)

ma anche i codici per creare dei veri e propri giochi per le piattaforme Commodore a 8 bit o anche per Spectrum e Acorn.


Io ricordo, per esempio, di un gioco similare a quello dell'oca e di una avventura medievale di tipo testuale, ma c'era anche la possibilità di creare tantissime figure curve o in parallasse.

Il procedimento non era semplice in quanto toccava perderci pomeriggi, se non giornate intere, a digitare codici su codici.

Scavando tra i ricordi, mi viene in mente un programma che calcolava l'età ipotetica della nostra morte.
Ricordo che elaborava il tutto dopo una lunga sequela di domande e tutti in famiglia ci partecipammo.
Un altro ancora prevedeva il futuro.
C'erano anche parecchi giochi di carte e d'azzardo.

Però parliamoci chiaro, aldilà della curiosità, all'epoca a meno che non si era appassionati di linguaggio macchina, era molto più semplice inserire una delle ventordici cassette di videogiochi che vendevano in edicola e giocare con quelle.

Ne ho parlato perché l'avevo quasi totalmente rimossa ed il modo in cui è saltata fuori dal nulla ha fatto riaffiorare un periodo felice e spensierato della mia vita che un po' rimpiango.

Esiste qualcun'altro ancora che collezionava o comunque ricorda questa rivista enciclopedica?
Mi piace pensare di sì.

P.s: la prima foto non è mia, ma l'ho presa da una vendita su Ebay, chiedo scusa al proprietario.
Della mia ho trovato solo quattro numeri su sei ( ma sono convinto siano ancora in casa anche gli altri due numeri ) e uno di loro era anche piuttosto malandato.


Alla prossima!




domenica 10 novembre 2019

Essere blogger alle soglie del 2020?

Sono stato invitato da Nino Baldan ( https://www.ninobaldan.com/) a partecipare a questo Tag e colgo la palla al balzo, anche perché c'è una cosa su questo argomento che ho notato da un po' di tempo a questa parte e ne volevo parlare, ma lo farò in fondo al post.
Ovviamente dal punto di vista dei blog letterari che sono quelli che seguo più assiduamente.
Ora è tempo di rispondere alle domande:

Quali sono le ragioni che ti hanno spinto ad aprire un blog?

Ho seguito la massa.
Nel periodo tra il 2005 e il 2008 frequentavo un forum dove nella "firma" molti avevano il link del loro spazio personale ed una volta che ci cliccai sopra per curiosità scoprì un nuovo mondo a me sconosciuto.
Scelsi semplicemente di farne parte, anche perché nella vita privata avevo sempre avuto l'abitudine di scrivere in quaderni, diari scolastici o personali, alcune delle cose per cui volevo conservare una memoria storica per gli anni a venire.
Provai a farlo anche online, ma...con risultati disastrosi.
Tanto che successivamente cancellai cinque anni di esistenza virtuale.
Era roba illeggibile di cui francamente mi vergognavo.
Successivamente mi sono imposto una direzione ed un approccio più tematico, ed infatti eccomi ancora qui.
Ho iniziato su Splinder fino alla sua dipartita, e poi sono approdato a Blogger, dove risiedo tuttora.
Tra molti bassi, e pochi alti.


Come nasce l'idea dentro i tuoi post?

A volte cova nella mia mente anche per giorni, settimane o mesi.
E non sempre ciò che penso riesco a metterlo per iscritto.
Alcuni libri di cui parlo, spesso e volentieri, sono letture di una settimana o persino un mese prima.
Spesso se sono opere troppo mainstream scelgo di non parlarne, perché ritengo che sia già stato detto tutto ed anche in maniera migliore in giro per il web o perché no anche in altri media.


Quali mezzi utilizzi per il blogging?

Qui la risposta è lapidaria: il computer fisso sempre e comunque.
Mi è capitato però in passato di abbozzare qualcosa sullo smartphone, ma solo un abbozzo, nulla di più.


Quanto impieghi per un post e come lo inserisci nel tuo tempo libero?

Mi è capitato anche di non scrivere per mesi e una volta per un anno intero, quindi non lo inserisco e basta se ne sento la necessità.
Non vivo il blog come un obbligo e non ho mai avuto velleità editoriali.
Per un post generalmente ci impiego tra le due o tre ore, ma dipende, ci sono stati dei post che ho abbandonato e ripreso dopo giorni.


Qual è il tuo rapporto con i social network e come sono legati al tuo blog?

In genere li provo tutti, un po' per curiosità e un po' per testarli, ma non ho il carattere, la presunzione e la faccia di bronzo da usarli per pubblicizzare i miei contenuti.
Al massimo nella Bio inserisco il link del blog, ma a livello generale tendo a separare la mia vita social a quella blogger.
Riguardo i social network credo che non sono loro il problema, ma il come vengono utilizzati.
Sono più attivo su Instagram che altrove, ma un tempo parliamo di cinque, sei anni fa apprezzavo moltissimo Twitter che consideravo un social divulgativo in cui potersi esprimere con cognizione di causa, ma con il tempo mi sono accorto che è un alcova di satira spicciola e spazzatura politicizzata.


Vedi questa crisi del blogging in prima persona, tanto da aver avuto la tentazione di trasferirti in pianta stabile sui social?

La crisi è avvenuta soltanto verso quei blogger che usavano la piattaforma in modo personale.
Chi ha un minimo di intento divulgativo credo non si faccia vincere dai numeri e dai social.
Il problema di fondo credo che nasca verso coloro che inseguono il successo e le interazioni.
Entrambe cose umanissime, ma non trascendentali nella mia esistenza.
Io seguo per lo più blogger di cinema, pop e di letteratura.
Prima e seconda sono categorie di blog che non moriranno mai, secondo me.
Anche perché entrambe nascono come canali divulgativi e stop, senza chissà quali velleità di successo.
Riguardo i blog di letteratura, invece, c'è un intero mondo sommerso dietro.
Quasi tutti quelli che parlano di libri aspirano a pubblicarne uno.
Non scherzo se dico che non conosco nessun blogger che parla di libri che non ha scritto un libro o che ne conserva uno nel cassetto, o che ne ha pubblicato o auto-pubblicato qualcuno.
Quindi di base non sono solo canali divulgativi, ma anche una strada verso il successo, un sogno, o un obbiettivo tangibile o meno.
E la strada spesso parte dall'apertura di un blog.

Dirò di più i bookblogger se la passano benissimo e probabilmente è il ramo del blogging che insieme al cinema vede più nascite, anche perché molte delle persone che hanno successo ed interazioni parlando di libri su Instagram sono costrette alla fine ad avere uno spazio fisico in cui parlare delle loro collaborazioni.
Basta pensare ai numeri incredibili di accrediti che i bookblogger riescono a ottenere nelle fiere del libro e persino a Lucca Comics e affini.
Poi che effettivamente i loro blog vengano letti ed apprezzati non posso saperlo, anche se guardando i commenti e le interazioni è più facile pensare al contrario.

Però vorrei dire una cosa e spero non venga fraintesa.
Il blogger odierno mi fa un po' paura.
A volte ho la sensazione che si voglia sostituire al giornalismo e che si senta persino...superiore se non altro per una questione numerica di interazioni.
C'è un esercito ( è un'iperbole parliamo comunque di una nicchia) di gente che per avere un prodotto gratis o un invito ad un evento appiattisce e di molto quello che era un canale divulgativo che un tempo a me sembrava molto più serio.
Questo fenomeno era molto più tangibile su Instagram, ma sta attecchendo anche nel blogging o c'è sempre stato, ma ben nascosto e mascherato.
Oggi che i social hanno sdoganato tutto, è molto più tangibile ed alla luce del sole.
E' bello che anche un semplice appassionato, un casalingo/a, possa dire la sua e parlare di libri, e d'altronde lo faccio anch'io nel mio piccolo, ma...l'uno vale uno nella cultura non so quanto possa valere e non so quanto sia corretto sostituirsi ad autorità e giornalisti del settore che spesso e volentieri vengono scavalcati da chi è disposto a lavorare e dare il suo tempo gratis nel sacro fuoco della passione o per avere "successo".

Mi pare che dovrei invitare altri a partecipare a questo Tag.
Spero non sia una rottura di scatole per voi, ma invito:

Long John Silver di Il Rifugio Di Long John Silver
Marco di La Stanza Di Gordie
Clarke di Clarke è Vivo

Più altri e eventuali che si vogliono aggiungere al Tag o nei commenti.


Alla Prossima!





martedì 5 novembre 2019

Ritornati Dalla Polvere - Ray Bradbury

Questo post è un po' una continuazione del post precedente, quindi possiamo saltare tutta la parte introduttiva dedicata all'autore e dedicarci esclusivamente al romanzo.
Ma lo è veramente, poi?
Io direi di no.
Andiamo subito di sinossi ( presa in prestito da La Feltrinelli), così mi spiego meglio:

Siamo in autunno, in una grande casa che sembra quella della famiglia Addams; un ragazzo, Timothy, sale nell'attico e porta un'ampolla di vino invecchiato (cinquemila anni) alla Mille Volte Bis-bisnonna, una mummia dei tempi dei faraoni dalla quale Tim si farà raccontare la storia della Casa e della straordinaria famiglia che l'abita. Vuole essere informato perché il Gran Giorno si avvicina: la data fatidica in cui i membri della Famiglia sparsi in tutto il mondo arriveranno qui per una grande celebrazione. Così la mummia comincia a raccontare: Tanto tempo fa esisteva solo una brulla prateria con in mezzo un albero schiantato dalla folgore, ma poi un tornado portò da lontano le assi che servivano a fare la Casa, ed essa fu magicamente costruita....



Prima di parlare di questo libro vanno fatte delle dovute premesse.
Alcune parti di questa storia sono state pubblicate altrove, ed io infatti avevo letto Il Raduno e Zio Einar nella bellissima raccolta di racconti Paese D'ottobre.
Questo libro ripete un po' la forma de Le Cronache Marziane, che per chi le conosce non sono altro che dei (bellissimi) racconti slegati tra loro ed uniti soltanto a livello temporale.
Qui la formula si ripete.
Il Raduno è la chiave di tutto.
E' stato da sempre uno dei miei racconti preferiti, e vederlo leggermente editato per dare un contesto alla storia di questo libro mi ha dato leggermente fastidio, dico la verità.
Anche perché quando lessi per la prima volta quel racconto, mi ero fatto delle idee completamente diverse sulla figura del protagonista, il piccolo Timothy.
Ritornati Dalla Polvere nasce quindi dalla riedizione di alcuni racconti pubblicati molto tempo prima a cui è stato dato un seguito ed un contesto.
Però di base Il Raduno era un racconto chiuso, secondo me.

Quindi non mi è facile parlare oggettivamente di questa sequela di micro-racconti che formano una storia sola.

La storia comunque è piuttosto semplice, tanto che la prima associazione immaginifica sarà verso La Famiglia Addams, che questa stirpe tanto ricorda.

Ritornati Dalla Polvere è una saga familiare di stampo fantasy.
Bradbury ci porta indietro ed avanti nel tempo a mostrarci nascita e vita di questi suggestivi personaggi.
Non lo fa in modo chiaro e limpido in alcuni casi, lasciando al lettore l'interpretazione dell'archetipo che rappresentano.
Figura chiave di questa storia è un bambino di 10 anni di nome Timothy, che è l'unico elemento della famiglia ad essere normale.
Anzi anormale, direi.
Bradbury in questa storia ribalta il concetto di diversità e disabilità, in quanto Timothy è in tutto e per tutto un essere umano e quindi soggetto alla leggi della natura.
Il Raduno che è il racconto centrale, parte da una riunione di famiglia che avviene quasi ogni secolo ed in cui viene fuori tutta la diversità di Timothy che vorrebbe essere immortale o comunque possedere dei poteri come tutti gli altri membri della sua famiglia.
Il Raduno è un racconto straordinario ( a mio avviso ovviamente), che in Ritornati Dalla Polvere funge un po' da trama portante.

In questa storia Bradbury è costretto a dare una spiegazione della diversità di Timothy, ma la cosa si rivela un po' banale e scontata, ai miei occhi.
La bellezza della storia de Il Raduno è che tutto veniva lasciato sul vago, tanto che alcune strade mentali che mi ero fatto erano forse meno logiche, ma sicuramente meno scontate.

Attraverso gli occhi, le orecchie ed il peregrinare di Timothy, capitolo dopo capitolo conosceremo quasi ogni membro di questa peculiare famiglia e la sua storia.
Nonché il percorso di questi personaggi anche dopo Il Raduno.

La scrittura di Bradbury è sempre unica, per quel che mi riguarda.
Non esiste nessun'altro che riesce a trattare il fantastico con così tanto garbo e lirismo.
Non nego che in alcuni frangenti è riuscito a farmi commuovere.
E' la storia di un inizio e una fine.

Suggestivi alcuni passaggi ed alcuni personaggi, un po' vaghi altri.
Ma d'altronde essere soprannaturali ed immortali non significa necessariamente fare una vita interessante, e questo è chiaramente uno dei sottotesti della storia.
Il finale è deflagrante come sempre quando l'umano si accorge del diverso.

Ritornati Dalla Polvere è tutto sommato un bel libro, ed il titolo rappresenta il simbolismo del libro stesso.
Ray non ha fatto altro che rispolverare alcune vecchie storie.

Ce n'era bisogno?
Non lo so, francamente, ma leggere Bradbury mi fa sempre stare bene.
E l'idea che presto o tardi arriverò a leggere tutto di un autore che amo così tanto e che non potrà più scrivere nulla dal suo oblio, un po' mi inquieta.
Grazie di tutto, Ray.


Alla Prossima!



martedì 29 ottobre 2019

L'albero Di Halloween - Ray Bradbury

Per una volta faccio anch'io un post a tema.
Il 22 ottobre scorso è uscito un bel tomone edito dalla Mondadori nella collana Oscar Vault, con gran parte delle storie nere di Ray Bradbury.
Perché sì, Ray non è solo l'autore di fantascienza di Cronache Marziane e Fahrenheit 451 e altri centinaia di racconti similari, ma anche uno scrittore di racconti horror e del mistero.
E' stato ispiratore di Stephen King e di altri autori horror di quella generazione, e si è formato come Matheson, Bloch e tanti altri tra le pagine di Weird Tales.
Ma queste sono cose risapute, quindi andiamo avanti.

Personalmente non ho acquistato il bel tomone della Mondadori, anche perché gran parte delle storie le possiedo già, però c'erano ivi presenti due dei suoi libri che cercavo da tempo, quindi ho convinto qualcuno a farmelo prestare solo per poter leggere ( e magari recuperare successivamente ) L'albero Di Halloween e Ritornati Dalla Polvere.
Oggi parliamo del primo.

P.s: per chi fosse interessato il prezzo del bel ( ma anche pacchiano, parere personale ) tomone della Mondadori, viene venduto praticamente dappertutto al prezzo di 28 Euro.
Un po' caro, ma parliamo di un libro condito da illustrazioni che si avvicina alle mille pagine.

Parlare di L'albero di Halloween non è semplicissimo.
E' una fiaba nera per ragazzi, ed è indiscusso, ma è molto onirica ed ermetica.
E' una storia che si legge in un pomeriggio, ma non linearissima.
Andiamo di sinossi, che ho preso in prestito da Ibs:

Nella serata che precede Ognissanti qualcosa di stupefacente è accaduto: un enorme albero è apparso e, dai suoi rami, pendono centinaia di zucche. Zucche in cui sono intagliati sorrisi inquietanti e occhi luminescenti che fissano otto ragazzini mascherati per l'occasione: Tom è vestito da scheletro, Henry da strega, Ralph è fasciato come una mummia, Georg è diventato uno spettro, J.J. scompigliato come un cavernicolo, Fred stracciato come un accattone, Wally indossa una maschera da grottesca, Pipkin... «Ehi, dov'è finito Pipkin?»... Indossava una maschera bianca e portava una lunga falce. Ma ora è sparito! Che fine ha fatto? Scortati da Mr Moundshroud, una guida davvero particolare, i sette ragazzi partono alla ricerca dell'amico e strada facendo si imbatteranno in una fitta serie di avventure grottesche e allucinanti. E... riusciranno a salvare Pipkin?


" La notte uscì dagli alberi e allargò il suo manto."


Nel fornire qualsiasi analisi di questo piccolo romanzo, deve essere ben presente che si tratta di una fiaba, e che come tale Bradbury voleva semplicemente raccontare una storia.
Non a caso ci sono pochissimi riferimenti relativi al luogo di appartenenza e in cui si svolgono gli eventi iniziali come se non volesse indicizzare quella che è una horror country story di stampo tipicamente americano.
C'è poco background scenografico e poco approfondimento psicologico.
Come tale inizia come qualsiasi topoi narrativo su halloween: un gruppo di ragazzini escono di casa mascherati da archetipi diversi di figure orrorifiche per il proverbiale trick or treat e si ritrovano a vivere un'allucinante avventura.

Il lirismo di Bradbury che mi è tanto caro si vede poco, i capitoli sono piuttosto brevi, per quella che è un'avventura onirica che trascende il tempo ed i continenti con la figura mefistofelica e misteriosa di Mr Moundshroud a fare da Cicerone.

A prima vista la narrativa di base è geniale.
Un viaggio attraverso la nascita dei vari archetipi in tanti posti diversi del continente, ma la brevità del tutto rende però questi viaggi velocissimi e poco d'impatto.
Più che altro è un modo di Bradbury di farci da maestro e di portarci a celebrare il culto dei morti in varie parti del mondo e in varie epoche storiche e mostrarci la nascita dei personaggi di cui i bambini scelgono di mascherarsi.
Dall'antico Egitto, a Notre Dame, passando per il Messico e la sua Dias De Los Muertos che è protagonista di vari racconti del buon Ray.
Funziona?
Il tutto è un po' veloce, e scivola via troppo in fretta.
Manca un po' di mordente in questa storia, che appare più come esercizio di stile, ma che se valutato per quello che è, ovvero un romanzo per ragazzi, direi che fa il suo.
Come dicevo inizialmente va vissuta come una fiaba.
Nera, ma pur sempre fiaba.
Non lo metterei certamente tra i migliori scritti di Ray, ma è una storia che sono felice di aver letto.
Ed è anche una bella storia di amicizia e lealtà.
D'altronde come ci insegnano Stephen King, Rob Reiner e Ray Bradbury in questa ed in altre storie, le amicizie a 12 anni sono le più vere e sincere.
Infatti in tal senso il finale è la parte che mi ha convinto di più, ma ovviamente taccio per evitare spoiler.

" Alle due del mattino tornò il vento a rapire nuove foglie."


Alla prossima!







martedì 22 ottobre 2019

Scrittori italiani che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Dino Buzzati

La prima volta che lessi Il Deserto Dei Tartari è stato come essere colpiti da un macigno.
Non voglio parlare del romanzo, anzi non oso, perché ci sono migliaia di interpretazioni sul simbolismo dell'opera e tanti assist d'immedesimazione che parallelamente ci portano al nostro vissuto.
Per me, per esempio, è un romanzo che un giovanissimo non dovrebbe leggere, dubito che riesca a capire il dilatarsi come un elastico del tempo, la noia del vivere, la sensazione di aspettare un qualcosa che non arriverà mai o arriverà quando non avrai più la forza.
Io, l'apatia del vivere, del restare, dell'aspettare, la vivo quotidianamente, ed è per questo che ho sofferto entrambe le volte che ho letto questa storia, ma è stata una sofferenza che sono stato contento di provare, come sempre quando si tratta di un romanzo che mi porta a riflettere e che mi resta in testa per ore, giorni o settimane.
Se non lo avete mai fatto leggete Il Deserto Dei Tartari, è uno di quei rari casi in cui la parola capolavoro non è quel termine stra-abusato come per la qualsiasi roba mainstream che circola oggigiorno.

Questo romanzo mi spinse un po' all'epoca ad informarmi sulla figura di Dino Buzzati e sulle sue altre opere reperibili.
Non è un autore che ha scritto molto, purtroppo.
Anche perché è stato un artista a tutto tondo essendo anche giornalista, saggista, e persino pittore.
Ho trovato alcuni suoi editoriali sulla rete e posso dire che li ho trovati lirici e splendidi come poche cose che ho letto?
Le sue parole sull'allunaggio e sulla morte di Marilyn Monroe erano di una sensibilità unica.

Qualche tempo dopo in una bancarella dell'usato vidi spuntare una copia vetusta e sbiadita di Un Amore e non me la sono fatta scappare.
Un romanzo che non raggiunge le vette de Il Deserto Dei Tartari in quanto a stile e lirismo, e che anzi è una sorta di flusso di pensieri febbrile, come d'altronde lo sono spesso gli amori, specie quelli non corrisposti.
L'amore in fondo è una malattia, spesso improvvisa, da cui è difficile difendersi lucidamente.
E spesso la cura destabilizza il corpo più della malattia.
La storia è basata su un suo vissuto personale e ricorda un po' vagamente il molto più famoso e conturbante racconto di Nabokov Lolita.
I sentimenti che suscita la figura di Antonio Dorigo in corso d'opera sono molti e contrastanti.
Un po' compatimento e imbarazzo, a volte rabbia, a volte comprensione soprattutto per chi ha vissuto amori impossibili o poco chiari, spesso incasellati in un percorso fragile e ambiguo.
La figura di Laide appare a prima vista come una ragazza svampita, opportunista e che accetta la corte del borghese di turno solo per soldi, e per gran parte del romanzo conosceremo a malapena il suo punto di vista, essendo il racconto narrato attraverso i pensieri e le gesta di Antonio Dorigo.
Un pensiero non proprio lucidissimo, lasciatemelo dire.
Non è facile parlare di amori malati, e spesso questo tipo di narrazione lo tollero poco, ma Un Amore mi è piaciuto.
Forse è un po' troppo fitto per i miei gusti, ma lo si legge con piacere.

Certo, di storie simili, di uomini di una certa età, professionisti che inseguono la giovinezza perduta, attraverso ragazze giovani che vendono l'amore se ne vedono e leggono di ogni, sia nella fiction che nella realtà, ma penso che all'epoca un romanzo così forte nelle tematiche ( per quanto accennate ) un po' di scalpore deve averlo fatto.

Adesso spero di riuscire a reperire anche la raccolta di racconti La Boutique Del Mistero, ma confido prima o poi di ritrovarmela davanti in qualche mercatino dell'usato, come accaduto con i primi due libri.


Alla Prossima!


martedì 8 ottobre 2019

Il Signor Diavolo - Pupi Avati ( Romanzo )


Ricordo che quando lessi la sinossi e successivamente vidi il trailer fui subito attratto da questa storia che mischiava politica, superstizione religiosa e horror " paesano ".
Da questo tipo di narrazione vengo subito sedotto, soprattutto se ambientata nel passato.
Successivamente scoprii che prima del film era già uscita l'opera in formato cartaceo, e quindi ho preferito buttarmi su quest'ultima, aspettando l'occasione di trovarla a un buon prezzo.

Le recensioni lette in giro mi avevano un po' scoraggiato, ma volevo farmi una mia personale idea, anche se è stata dura decidermi a comprarlo.
Il perché è presto detto, è un romanzo cortissimo venduto allo stesso prezzo di uno più corposo.
La parola romanzo, quindi, mi appare persino esagerata perché tecnicamente parlando siamo più dalle parti della novella.
Ma come sempre conta più il contenuto, e quindi concentriamoci su questo.
Ma prima andiamo di sinossi presa in prestito come sempre da IBS:

Una storia intensamente nera, il ritratto di una provincia non addomesticata, mai del tutto compresa, un profondo Nord-est intriso di religione quanto di superstizione e in cui i confini tra vita e mistero si spostano come l'orizzonte nelle paludi... Un mondo dove tutto sembra possibile. Anche il Diavolo.

«Allora a me e a Paolino i giorni ci sembravano tutti diversi, quelli corti e quelli lunghi. Comunque il giorno più bello restava sempre domani. Prima di addormentarci bisognava pregare il nostro angelo custode. Così il diavolo si teneva alla larga.»

Anni Cinquanta, Italia. Il pubblico ministero Furio Momentè sta raggiungendo Venezia da Roma, inviato dal tribunale per un processo delicato. Un ragazzino di quattordici anni ha ucciso un coetaneo, e la Curia romana vuole vederci chiaro, perché nel drammatico caso è implicato un convento di suore e si mormora di visioni demoniache. All'origine di tutto c'è la morte, due anni prima, di Paolino Osti. Malattia, hanno detto i medici, ma secondo Carlo, il suo migliore amico, Paolino è morto per una maledizione: Emilio lo ha fatto inciampare mentre, in chiesa, portava l'ostia consacrata per la comunione. Sacrilegio... E Paolino sul letto di morte avrebbe mormorato: "Io voglio tornare". "Far tornare" l'amico per Carlo è diventata un'ossessione che ha messo in moto oscuri rituali e misteriosi eventi. Fino alla morte di Emilio, ucciso da Carlo con la fionda di Paolino. Almeno così pare...



Su Instagram mi sono espresso così:

Un romanzo breve quanto ermetico nella narrazione, ma che per quel che mi riguarda mi ha abbastanza soddisfatto. Avati mischia politica e superstizione religiosa in un ambiente tipicamente rurale del primo dopoguerra che ricorda un po' Ammaniti e con un finale degno di un racconto di Poe.
La deformità diventa dannazione, e la superstizione diventa assassinio.
In un romanzo breve in cui vittime e carnefici sono principalmente bambini.



Una recensione ermetica, come d'altronde è un po' il romanzo.
Ed in effetti la brevità dell'opera, ma anche la narrazione " esterna " affidata ad una lettura di documenti e testimonianze d'inchiesta rendono quest'opera un po' fredda e poco empatica.
Avrei preferito una narrazione in prima persona, ma è comunque un escamotage che è già stato usato nella narrativa del passato ed anche in quella odierna, anche se molto meno.
Mentre lo leggevo mi sono posto la domanda a quanti potrebbe interessare una storia così, che offre e mostra molto poco al lettore e che si limita a suggerire e sussurrare a più livelli di lettura le scene.
Manca la vera azione, ed è come un racconto gotico d'altri tempi.
In un certo senso lo è.
Il soprannaturale è suggerito e lasciato all'interpretazione del lettore e va bene così.
Ad un lettore moderno tutto ciò non piacerà, lo so.
Ho letto un bel po' di critiche anche sui romanzi della Jackson che trattano il fantastico in maniera molto più psicologica e simbolica, quindi è normale che un romanzo come questo di Avati possa far discutere in tal senso.
Io mi metto tra coloro che lo hanno apprezzato, anche se una cinquantina di pagine in più per approfondire tematiche ed atmosfera e perché no anche la cittadina dove vivono i protagonisti avrebbe giovato e non poco in termini di immedesimazione.
Credo che in futuro mi vedrò anche il film.

Mi ha fatto ripensare un po' anche al passato e alle mie zie del paese che vivevano di preghiera e superstizione, pronte a toglierti il malocchio con l'olio ad ogni occasione, ed ai vecchi racconti di paese folcloristici con i loro misteri che si tramandano per generazioni.


Alla Prossima!



mercoledì 2 ottobre 2019

Il Lungo Addio - Raymond Chandler

" Dirsi addio è un po' come morire. "

Avevo dimenticato tutte le parodie o le citazioni al genere noir presenti nei fumetti, nella narrativa o nel cinema, ma mi è tornato tutto in mente mentre mi approcciavo per la prima volta alla narrativa di questo genere.

Non ricordavo quanta misoginia si nasconde dietro questo genere e quanto esso sia disilluso, decadente, ed inevitabilmente romantico.
Philip Marlowe è un personaggio che mi ha fatto innamorare, ma che giustamente va contestualizzato, però in generale devo ammettere che il mio approccio con la narrativa di Raymond Chandler è stato positivissimo.

Il Lungo Addio è uno splendido romanzo.
Condito da una storia la cui soluzione è francamente non difficile da capire, ma che comunque è più complessa ed articolata del previsto, ed è narrata divinamente.
E' anche un romanzo che trasuda cameratismo ed amicizia virile da tutti i pori, per quanto funga più che altro da prologo.
I dialoghi di questo libro sono straordinari, e Philip Marlowe è un personaggio costruito benissimo.
Però prima andiamo di sinossi, che è stata presa in prestito da IBS:

Quando Philip Marlowe, l'investigatore privato ideale di Raymond Chandler, vede per la prima volta Terry Lennox ubriaco in una Rolls Royce fuori serie di fronte alla terrazza del 'Dancers' non sa ancora quale influenza avrà sul suo destino. Lo sorregge tra le sue braccia, comunque, dopo che la donna che lo accompagnava ha tagliato la corda con la Rolls, accennando a un appuntamento irrecusabile, e cerca di tenerlo su in tutte le maniere, non solo fisicamente. Così si lega a Terry in una tormentosa successione di eventi pericolosi. L'amicizia virile, movimento classico del romanzo di avventura, è qui celebrata quasi oltre ogni limite. Nell'amicizia virile come nell'amore bisogna essere in due, ma la quota di amicizia o d'amore non è mai uguale.




Molto di questa storia lo fa l'atmosfera della storia stessa.
L'immaginazione della vecchia Los Angeles,  Hollywood ed il suo boulevard, quelle donne così volutamente arriviste, procaci ed inevitabilmente fedifraghe, il tutto rigorosamente in bianco e nero nella tua testa o meglio nella mia.

Non so come ho fatto a lasciarmi vincere per una volta dal parere di un influencer, ma in questo caso non posso che ringraziarlo.
Per quanto però io abbia amato questo romanzo e per quanto io sono convinto che un personaggio come Marlowe sia costruito per piacermi fino in fondo, so che non reggerei a lungo questo topoi che sono sicuro andrà a ripetersi romanzo dopo romanzo, anche se con una trama e un approccio diverso.

Ho già preso Il Grande Sonno e poi...conto di fermarmi lì.

Odio l'idea di stufarmi presto di un personaggio che ho amato, ma narrativamente parlando mi annoio presto della quotidianità del contenuto.
Perché so già che cosa mi aspetterebbe romanzo dopo romanzo: la stessa tipologia di donna, lo stesso romanticismo, lo stesso ufficio e lo stesso Marlowe sempre in bolletta, lanciato nell'ennesimo caso e sempre con un bicchiere in mano.
Le stesse strade e quelle notti buie, tristi e solitarie, tra puttane, bar, gangster e poliziotti corrotti.

Quasi quasi, prendo anche gli altri romanzi. :-P


Alla Prossima!




mercoledì 25 settembre 2019

L'alba Delle Tenebre di Fritz Leiber / Ma anche la consapevolezza che io e la fantascienza non andiamo d'accordo a causa mia.

Una delle primi immagini della mia infanzia è la sigla di Mazinga Z.
E' quindi a tutti gli effetti il mio primordiale approccio con la fantascienza, poiché in fin dei conti credo che l'anime di Mazinga sia catalogato in quel genere.
Ricordo anche che i miei scarabocchi infantili erano infarciti di robot che venivano attaccati da navicelle spaziali aliene o vattelapesca.
Giocavo anche con i Micronauti e i Transformers, ma non credo che facciano curriculum.
Però la cosa si è fermata lì.

Nell'adolescenza ho scoperto i fumetti Marvel, e la mia formazione di stampo fantascientifico si ferma alle avventure cosmiche dei F4, degli X-Men o degli Avengers ecc.ecc.
Un po' poco, per carpire i meccanismi di un genere che io ho sempre fatto fatica a leggere ed apprezzare fino in fondo.

Poco fa su Instagram, mi sono lanciato in una filippica sul mio ultimo romanzo letto che è L'alba Delle Tenebre di Fritz Leiber che copio/incollo qui:

Addentrarmii nella lettura di un romanzo di Fritz Leiber è sempre un'esperienza un po' strana, per quel che mi riguarda. Sono sempre affascinato dalla sua narrazione e dal suo background, ma raramente riesco a coglierne il significato e a goderne fino in fondo. Non ho un gran rapporto con il suo modo di scrivere, ed è un dato di fatto. L'alba Delle Tenebre è un romanzo fantascientifico di stampo distopico e religioso in un mondo che è andato avanti, ma solo dal punto tecnologico e non sociologico. I temi sono tutt'ora attuali, ed è percepibile un'antipatia per la religione da parte dell'autore. Una buona storia, forse poco immediata, che avrei apprezzato enormemente di più se non fosse così ermetica nel descrivere ambienti e personaggi. Nella narrazione fantascientifica, e riconosco che è un limite mio, io ho bisogno di essere preso per mano e che mi venga fatto da guida dall'autore. In questo romanzo sei buttato alla mercé della storia quasi in medias res.


Io apprezzo Fritz Leiber, ma mi sono trovato più a mio agio quando si addentra nel campo più horror ( quantunque è un autore che ha sempre espresso di non apprezzare moltissimo il soprannaturale ) in romanzi come Ombre Del Male e Nostra Signora Delle Tenebre.
Però quando parla di fantascienza mi accade quel che mi accade con molti altri autori dello stesso genere.
Zoppico, faccio a fatica a carpire alcune dinamiche meccaniche e alcune descrizioni.
C'è da dire che rispetto ad altri scrittori i racconti di Fritz che ho letto, come L'alba Delle Tenebre, ma anche Il Grande Tempo, offrono comunque uno spaccato sociologico e psicologico molto profondo, ma faccio molta fatica ugualmente a seguirne coerentemente il percorso.
Ecco, credo di avere dei limiti per quel che concerne non solo la tecnica del narrato fantascientifico ma anche per quel che concerne la mia immaginazione percettiva e visiva.
Non so se riesco a spiegarmi.
Non riesco quasi mai a mettermi nella stessa lunghezza d'onda di un romanzo fantascientifico.
Ora bestemmio e mi prenderò i fischi di qualsiasi lettore sparuto che si ritroverà a leggere queste frasi sconnesse:
La Guida Galattica Per Autostoppisti a me non piace, cioè mi sono divertito a leggerla, ma faccio fatica ad amarla e mi capita lo stesso con alcune storie di Heinlein e Kurt Vonnegut ( Mattatoio Nr. 5 lo adoro ed anche Ghiaccio Nove ).
Non sono fatto per le letture fantascientifiche, ma continuo a sbatterci addosso come un mulo.
E' che mi mancano le basi e la cultura, forse.
Eppure come tutti sono cresciuto guardando film e telefilm di quel genere.
Però in verità credo che tutti questi prodotti abbiano semplificato quello che è veramente la fantascienza.
Per me si ferma tutto al sottotesto sociologico che apprezzo e sono in grado di capire, ma spesso è la tecnica e lo sviluppo tecnologico nel contesto, che a me interessa relativamente...
Il mio cervello ragiona poco in ottica futura, questa è la verità.
Credo di essere un lettore limitato, dunque e con scarsa immaginazione, se non di stampo orrorifico.


Alla prossima!

martedì 10 settembre 2019

Viaggio Al Centro Della Terra Di Jules Verne e...nelle mie reminiscenze e nelle mie tasche

Ho sempre pensato che lo stile dei scrittori del passato fosse migliore.
Ampolloso, forse, talvolta noioso, ma stilisticamente di un altro pianeta.
E mi riferisco ad opere di stampo fantasy ed horror e non a Proust o Joyce.
Nella scrittura alta sarebbe la normalità assodata come affermazione, ma nell'horror e nel fantasy non è così assiomatica come cosa.
Oggi vi è in atto una scrittura molto più asciutta e affettata, ed anche piuttosto ermetica e vaga.
Soprattutto nelle opere più moderne.
Persino Stephen King ( di cui sono comunque indietro di tre romanzi ) non sfugge a questa regola.

In questi giorni mi è capitato di leggere Viaggio Al Centro Della Terra di Jules Verne e mentre lo leggevo mi sono chiesto: " Ma è la stessa opera di cui avevamo letto alcuni stralci nel libro di letture all'epoca della scuola elementare?"
E' scritto in modo lineare, ma è pieno di concetti e spiegazioni di stampo geofisico e paleontologiche credo difficile da cogliere all'epoca per un imberbe qual ero.
Ed anche adesso, mentre lo leggevo, alcuni aspetti mi erano alieni e sconosciuti.


Ed infatti io questo romanzo me lo aspettavo più sempliciotto e leggero, ma invece, è un libro con i fiocchi!
Forse oggi sorpassato e bollato come inverosimile ( nonostante sia un fantasy d'avventura fatto e finito), ma terribilmente bello e affascinante.

L'edizione della Hetzel venduta a 1,99 è per altro veramente molto curata e pregiata e condita da bellissime illustrazioni.

Non credo che prenderò tutte le uscite delle opere di Verne, ma è sicuro che quella dedicata a 20.000 Leghe Sotto I Mari non me la farò scappare.

Quest'edizione da edicola è andata subito a ruba ed io ci ho messo una settimana a trovarla, segno che tutto sommato esiste ancora chi legge e compra libri.
O almeno io spero che sia per questo motivo e non per altri aspetti legati alla domanda ed all'offerta.

In questo momento in cui scrivo dovrebbero essere già stati pubblicati altri due libri di Verne, e meriterebbero almeno un'occhiata.

Vorrei più uscite di questo tipo e lo dico con tutto l'egoismo di questo mondo, visto che purtroppo raramente posso permettermi di comprare nuove uscite.

E dire che da questo punto di vista è un bellissimo periodo di uscite: I Testamenti di Margaret Atwood, L'istituto di Stephen King, ed Il Signor Diavolo di Pupi Avati, io avrei voluto leggerli e comprarli.

Ed invece eccomi a far la spola tra mercatini, gazebo, e negozi ammuffiti alla ricerca del prezzo migliore a cui strappare un libro.
Una roba che porterebbe qualsiasi libraio a considerarmi un pezzente o giù di lì.

Ho sempre odiato il denaro ( come concetto ), ma vorrei averne di più da poter spendere in libri.
Ma con i libri non ci si mangia e non ci si veste, e non ci si paga le bollette.

Nel caso mio e della letteratura il nostro rapporto potrebbe essere definito in: Due cuori e una bancarella.


P.s: mi rendo conto che è un post un po' così, ma dopo un mese di pausa le mie dita e la mia mente hanno bisogno di fare un po' di rodaggio.
Fuori ci sono le nuvole e un po' di grigio, forse pioverà, ma io non ho ancora voglia di tornare a bloggare del tutto.
Non oggi, almeno.
Voglio ancora per un po' abbandonarmi alla realtà.


Alla prossima!



martedì 13 agosto 2019

Traduzioni ingannevoli, ma amabili

Mi rendo conto che è un titolo un po' forte e straniante, ma spesso e volentieri mi è successo di aver amato una frase estrapolata da un'opera e poi scoprire che nell'opera originale è stata tradotta in modo diverso.
So che sembra un discorso un po' contorto, ma provo a spiegarmi: non so se avete presente quelle frasi che in genere vengono scritte in un libro prima dell'inizio di un capitolo. In genere si tratta di veri e propri aforismi, se non frasi prese dalla narrazione di un romanzo oppure dallo stralcio di una poesia.
Però se poi andate a leggere l'opera da cui sono tratte, quelle frasi risultano essere tradotte da un'altra persona ancora in maniera totalmente diversa.
Ed io ci resto di sasso, perché in genere sono frasi di cui mi sono innamorato, che però lette nell'opera originale, non dico che perdano di fascino o che cambino significato, ma assumono un suono e una forma diverse.

Faccio un paio di esempi:

Durante la lettura di V For Vendetta mi innamorai perdutamente di una frase detta da V che era questa:

" Io sono il diavolo, e del diavolo vengo a fare l'opera."

Successivamente la frase che ho visto citata a più riprese anche in film ed altre opere è stata tradotta in modo diverso:

" Io sono il diavolo e sono qui per fare il lavoro del diavolo."

Ecco, io conobbi questa frase e me ne innamorai perdutamente con la prima traduzione ed ancora oggi nonostante sia desueta, la preferisco ancora.

Ma non è l'unico esempio:

Durante la lettura di non so quale libro di Stephen King mi imbattei nell'incipit di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Nel romanzo del Re, proprio prima dell'inizio di un capitolo c'era scritto così:

" Bruciare era un piacere."

Quando mi comprai l'opera omnia edita negli Oscar Mondadori la traduzione era di ugual significato, ma la frase era diversa:

" Era una gioia appiccare il fuoco."

Anche in questo caso io ho conosciuto quest'opera ed ho amato una frase che successivamente divenne desueta.

Terzo ed ultimo esempio, perché è agosto e non voglio ammorbare nessuno, possiamo farlo con una delle mie frasi preferite del maestro di Providence ovvero H.P.Lovecraft:

"Non è morto ciò che può vivere in eterno e in strani eoni anche la morte può morire."

Non ricordo dove all'epoca trovai pubblicata questa frase ( presumo venne citata in uno dei romanzi di King ), ma ricordo che me ne innamorai perdutamente, tanto che la scrivevo ovunque come Bio, e penso che tuttora campeggi nel mio profilo Twitter.
Però anche in questo caso, quando mi comprai l'enorme tomone Mammut della Newton con tutte le opere di H.P., la frase era stata tradotta in modo diverso, ma qui il caso è persino diverso perché esistono parecchie traduzioni di questa frase, anche se la più comune pare essere questa:

" Non è morto ciò che in eterno può attendere, e con il passare di strane ere, anche la morte può morire."

Mi rendo conto che tradurre ed adattare una frase da una lingua ad un'altra è un po' un casino ( basta pensare a cosa succede nei testi delle canzoni anglosassoni quando vengono cantate in italiano), però è strano innamorarsi di un testo e poi scoprire che per un'altra persona ( esperta del settore ) il suono della frase e la costruzione del testo siano interpretabili in modo così diverso.
Da un traduttore a un altro può cambiare tutto, e forse ecco spiegato il motivo di tante polemiche di alcuni adattamenti di anime e serie tv.

Si rimane fedeli al primo amore, e alla prima traduzione, mi sa.

Alla Prossima e Buon Ferragosto!




lunedì 5 agosto 2019

La Reliquia - James Herbert

Ho già parlato di James Herbert e di quanto mi piacciano le sue opere, quindi non avrei voluto ripetermi, ma nell'ultima sortita al mercatino dell'usato è saltato fuori questo romanzo che ho cercato per tanto tempo e quindi mi è sembrato naturale parlarne, se non altro per pura divulgazione.
Faccio questo post solo per questo motivo.
In modo che si sappia che esiste gente che legge ancora questo autore che meriterebbe di essere ristampato in una veste non migliore ( io adoro gli Urania ), ma semplicemente più moderna, in modo che possa avvicinare molti altri appassionati di fantascienza o comunque lettori di qualsiasi genere.

Nelle ricerche di Google ci sarà una persona in più che avrà letto questo romanzo e lo avrà apprezzato: Io.
E se anche una sola persona leggerà questa mia e poi leggerà il libro, sarà per me una vittoria, perché ritengo Herbert una lettura piacevole.

Dico piacevole perché voglio essere onesto. Herbert è uno scrittore la cui scrittura è molto più votata all'azione e meno alla costruzione della storia rispetto ad un Matheson o Stephen King e le sue storie non hanno il lirismo di Ray Bradbury, però regalano emozioni e divertimento a non finire, anche nelle scene più truculente.

Rispetto però alle altre opere che ho letto di questo autore, La Reliquia è un romanzo molto più corposo e coeso, almeno inizialmente.
Ed in più ci sono anche delle piccole chicche che meritano.
Le estrapolazioni di frasi attribuite ad Himmler o Hitler che aprono ogni capitolo, per me arricchiscono e non poco la lettura di questo libro peculiarissimo.
Senza contare le citazioni all'opera Parsifal di Wagner ( che io nella mia ignoranza non conoscevo ).

Al di là del fatto che ad un certo punto diventa un romanzo d'azione tout court come nelle caratteristiche dell'autore, posso affermare tranquillamente che La Reliquia è il suo romanzo più " serio " quello che meriterebbe più in assoluto di essere letto.

E se siete appassionati di occultismo e fantascienza di stampo militare, questo è il romanzo che fa per voi.
In più è un romanzo ricco di azione che può essere associato al genere delle spy story.

Che il Dio dei libri benedica gli Urania!

Alla prossima!

P.s: vi lascio con la sinossi del retrocopertina ( non molto chiara in realtà ):

James Herbert è l'autore di Nebbia (Urania n. 702), Il superstite (n. 724), L'orrenda tana (n. 854), memorabili storie di horror tra il fantascientifico e il soprannaturale. Ecco alcuni giudizi di quotidiani inglesi su questo suo nuovo romanzo: "Un incubo... Una lettura che vi incatena col fascino dell'orrendo". - London Daily Mirror "Un culto magico di neo-nazisti in Inghilterra... Una donna crocifissa in una strada di Londra... Himmler risuscitato... Scene e situazioni del più tipico Herbert." - Birmingham Evening Mail "Terrificante" - Manchester Evening News





martedì 16 luglio 2019

Scrittori italiani che guariscono temporaneamente la mia esterofilia: Michele Mari

Al di là della sua prosa forse un po' troppa fitta ed accademica per i miei gusti, devo ammettere che mi sono lasciato sedurre dai libri di Michele Mari.
Entrambe le opere che ho letto mi hanno convinto, ed in futuro leggerò sicuramente altri suoi libri.
La mia ritrosia per la letteratura gotica e del mistero italiana è ben nota a chi mi conosce, ma a volte mi lascio convincere a vincere le mie insicurezze ed a sperimentare, e vittoria è stata, in quasi tutti i sensi.
Ci ho messo un po' a lasciarmi andare,  ho letto varie recensioni, letto sinossi, sentito stories su stories sui suoi romanzi, ed alla fine ho deposto lo scudo del pregiudizio, ed ho sconfitto la mia esterofilia.


La lettura di Verderame e Roderick Duddle non è stata indolore, perché a me lo stile di Mari non piace, trovo la sua scrittura un po' fitta e "stilosa", ma è un problema mio, perché entrambi i libri dal punto di vista della trama mi sono piaciuti molto.

L’estate del 1969 sembra interminabile, tra gli sceneggiati con Arnoldo Foà, le pagine dei romanzi d’avventura e il caldo immobile del lago Maggiore. Michelino ha tredici anni e ha già letto troppi libri, Felice ne ha sessanta e sta perdendo la memoria: il primo deve trascorrere le vacanze dai nonni, in una casa enorme e misteriosa di cui il secondo è da sempre il custode. Per ingannare la noia, Michelino si inventa un gioco: rimettere ordine fra i ricordi di Felice, «l’uomo del verderame» – incarnazione mitica e spaventosa di migliaia di mostri fantasticati.
La memoria di Felice si sta sbriciolando: per tutta la vita si è occupato della grande casa di campagna dove Michelino trascorre le sue vacanze, dell’orto, del verderame da spargere sull’uva, dei conigli da ingrassare, poi uccidere e scuoiare. Ma adesso qualcosa sembra non funzionare più. I suoi ricordi riaffiorano sfalsati e contraddittori, componendo una geografia mentale sempre più inaffidabile.
Felice all’improvviso si mette a raccontare una balzana storia di esuli russi, di francesi che parlano sottoterra, di scheletri in divisa nazista: e le lumache che appestano l’orto si trasformano in nemici invincibili, sentinelle di un mondo ctonio e minaccioso. Quale sfida migliore, per un ragazzino che si annoia, di un «viaggio al centro della testa» di quest’orco bonario che da sempre accende la sua immaginazione? Così Michelino si ritrova, come un piccolo Sancho Panza, scudiero nella lotta di Felice contro il mulinare impazzito della sua memoria, consigliere e compagno nella battaglia disperata che l’uomo sta combattendo dentro di sé.
Giocando con la tradizione del romanzo d’avventura – e innestando nell’immaginario di Stevenson le ossessioni di Edgar Allan Poe – Michele Mari conduce il lettore lungo un percorso imprevedibile alla scoperta dei propri demoni. Con una passione affabulatoria mai così divertita e travolgente, illumina ancora una volta la natura «sanguinosa» dei ricordi d’infanzia. E riesce così a sfiorare un territorio altro, una zona d’ombra dove ciascuno di noi ha un doppio che lo attende, e poco importa se non sappiamo dargli un nome, «perché non ci dobbiamo preoccupare della storia delle cose e delle parole, dobbiamo usarle solo per il nostro comodo».


Verderame è un libro molto particolare, un racconto di formazione e del mistero dai toni forse un po' troppo accademici e ricercati, ma che mi è piaciuto molto.
Ho sofferto un po' la scelta di far parlare ad uno dei personaggi principali un dialetto lombardo così stretto che per un calabrese come me è quasi un'altra lingua, visto che capivo una parola su quattro, ma sono scelte di narrazione che non possono essere discusse.
D'altronde è più naturale che un giardiniere un po' tocco che non ha fatto altro nella vita parli il dialetto piuttosto che si esprima in un italiano perfetto.
La mia sensazione è che Verderame non scorra benissimo, ma tiene incollato fino alla fine, se non altro per carpire del tutto cosa frulla nella testa "visionaria" di Felice.
Un romanzo sicuramente ampolloso, ma che è in toto il mio genere.


Roderick ha dieci anni, e tutto quello che possiede è un medaglione. Ancora non lo sa, ma quell’oggetto lo porterà piú lontano di qualsiasi nave al largo dell’oceano. Figlio di una prostituta, cresce tra furfanti e ubriaconi in una fumosa locanda con annesso bordello. Quando la madre muore, il proprietario pensa bene di cacciarlo: quello che entrambi ignorano è che nel destino di Roderick è nascosta un’immensa fortuna, e il medaglione che porta al collo ne è la prova. Il ragazzino si ritrova alle calcagna una folla di balordi, loschi uomini di legge, suore non proprio convenzionali, tutti disposti anche ad uccidere per averlo. E cosí fugge, per terra e per mare, in un crescendo di equivoci e imprevisti rocamboleschi, tragici ed esilaranti, come ogni vita romanzesca che si rispetti. Con Roderick Duddle Michele Mari ha scritto una storia capace di rifondare il gesto stesso del narrare. Un libro travolgente, dal quale non si vorrebbe piú uscire.



Roderick Duddle è innanzitutto un bel mattone, ma molto più scorrevole di Verderame.
In bilico tra atmosfere dickensiane e di provincia ( la copertina è molto esplicativa in tal senso ) e da una parentesi narrativa di avventure marittime che ricordano un po' L'ammutinamento Del Caine o L'isola Del Tesoro.
Un libro che intrattiene e coinvolge.
Mi hanno però lasciato perplesso alcune scelte narrative.
In questo romanzo Mari parla più volte con il lettore, rompendo la quarta parete, rendendo così un po' più lieve la portata degli eventi, come se in fondo, volesse alleggerirne le dinamiche, ed è un vero peccato, perché Roderick Duddle è un romanzo pieno di personaggi senza scrupoli e piuttosto interessanti.

Non che non ci siano eventi nefasti, anzi ve ne sono in abbondanza, ma lo scrittore viene troppo spesso in soccorso del lettore, come se in fondo volesse rassicurarlo, ed è un peccato perché personaggi come Il Probo, La Badessa, Salamoia, Jones o la bellissima e conturbante Suor Allison avrebbero sollucherato ancora di più il lettore senza le avvertenze dello scrittore.
La sua presenza in quanto narrante spesso e volentieri anticipa le dinamiche della trama rendendo prevedibili gli eventi più shockanti.
Nonostante ciò le peculiarità dei personaggi e i ribaltamenti continui di trama ( il povero ragazzino protagonista ne vive di ogni, ma d'altronde è un personaggio dichiaratamente dickensiano ) fanno di Roderick Duddle un gran bel romanzo che mi ha avvinto fino alla conclusione.
Anche qui c'è qualche vezzo stilistico dello scrittore: in questo caso le lettere sgrammaticate del signor Jones, ma in questo caso almeno sono comprensibili.
In generale è un gran bel romanzo che mischia molti elementi e lo fa bene.
E' anche molto conturbante e malizioso, soprattutto nel personaggio di Suor Allison, una donna ermafrodito capace di suscitare erotismo in quasi tutti i personaggi che popolano il romanzo, certamente il personaggio più bello di tutto il libro.

Michele Mari, tra me e te non finisce certo qui, e non è una minaccia, ma una promessa di lettura.

P.s: entrambe le sinossi sono prese dal sito di Einaudi, la casa editrice che detiene i diritti delle opere di Michele Mari.


Alla prossima!





venerdì 5 luglio 2019

Lonesome Dove - Larry McMurtry

Ecco un libro che mi ha inizialmente scoraggiato per via della sua maestosità, e che poi paragrafo dopo paragrafo e capitolo dopo capitolo ho iniziare ad amare immensamente, tanto da non volermene separare più.
Quando trovo un libro che riesce a scardinare le mie difese e da cui mi sento sopraffatto, poi più niente sembra avere più senso, e qualsiasi prossima lettura deve attendere che io riesca a superare la sindrome da abbandono che mi prende dopo un libro così bello.

Lonesome Dove si candida a essere una delle letture della mia vita.
E' un romanzo così bello che mi ha annichilito.
Non avrei mai pensato che un giorno mi sarei appassionato alla narrativa western e che soprattutto ci sarebbe stato un genere capace di rivaleggiare con il mio primo amore che è l'horror.

Eppure prima Steinbeck con Furore, Uomini & Topi e La Valle Dell'eden che mi hanno avvicinato alle storie rurali della provincia americana e poi Cormac McCarthy, Kent Haruf ed adesso Larry McMurtry mi stanno trascinando inesorabile in una nuove fase letteraria della mia vita, pregna di emozioni ed amore infinito.

Pregna di viaggi, bivacchi, sparatorie, mandrie da catturare, saloon, puttane, coraggio ed onore.
Un po' mi riportano ai film western che amavo da bambino, ma allora facevo poco caso ai personaggi ed a ciò che provavano, ma solamente alle sparatorie ed a dove venivo trascinato dalla trama.

Lonesome Dove è un vero e proprio viaggio, non solo letterale, ma nell'anima di ogni personaggio che ne prende parte.
Ma andiamo di sinossi, che è presa in prestito dal sito di Einaudi ( la casa editrice che ha ripubblicato in nuova edizione questa perla ):

Leggenda e realtà, eroi e fuorilegge, indiani e pionieri, un’odissea attraverso le Grandi Pianure e la morte come sola compagna di viaggio, la malinconia di un’epoca al tramonto e l’eccitazione di una cavalcata selvaggia. L’avventura che non finirà mai: questo è il West.
In uno sputo di paese al confine fra il Texas e il Messico, Augustus McCrae e Woodrow Call, due dei piú grandi e scapestrati ranger che il West abbia conosciuto, hanno cambiato vita: convertiti al commercio di bestiame, ammazzano il tempo come possono. Augustus beve whiskey sotto il portico e gioca a carte al Dry Bean, mentre Call lavora sodo dall’alba al tramonto e continua a dare ordini a Pea Eye, Deets e al giovane Newt. La guerra civile è finita da un pezzo e la sera, sul Rio Grande, non si incontrano né Comanche né banditi messicani, ma solo armadilli e capre spelacchiate. L’equilibrio si spezza quando, dopo una lunga assenza, torna in cerca d’aiuto un vecchio compagno d’armi, il seducente e irresponsabile Jake Spoon, che descrive agli amici i pascoli lussureggianti del Montana e cosí dà fuoco alla miccia dell’irrequietezza di Call: raduneranno una mandria di bovini, li guideranno fin lassú e saranno i primi a fondare un ranch oltre lo Yellowstone. È l’inizio di un’epica avventura attraverso le Grandi Pianure, che coinvolgerà una squadra di cowboy giovani e maturi, oltre a un folto gruppo di prostitute, cacciatori di bisonti, indiani crudeli o derelitti, trapper, sceriffi e giocatori d’azzardo: decine di piccole storie che s’intrecciano tra loro ed escono dall’ombra della grande Storia americana. Lonesome Dove è un libro leggendario, il vero grande classico della letteratura western, l’opera che raggiunge il culmine di un genere e allo stesso tempo chiude un’epoca. Non a caso c’è il cinema all’origine del romanzo: all’inizio degli anni Settanta, Peter Bogdanovich vuole girare un film in omaggio al suo maestro John Ford, con John Wayne, James Stewart e Henry Fonda nelle parti principali. McMurtry scrive il copione: nasce cosí il primo abbozzo di Lonesome Dove, sebbene con un altro titolo. Alla fine il progetto non giungerà in porto, ma quella storia continua a ronzare nella testa di McMurtry per piú di dieci anni, finché non decide di scriverci un romanzo. Lonesome Dove negli Stati Uniti è subito salutato come un capolavoro e vince il Pulitzer nel 1986. In seguito verrà adattato in una mini-serie televisiva, con Robert Duvall e Tommy Lee Jones, che ottiene un grandissimo successo e segna l’inizio del revival western al cinema, culminato con Balla coi lupi e Gli spietati. Da tempo irreperibile sul mercato italiano, Lonesome Dove torna ora in libreria in una nuova traduzione.

Una sinossi forse fin troppo descrittiva, ma d'altronde parliamo di un romanzo che ha vinto il premio Pulitzer.
Mi viene difficile quindi parlarne, anche perché non penso di poter essere all'altezza di farne una recensione, quindi lascerò parlare solo le mie emozioni.

E' difficile inizialmente entrare in confidenza con questo romanzo, i primi capitoli sono lenti e descrittivi, ci sono molti personaggi, e quindi bisogna avere un po' di pazienza per assimilarne le dinamiche.
Una volta fatto ciò nonostante il libro sia un vero e proprio mattone, la lettura scivola via che è un piacere.
McMurtry, non è McCarthy la cui prosa è ricercata e che potresti passare il tuo tempo a sottolinearne diversi paragrafi per quanto sia bella, però ha una scrittura molto essenziale ma ugualmente descrittiva ed immersiva.

Una delle poche cose che non mi sono piaciute è qualche intersecazione di troppo tra alcuni personaggi che nonostante la vastità degli stati tra il Texas e il Montana ( in cui i protagonisti sono diretti ) sembrano incontrarsi più volte troppo facilmente, ma è una quisquilia, nient'altro.

Per il resto il romanzo è una meraviglia.
Un viaggio avventuroso dal Texas al Montana fatto di personaggi molto peculiari e descritti in maniera magnifica.
Gus McCrae è semplicemente l'anima e il personaggio più bello del libro, mentre molto più enigmatico, complesso e spinoso è il capitano Call Woodrow troppo oppresso, ombroso e ligio al dovere.
Entrambi ( più il secondo in verità) si fanno carichi di portare una mandria nello stato ancora "brado" del Montana in un viaggio faticosissimo ed irto di pericoli.
McMurtry è spietatissimo e non risparmia nulla al lettore.
Il bello di questo libro è che se ti affezioni ad un personaggio hai paura di voltare la pagina successiva perché sai che potrebbe lasciarci le penne da un momento all'altro.

C'è molto da riflettere sugli usi e costumi di quel tempo, sulla giustizia sommaria, e su tutto il resto.
E' un romanzo dal sottotesto molto forte che è un vero e proprio pezzo di storia americana.

Qualsiasi cosa dicessi d'altro sarebbe un probabile spoiler.
La cosa bella di questo romanzo è vivere e lasciarsi trascinare da questo peregrinare in sella tra banditi, indiani, tempeste di ogni tipo, e soprattutto nella vita e nei pensieri di ogni personaggio.

Un viaggio straordinario che sono felice di aver fatto, e che non avrei voluto finisse mai.

Grazie infinite, McMurtry.


Alla prossima!